Concorrenza e concentrazioni nel sistema del credito
L’ondata di fusioni ed acquisizioni che sta interessando soprattutto il mondo bancario di tutti i paesi industrializzati, inevitabilmente porta a pensare che, le maggiori concentrazioni potrebbero contribuire a falsare il gioco della concorrenza ed essere un humus fertile su cui le forme di monopolio o di oligopolio crescono rigogliose. Questo pericolo, almeno per il mondo bancario, sembra essere ancora molto remoto. Le fusioni fra aziende di credito sembrano, almeno per ora, non essere guidate dalla volontà di creare monopoli per assicurarsi una fetta di mercato, ma da quella di partecipare ad una competizione che si è fatta ormai globale. Si è altresì evidenziato nel lavoro, l’evoluzione che il concetto di concorrenza ha subito nel corso degli anni, arrivando addirittura a non demonizzare il modello di mercato monopolistico. Se nel mercato c’è una sola impresa che possa sfruttare le economie di scala e quindi fornire un determinato bene o servizio alla collettività, è opportuno che questa sia la sola ad essere presente nel segmento di mercato considerato. La condizione necessaria è che non ci siano barriere di qualsiasi genere all’ingresso di nuovi concorrenti.
Il pensiero economico dominante, nelle diverse fasi storiche, ha svolto un ruolo di primaria importanza nell’approvazione delle leggi e dei provvedimenti antitrust. Diverse Scuole di pensiero sul concetto di concorrenza, si sono susseguite. Al momento è molto difficoltoso indicare quale di queste sia migliore, infatti ci sono degli accesi dibattiti sul tema della politica antitrust. Soprattutto nella politica italiana, sarebbe opportuno selezionare e dividere i punti di forza del pensiero considerato, da quelli di debolezza. E’ ormai cosa assodata che i diversi pensieri economici intesi in un processo di accumulazione successiva, cioè di progressivo miglioramento, hanno contribuito ad affinare i concetti di concorrenza , aiutando il diritto di settore con dei benefici qualitativi. Gli stati o le Autorità dovrebbero però, essere pronti ed attenti a ridimensionare una teoria, nel momento in cui vengono fuori dei difetti o delle limitazioni della stessa. Ugualmente, non dovrebbero essere miopi nel valutare ed adottare le tecniche emerse da nuovi studi e ricerche.
In Italia l’affermazione del concetto di concorrenza fra banche, dal punto di vista legislativo, è stato sancito dalla “nuova legge bancaria”. La concorrenza ora assume un significato più ampio e ben diverso da quello presente nella legge del ’36. Tale legge infatti, agevolava la fusione perché voleva limitare al massimo la concorrenza fra gli istituti di credito. In questo modo si creava al settore bancario, una sicura nicchia difficilmente violabile, valida per attenuare i rischi di un eccesso di offerta dei servizi finanziari. Si pensava che l’aumento dell’offerta avrebbe potuto inasprire la competizione bancaria, favorendo il verificarsi di dissesti per l’intera economia. Nel T.U. invece, l’istituto della fusione assume un significato più ampio e ben diverso, che ha lo scopo di creare dei gruppi più solidi, in modo da affrontare meglio la concorrenza che è sempre più organizzata, da parte delle banche comunitarie e non.
Dal punto di vista tecnico il lavoro fornisce a mio parere un utile strumento di calcolo per valutare l’efficienza di una fusione. La tecnica di calcolo è chiamata DEA (Data envelopment analysis) che permette di valutare l’efficienza esistente dopo una operazione di concentrazione. L’efficienza risulta essere molto importante perché è strettamente connessa alla redditività. Questo permette che, anche banche di piccole dimensioni siano efficienti e reddittive. Naturalmente l’aumento dimensionale della banca, apporta delle basi importanti per essere più redditive, per catturare dei grandi clienti, per avere una rassicurante compensazione fra flussi in entrata ed in uscita, per essere più attenti alle innovazioni, ma ciò non vuol dire che la piccola banca, sfruttando delle altre strategie, non potrebbe essere ugualmente redditiva. L’aumento dimensionale di alcune banche, in Italia, resta molto importante e non sembra giusto arrestarlo, perché ci sono interessanti spazi ancora, per le economie di scala e per un aumento di produttività. Anche se analisi empiriche hanno dimostrato che non sempre le fusioni risultano essere efficienti, e non sempre i grandi gruppi sono i più redditivi, si potrebbero commettere dei gravi errori se il legislatore ponesse degli ostacoli al processo di concentrazione ormai innescato. Allo stesso modo mi sembrerebbe poco opportuno per una piccola banca, che riesce ad essere redditiva, grazie soprattutto alla conoscenza meticolosa del tessuto sociale in cui opera, ricercare in maniera ossessiva una operazione di concentrazione.
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Informazioni tesi
Autore: | Mauro Cianti |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1997-98 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Scienze economiche e bancarie di Siena |
Corso: | Scienze Economiche e Bancarie |
Relatore: | Grancesco Pulitini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 109 |
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