Legittimità tramite legalità - Il nesso tra diritto e democrazia nella teoria discorsiva di Jürgen Habermas
Anche quando un tiranno si impadronisce dello Stato
e prescrive ai cittadini ciò che essi devono fare
anche questa è legge?
La domanda, fatta da Alcibiade a Pericle (in Senofonte, Detti memorabili di Socrate, I, 2), oggi è di straordinaria attualità. Qual'è fondamento di legittimità sul quale il diritto moderno, positivo e coercitivo, poggia la sua validità?
E’ (anche) il tema della relazione tra diritto e morale, che si analizza in relazione ad uno dei filosofi contemporanei più fecondi: Jürgen Habermas. Egli propone una versione del rapporto tra diritto e morale che ne impedisce la pericolosa assimilazione. Al di là delle opposte intenzioni e risultati, sono infatti proprio le clausole di giustizia e di valutazione morale delle strutture giuridiche dei totalitarismi del novecento, che consentono, a causa della loro indeterminatezza, agli apparati dello Stato di trasformarsi in terroristici amministratori della morale. Oggi questa situazione si ripete nei paesi islamici, nei quali è la sharia, la legge morale, a fungere da criterio di legittimità.
L’assimilazione tra diritto e morale ha la conseguenza che chi dispone monopolisticamente della forza può anche determinare in maniera autoritativa i contenuti della morale, mentre il “valore superiore” di tali contenuti, per quanto pervertiti possano essere, consente poi di dissolvere tutte le limitazioni e cautele dello Stato di diritto ancora presenti nel pluralismo degli ordinamenti giuridici.
Habermas propone invece una teoria che, liberatasi dall’idea di diritto naturale, trova le sue radici nel duplice concetto di “diritti umani” e “sovranità popolare”. Qui interessa sottolineare soprattutto la straordinaria attualità della questione in un momento storico che nelle relazioni internazionali, al di là dei proclami, vede pericolosamente materializzarsi il pericolo di un Menschenrechtsfundamentalismus , di un fondamentalismo dei diritti umani, in virtù della loro pretesa di validità universale.
Habermas sottolinea molto chiaramente come anche i principi universali della morale ed i principi particolari delle particolarità etiche, trovando riconoscimento in sede politica, non possano dare luogo ad una “moralizzazione” o “eticizzazione” degli stati, in quanto il riconoscimento deve preliminarmente passare attraverso le “chiuse idrauliche” delle istituzioni giuridico-democratiche, ed, in particolare, attraverso i presupposti comunicativi per la formazione democratica dell’opinione e della volontà.
Dunque anche i diritti umani, in quanto diritti che appartengono alla “forma specifica del moderno concetto di ‘diritti soggettivi’, vale a dire una categoria specificatamente giuridica”, dovranno passare per tali “chiuse idrauliche” per poter valere come diritti legittimamente fondati. Sul piano dei rapporti internazionali ciò si dovrebbe tradurre in un ordinamento giuridico globale, in una specie di democrazia cosmopolita con proprio parlamento, apparato giudiziale autonomo ed indipendente e un esecutivo non condizionabile dall’ “agire strategico” dei singoli stati.
Non è la sede adatta per discutere in maniera approfondita l’opportunità di una tale riforma: basti dire che, secondo Habermas, nelle relazioni internazionali i diritti umani resteranno limitazioni imposte con la forza, fino al momento in cui non verrà chiuso il cerchio tra applicazione vincolante del diritto e legiferazione democratica.
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Informazioni tesi
Autore: | Nicola Canestrini |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1999-00 |
Università: | Università degli Studi di Ferrara |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Baldassare Pastore |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 128 |
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