II
attualità della questione in un momento storico che nelle relazioni
internazionali, al di là dei proclami, vede pericolosamente materializzarsi il
pericolo di un Menschenrechtsfundamentalismus
1
, di un fondamentalismo
dei diritti umani, in virtù della loro pretesa di validità universale. Habermas
sottolinea molto chiaramente come anche i principi universali della morale
ed i principi particolari delle particolarità etiche, trovando riconoscimento
in sede politica, non possano dare luogo ad una “moralizzazione” o
“eticizzazione” degli stati, in quanto il riconoscimento deve
preliminarmente passare attraverso le “chiuse idrauliche” delle istituzioni
giuridico-democratiche, ed, in particolare, attraverso i presupposti
comunicativi per la formazione democratica dell’opinione e della volontà
2
.
Dunque anche i diritti umani, in quanto diritti che appartengono alla
“forma specifica del moderno concetto di ‘diritti soggettivi’, vale a dire una
categoria specificatamente giuridica”
3
, dovranno passare per tali “chiuse
idrauliche” per poter valere come diritti legittimamente fondati. Sul piano
dei rapporti internazionali ciò si dovrebbe tradurre in un ordinamento
giuridico globale, in una specie di democrazia cosmopolita con proprio
parlamento, apparato giudiziale autonomo ed indipendente e un esecutivo
non condizionabile dall’ “agire strategico” dei singoli stati. Non è la sede
adatta per discutere in maniera approfondita l’opportunità di una tale
riforma
4
: basti dire che, secondo Habermas, nelle relazioni internazionali i
diritti umani resteranno limitazioni imposte con la forza, fino al momento
1
L’espressione è tratta da Ulrich Beck, Ecco l’era delle guerre postnazionali, in Reset, 53, 1999, 10. Per
le considerazioni che seguono cfr. gli atti della conferenza Diritti umani e ordine mondiale (Ferrara,
1999) in www.studiperlapace.org.
2
Jürgen Habermas, Fatti e Norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia,
Guerini e associati, Milano 1996, 554, nonché Parte III, 3, (a) del presente lavoro.
3
Jürgen Habermas, Kant’s Idee des ewigen Friedens – aus dem historischem Abstand von 200 Jahren, in
Kritische Justiz, 28, 1995, tr.it. L’idea kantiana della pace perpetua, due secoli dopo, in ID., L’inclusione
dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 1998, 203.
III
in cui non verrà chiuso il cerchio tra applicazione vincolante del diritto e
legiferazione democratica.
Sul piano della riflessione concettuale è dibattuta la questione se la
teoria giuridica habermasiana possa essere definita positivista o meno. Se
per positivismo giuridico si intende la tesi secondo la quale non c’è legame
tra diritto e morale, la risposta più adeguata pare essere che si tratta di una
teoria non-positivista con implicazioni positiviste
5
. E’ non-positivista
perché Habermas ipotizza chiaramente un legame tra diritto e razionalità
comunicativa. Questo legame nasce con il principio di discorso e si
manifesta nella dimensione di validità del diritto, che si caratterizza sia per
il carattere positivo del diritto, sia per la sua pretesa di legittimità (che
equivale, nell’idea habermasiana, ad accettabilità razionale). La teoria ha
tuttavia implicazioni positivistiche perché Habermas parte dal presupposto
che nelle società moderne diritto e morale si siano differenziati in due
“circoli normativi funzionalmente separati”
6
. Dal punto di vista discorsivo
questa differenziazione si esprime nella scissione del principio morale nei
due principi “co-originari”: principio di discorso e principio democratico.
Insomma, la legittimità del diritto non deriva dal solo fatto di essere
statuito, positivo, indipendentemente dal suo contenuto. Habermas non lega
l’idea di legittimità neppure a massime che, nel loro contenuto, richiamino
criteri di giustizia materiale (che potrebbe essere piuttosto ricercata nel
discorso morale, autonomo ed indipendente da quello giuridico – e
complementare a questo). Il fondamento di legittimità del diritto moderno
sta piuttosto nel discorso giuridico e nella procedura razionale e
4
Cfr. anche Danilo Zolo, Il cosmopolitismo kantiano di Jürgen Habermas, in Ragion pratica, 10, 1998,
161-174 che affronta anche l’interessante questione se l’applicazione dei diritti dell’uomo, permeati di
razionalità occidentale, possa dar luogo, secondo Habermas, ad una forma di imperialismo culturale.
5
Ralf Dreier, Rechtsphilosophie und Diskurstheorie, in Zeitschrift für philosophische Forschung, 48,
1994, 97ss.
6
Ivi, 98 [t.d.r.].
IV
democratica del procedimento legislativo. Infatti questi riescono a garantire
la realizzazione dell’autonomia dell’individuo e, allo stesso tempo,
l’accettabilità nella maggior misura possibile delle norme statuite
7
.
Quest’evoluzione s’inquadra, in un certo senso, nella crisi dello Stato
di diritto dovuta ai mutamenti economico-sociali della società nel suo
complesso
8
: abbattimento dei vincoli spazio-temporali nella produzione e
nel lavoro in seguito all’irruzione nel mondo della produzione
dell’informatica, progressiva integrazione del mercato mondiale,
intensificazione della circolazione e del consumo nel quadro della società
di massa. Da questi fenomeni è stato messo in crisi il tradizionale Stato di
diritto, anche nella forma di Stato sociale, basato su un criterio di astratta
legalità formale e su un suffragio elettorale limitato, legittimato dalla teoria
razionalistica kantiana che poggiava sull’istanza come istanza di ragione,
da un lato, e sul diritto come antecedente logico allo Stato, dall’altro
9
.
Teoricamente separato dal criterio di legittimità democratica lo Stato di
diritto non collegava all’obbligo politico d’obbedienza universale alla legge
alcun diritto politico altrettanto universale. Poteva di fatto convivere con un
suffragio politico ristretto, con l'idea dello Stato-persona anteposto alle sue
concrete istituzioni democratiche, con la sopravvivenza di una arcaica
prerogativa dell'autorità costituita.
Nella seconda metà del nostro secolo il modello dello Stato di diritto
si è profondamente modificato grazie alla introduzione del suffragio
universale, imposto dalla spinta di vari movimenti politici (movimento
7
Thomas Raiser, Aufgaben der Rechtssoziologie als Zweig der Rechtswissenschaft, Antrittsvorlesung der
Humboldt-Universität, Fachbereich Rechtswissenschaft, Berlin 1993, 15 [t.d.r.].
8
Per gli spunti che seguono cfr. Umberto Cerroni, Lo Stato democratico di diritto. Modernità e politica,
Philos, Roma 1998.
9
Cfr. Ingeborg Maus, Diritti di libertà e sovranità popolare. La ricostruzione habermasiana del sistema
dei diritti, in Teoria politica, 1, 1996, 101: “La differenza tra Kant e Habermas è una differenza di epoche
storiche. Essa segna la distanza che intercorre tra il momento di ascesa dello stato democratico di diritto e
la sua involuzione.”
V
operaio, movimento femminista, movimenti studenteschi e giovanili,
movimenti di minoranze escluse) ma anche da obiettive necessità di
allargamento della partecipazione politica, di promozione dell'integrazione
nazionale e culturale. A ciò si è aggiunta la ricezione delle Carte dei diritti
internazionalmente sanciti che hanno largamente innovato l'ordinamento
giuridico e costituzionale. La rappresentanza politica è andata così
universalizzandosi e la legislazione ha progressivamente legittimato campi
sempre più vasti di bisogni sociali producendo pertanto leggi basate sulla
mediazione di interessi particolari sempre più numerosi e diffusi.
Per questi motivi lo Stato di diritto si è andato qualificando anche
come Stato democratico: in quest’ottica il principio di legalità non
confligge più teoricamente con il principio di legittimazione democratica.
Ciò non significa affatto che la legge sia sempre davvero conforme
all'interesse generale di lungo periodo e neppure che essa sia effettivamente
condivisa nei suoi contenuti da tutti. Significa però che la partecipazione
procedimentale di tutti alla confezione della legge tramite la rappresentanza
universale, le regole di tutela della minoranza politica e la possibilità di
diventare maggioranza e di mutare la legge, inseriscono alla base dello
Stato di diritto un principio di uguaglianza materiale che lo mutano in Stato
democratico di diritto. La legalità, essendo fondata su leggi che nascono
dalla volontà di tutti, implica la legittimità democratica della legge e la
eventuale illegittimità materiale può essere sanata secondo regole previste
dallo stesso ordinamento giuridico. Mentre la legalità ottiene un
fondamento democratico-partecipativo, l'illegittimità trova rigorosi rimedi
giuridici interni all'ordinamento e specifiche garanzie (Corte
Costituzionale, separazione dei poteri, indipendenza della magistratura,
giustiziabilità dei conflitti fra Stato e cittadino, libertà individuali e
collettive costituzionalmente protette).
VI
Con la teoria habermasiana del diritto l'antico principio quod principi
placuit legis habet vigorem assume un significato qualitativamente diverso,
giacché il principe è ora costituito dall’unità ideale dei cittadini e la sua
volontà è l’incontro, sotto forma di discorso
10
, di tutte le volontà che
compongono il popolo dei cittadini. La volontà decidente dello Stato si fa
valere in un’idea di sovranità popolare fluidificata ed anonima, che si
esprime attraverso una “circolarità processuale di consultazioni e
deliberazioni ragionevolmente strutturate”
11
. Dunque la ratio decisoria
dovrà emergere proprio da questo procedimento di mediazione della
voluntas, che ha il compito di cercare e rafforzare la “ragione esistente”
nella società. Né la ratio dello ius potrà più essere dedotta da una iustitia
metapolitica, né la voluntas particolare, guidata dall’interesse, potrà
contrapporre allo ius positum una superiore iustitia, dal momento che può
(e deve) farla direttamente valere nella sua partecipazione al processo di
statuizione attraverso gli strumenti garantiti dal sistema habermasiano dei
diritti, cioè i diritti di partecipazione democratica. Unica condizione di
legittimità diventa il consenso (espresso tramite quella maggioranza che
nella teoria del discorso assume la valenza di un consenso ad interim
12
): un
10
“Possono pretendere legittimità solo quelle regolazioni, cui consentirebbero tutti i possibili coinvolti in
quanto partecipanti a discorsi razionali. Nei ‘discorsi’ i partecipanti, cercando di convincersi
reciprocamente di qualcosa tramite argomenti, vogliono giungere ad opinioni comuni; mentre nelle
‘trattative’ ricercano un accomodamento tra i loro diversi interessi. Ma se il luogo di formazione della
volontà ragionevole sono i discorsi (oppure […] trattative dalla procedura discorsivamente fondata),
allora la legittimità del diritto si fonda in ultima istanza su un arrangiamento comunicativo” Jürgen
Habermas, Fatti e Norme cit., 127; cfr. anche ID., Legittimazione tramite diritti umani, in L’inclusione
dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 1998, 219.
11
Jürgen Habermas, Fatti e Norme cit., 163. Fabio Fiore riduce la tesi habermasiana secondo la quale la
contrapposizione tra diritto naturale e diritto positivo, che si esprime nelle forme di una fluidificazione
comunicativa di ragioni pubblicamente dibattute, ad uno schema giuspositivista: “Spostando interamente
il peso della validità giuridica sulla volontà, per quanto diluita per vie procedurali nei dibattiti pubblici,
del legislatore politico, Habermas stesso sembra riprodurre lo schema giuspositivistico in cui la legge si
impone dall’alto, in virtù della superiore razionalità delle sue forme di produzione, alla razionalità
condizionata e sussidiaria della sua applicazione, i cui fondamenti di validità restano monopolio costante
della politica, unico lato autonomo del diritto.” (ID., Le ragioni del diritto. Sul positivismo giuridico nella
teoria discorsiva di Jürgen Habermas, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2, 1995, 534).
12
“La regola di maggioranza conserva un’interna relazione con la ricerca della verità per il fatto che la
decisione maggioritaria rappresenta solo un’interruzione nel corso d’una discussione incessante. Essa
VII
consenso nel quale la voluntas dei soggetti particolari si incontra con la
ratio delle opportunità e degli interessi comuni, guidata dall’ “uso pubblico
di svincolate libertà comunicative”, che consiste nel “fare uso pubblico
della propria ragione in tutti i campi”
13
. Insomma la legalità formale della
decisione pubblica diventa, attraverso l’uso linguistico orientato all’intesa
ed il principio democratico (che lega la “validità legittima” delle norme
giuridiche al fatto che “possano trovare l’approvazione di tutti i consociati
giuridici in un processo discorsivo di statuizione giuridicamente
costituito”
14
), anche garanzia di legittimità.
Habermas può, in questo senso, chiamarsi un giusdemocratico
15
,
testimone di un fine secolo che, perlomeno nelle zone più evolute
dell’Occidente, assiste alla espansione della democrazia e alla integrazione
fra Stato di diritto e democrazia. Entrate in crisi le tradizioni ottocentesche,
che contrapponevano le due tendenze - facendo slittare lo Stato di diritto
nel legalismo formalistico chiuso alle istanze democratiche, e relegando la
democrazia nel rivendicazionismo antistatale - con la fine della guerra
fredda siamo entrati in una nuova fase storica nella quale il consolidamento
dei diritti e dei doveri legalmente sanzionati potrebbe coesistere con una
responsabilizzazione delle grandi masse (anche attraverso l’accresciuto
potere dei media). Da una parte il soddisfacimento dei bisogni elementari
salda la cultura individuale al sistema politico democratico, dall’altra il
consolidamento delle istituzioni socio-politiche potrebbe consentire una
maggiore partecipazione e una maggiore capacità di giudizio pubblico
16
.
fissa, per così dire, un risultato provvisorio nella formazione discorsiva dell’opinione.” Jürgen Habermas,
Fatti e Norme cit., 212s.
13
Jürgen Habermas, Fatti e Norme cit., 177.
14
Jürgen Habermas, Faktizität und Geltung, 141 [t.d.r.].
15
Il neologismo è tratto da Umberto Cerroni, Lo Stato democratico cit., 201.
16
La forma dubitativa si impone a causa delle difficoltà che solleva il tema affrontato. Il destino della
democrazia nell’era delle tecnologie è analizzato, da ultimo, da Stefano Rodotà, Tecnopolitica. La
democrazia e le nuove teconologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 1997.
VIII
Habermas riconduce i tradizionali conflitti tra giuspositivismo e
giusnaturalismo, tra legge e giustizia, tra legge positiva e legge giusta
all’interno di una scienza giuridica che ha ormai assimilato le proposte
della democrazia evoluta e di una cultura politica che ha sposato la legalità.
Parte I TEORIA DEL DISCORSO
2
1. CARATTERI GENERALI DELL’ETICA DELLA COMUNICAZIONE (O ETICA
DEL DISCORSO)
(a) Introduzione
Il programma della teoria del discorso e dell’etica del discorso
17
è
concepito da Jürgen Habermas come complemento della teoria dell’agire
comunicativo ed è ispirato al pensiero di Karl Otto Apel
18
. L’intero sistema
17
Il tema de qua sarà oggetto d’analisi nei limiti delle premesse strutturali che lo collegano con la teoria
giuridica di Jürgen Habermas. Cfr. Jürgen Habermas, Moralbewußtsein und kommunikatives Handeln,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1983; tr.it. Etica del discorso Laterza, Roma-Bari [1985] 1993
2
; ID.,
Erläuterungen zur Diskursethik, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991; tr.it. Teoria della morale, Laterza,
Roma-Bari 1994; ID., Zur Rekonstruktion des historischen Materialismus, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1976; tr.it. Per la ricostruzione del materialismo storico, Etas, Milano 1979; ID., Die Einbeziehung des
Anderen. Studien zur politischen Teorie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1996; tr.it. L’inclusione dell’altro.
Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 1998, nonché ID., Faktizität und Geltung. Beiträge zur
Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaates Suhrkamp, Frankfurt a.M. [1992]
1997
5
; trad. it. Fatti e norme. Contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini e
Associati, Milano 1996. Per un’analisi delle differenti impostazione dell’etica del discorso habermasiana
da quella apeliana cfr. Karl Otto Apel, Diskurs und Verantwortung, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1988; ID.,
Limiti dell’etica del discorso?, in Etiche in Dialogo, Marietti, Genova 1990; Stefano Petrucciani, Tanto
per intenderci. L’etica del discorso di J. Habermas e K.O. Apel, in Il Manifesto, 4.IX.1985. Cfr. inoltre
Annemarie Pieper, Einführung in die Ethik, Mohr, Tübingen 1991; Alessandro Pinzani, Problemi di
applicazione nella teoria discorsiva della morale e del diritto, in Ars Interpretandi, 1, 1996, 55-75; ID.,
Solidarietà e democrazia. Osservazioni su antropologia, diritto e legittimità nella teoria giuridica di
Jürgen Habermas, in Iride, 18, 1996, 473-482; Franco Volpi, Tra Aristotele e Kant: orizzonti, prospettive
e limiti del dibattito sulla "riabilitazione della filosofia pratica", in Carlo Augusto Viano (cur.), Teorie
etiche contemporanee, Bollati Boringhieri, Torino 1990, 128-148; David Rasmussen, Leggere Habermas,
Liguori, Napoli 1993; Elena Agazzi, Dopo Francoforte. Dopo la metafisica, Liguori, Napoli 1990; Franca
D'Agostini, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent'anni, Raffaello Cortina Editore,
Milano 1997, specialmente 361ss.; Harry Kunz, Die Grenzen des Diskurses. Anmerkungen zu Jürgen
Habermas, http://www.oeko-net.de/kommune/kommune8-96/DHABERMA.htm ed Antje Grimmler, The
discorse ethics of Jürgen Habermas, http://www.lcl.cmu.edu/CAAE/Home/
Forum/meta/background/agimmler.html in The meta ethics of applied ethics. Discussion archives,
Meta.theoretical issues in Habermars’s discorse ethics, in http://www.lcl.cmu.edu/CAAE/Home/
Forum/meta/archive/habermas1.html.
Da notare, infine, che Habermas propone di chiamare l’ “etica del discorso” “teoria del discorso
della morale” per sottolineare la differenziazione, operata nel 1988 nella Howison Lecture tenutasi a
Berkeley nel 1988, tra discorsi morali e discorsi etici. Cfr. ID., Teoria della morale cit., Prefazione, VII.
18
Jürgen Habermas, Etica cit., Prefazione. Se Apel e Habermas condividono l’obiettivo del loro progetto
filosofico (cioè la ricostruzione della ragione a partire dalle premesse del linguistic turn) ed, in parte, il
metodo ricostruttivo che vuole “mettere in luce un potenziale di ragione incorporato nella stessa prassi
comunicativa quotidiana” (Franca D’Agostini, Analitici cit., 390), essi non concordano pienamente
sull’effettiva portata pratico-morale dell’aggancio della ragione pratica al linguaggio: infatti Apel lo
intende nel senso di una fondazione “ultima”, trascendentale (da cui la denominazione pragmatica o etica
trascendentale), mentre Habermas non condivide l’idea secondo la quale il riferimento al telos
immanente al linguaggio possa costituire una fondazione ultima delle regole morali e preferisce parlare di
pragmatica universale. Cfr. inoltre Il paradosso del fallibilista. Intervista a Karl Otto Apel che contesta
all’amico Habermas di aver abbandonato il terreno dell’etica del discorso, Il Sole24Ore, 10.IIX.1997
3
teorico fa perno sull’idea che sia possibile determinare la giustezza di una
norma sulla base di un discorso tra gli interessati, cioè tra coloro che
possono venire colpiti nei loro interessi dalle conseguenze
dell’applicazione di quella norma. Alla base di questa teoria sta
l’assunzione secondo la quale è possibile l’argomentazione razionale basata
su dei principi universalmente validi, a partire dal fatto stesso che non è
possibile negare l’esistenza di una struttura argomentativa
19
: nel paradigma
comunicativo il linguaggio è visto non solo come la dimensione
privilegiata dell’esplicarsi della socialità umana, ma soprattutto sfera nella
quale individuare e regolamentare pacificamente gli elementi polemogeni
che da questa scaturiscono
20
.
La fondazione razionale della modernità basata sull’analisi delle
strutture del linguaggio
21
risponde alla crisi della razionalità oggettiva, da
un lato, e alla crisi della ragione soggettiva, dall’altro. Infatti, se è noto
22
come i criteri della razionalità scientifica, morale e politica dell’età
premoderna avessero un fondamento mitologico o metafisico che li
(anche in http://www.symbolic.parma.it/bertolin/sole1008.htm): “Io credo che esista una fondazione
pragmatico – trascendentale che rende possibile l’etica. Questa è sempre stata la principale differenza tra
Habermas e me. Nel suo ultimo grande lavoro Fatti e Norme emergono nuovi problemi e nuove
divergenze. Non posso essere d’accordo con la sua differenziazione dei discorsi (morale, giuridico e
democratico), né con l’idea secondo cui l’etica del discorso è moralmente neutrale (…) [né con l’idea
che] non ci sarebbe fondamento morale del diritto [ , né con l’idea che] il principio di democrazia sarebbe
identico al principio di diritto.” Elena Agazzi ritiene invece che la distanza che separava la teoria
pragmatico-trascendentale di Apel da quella universal-pragmatica si sia “assai ridotta”. Cfr. ID., Dopo
Francoforte cit., 110.
19
Per una sintesi delle conseguenze di quest’intuizione, ed in particolare per il problema di
normativizzare la prassi argomentativa, cfr. Franca D’Agostini, Analitici cit., 387ss.
20
Franco Volpi, Tra Aristotele e Kant cit., 141.
21
“Secondo Habermas gli uomini sono costretti, in maniera dolce ma inevitabile, alla ragione attraverso il
linguaggio, che fa si che gli uomini formino un’insieme, un’umanità. Il linguaggio è più che informazione
e comunicazione di segni e significati. E’ interazione, azione linguistica, strumento con il quale il parlante
con ogni sua espressione si vincola verso il destinatario del messaggio. Il vincolo consiste nell’essere
disposti a fornire le ragioni dell’espressione usata se questa dovesse venire contestata.” Thomas Blanke,
Sanfte Nötigung, in Kritische Justiz 4, 1997, 444 [ t.d.r.] . Sul linguistic turn vedi sotto, 2, (a) e Georgia
Warnke, Communicative rationality and cultural calues, in The Cambridge Companion to Habermas,
Stephen White (ed.), Cambridge University Press, N.Y. 1995, 120 – 142.
22
Cfr., anche per l’analisi che segue, Leonardo Ceppa, Jürgen Habermas: dalla Diskursethik alla
filosofia del diritto, in Paradigmi, 37, 1995.
4
sottraeva ad ogni dubbio e critica, la “ragione dei moderni” che ad essa
subentra “non è più struttura oggettiva del mondo bensì strumento
soggettivo per trasformare le cose”
23
. Il concetto di ragione soggettiva
entra però in crisi nel momento in cui si cerca di identificarne
univocamente il soggetto portatore
24
, esponendo la modernità ad un deficit
fondativo che Habermas vuole colmare proponendo un’oggettività
razionale che si basa sul libero consenso dell’individualità soggettiva, la cd.
razionalità comunicativa
25
. Questa razionalità è iscritta nel telos linguistico
dell’intesa, ed è resa possibile dalle interazioni e forme di vita che
s’intrecciano nel medium linguistico
26
. Al posto del paradigma ormai
superato dell’idea moderna della soggettività subentra ora il paradigma
dell’agire comunicativo
27
che mette in evidenza “i due elementi che nella
tradizione ermeneutica e quella analitica avevano operato il superamento
della filosofia del soggetto, vale a dire il linguaggio come paradigma ed il
23
Ibidem, 41.
24
Come il cogito di Descartes, l’io penso di Kant, la specie umana di Marx, l’esserci heidereggiano ecc.
25
La ragione comunicativa si differenzia dal concetto di ragion pratica specialmente perché non è una
facoltà soggettiva che prescriva agli attori quel che devono fare. “Essa possiede contenuti normativi solo
nella misura in cui, per agire comunicativamente, uno deve sempre affidarsi a presupposti pragmatici di
natura controfattuale” (Jürgen Habermas, Fatti e Norme cit., 12). Questi presupposti di natura
controfattuale non sono altro che quelle idealizzazioni che introdurranno nelle forme di vita
linguisticamente strutturate la tensione tra fattualità e validità. Cfr. anche Leonardo Ceppa, Jürgen
Habermas cit., 43: “Tale ragione comunicativa si differenzia da quella classica per il fatto di non
presupporre metafisicamente l’unità del soggetto; sul piano della genealogia, al contrario, sono piuttosto
la prassi comunicativa e l’interazione simbolica a generare da sé il cluster (grappolo) delle soggettività
empiriche”.
26
Jürgen Habermas, Fatti e Norme cit., 11. Sulle condizioni possibilitanti e limitanti allo stesso tempo
che il medium del linguaggio impone a chiunque se ne voglia servire cfr. sotto nel testo.
27
Jürgen Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1981; tr. it.
Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna 1985. “Chiamo comunicative quelle interazioni nelle
quali i partecipanti coordinano di comune accordo i loro piani d'azione; qui l'accordo di volta in volta
raggiunto si commisura in base al riconoscimento intersoggettivo delle pretese di validità. Nel caso di
processi di intesa esplicitamente linguistici, gli attori con le loro azioni linguistiche, in quanto si
intendono fra di loro su qualcosa, elevano pretese di validità, e cioè pretese di verità, pretese di giustezza
e pretese di veracità, a seconda che si riferiscono a qualcosa nel mondo oggettivo (inteso come totalità di
stati di cose esistenti), a qualcosa nel comune mondo sociale (inteso come totalità di relazioni
interpersonali di un gruppo sociale regolate secondo leggi) o a qualche cosa nel proprio mondo soggettivo
(inteso come totalità degli eventi vissuti accessibili in modo privilegiato). Mentre nell'agire strategico uno
influisce su un altro empiricamente, con la minaccia di sanzioni o la prospettiva di gratificazioni, per
indurlo alla desiderata continuazione di un'interazione, nell'agire comunicativo uno viene razionalmente
5
legame tra linguaggio e prassi”
28
. Infatti l’agire comunicativo fa convergere
sia i motivi linguistici che quelli pragmatici su una nuova dimensione:
quella della comunicazione, del discorso
29
. “Dal punto di vista di una teoria
dell’agire comunicativo il nocciolo della teoria degli atti linguistici risiede
nella spiegazione della forza illocutiva che è propria delle espressioni
performative, vale a dire della sua capacità di generare le relazioni
interpersonali volute dal soggetto che parla”
30
.
Lo stesso Habermas sintetizza le regole che presiedono alla
comunicazione in base alla forza illocutiva del discorso
31
:
1 Un atto linguistico ha effetto, vale a dire viene a capo del rapporto
interpersonale che S istituisce quando:
risulta comprensibile e accettabile
viene accettato dall’ascoltatore
2 L’accettabilità di un atto linguistico dipende fra l’altro dal fatto che
siano soddisfatti due presupposti pragmatici:
il sussistere di contesti limitati alla situazione discorsiva (preparatory
rule)
un impegno evidente da parte del soggetto che parla di contrarre
obbligazioni tipiche dell’azione linguistica (essential rule-sincerity rule).
motivato dall'altro a un'azione concordata, e ciò in virtù dell'effetto illocutivo di collegamento che è
proprio di una proposta linguistica.” ID., L’etica cit., 66.
28
Lucio Cortella, Habermas e la svolta comunicativa della filosofia tedesca, in Fenomenologia e società,
2, 1984, 25.
29
Dall’unione delle caratteristiche di manifestazioni sintattiche, semantiche e paragmatiche nasce la
concezione di una pragmatica universale che permette una ricostruzione razionale in un quadro
universalistico. Cfr. Thomas McCarthy, Kritik der Verständigungsverhältnisse. Zur Theorie von Jürgen
Habermas, Suhrkamp, Frankfurt a.Main 1980, 312 (citazione in Elena Agazzi, Dopo Francoforte cit.,
107, nota 4.
30
Jürgen Habermas, Teoria della morale cit., 321. La forza illocutiva permette cioè a colui che parla di
motivare l’ascoltatore ad accettare la sua proposta linguistica e con ciò si impegna in maniera razionale.
31
Ibidem, 325s. (riportato anche in Elena Agazzi, Dopo Francoforte cit., 108s.); vedi inoltre ID., Fatti e
Norme cit., 11s.
6
3 La forza illocutiva di un atto linguistico consiste nell’essere in grado di
indurre l’ascoltatore ad agire secondo la premessa che l’impegno discorsivo
indicato è inteso seriamente; il soggetto che parla può:
nel caso di atti linguistici istituzionalmente vincolati, prendere a prestito
questa forza direttamente dalla forza obbligante di norme in vigore
nel caso di atti linguistici non vincolati istituzionalmente spiegare questa
forza in modo da indurre al riconoscimento di pretese di validità.
4 Parlante ed ascoltatore possono muoversi reciprocamente verso un
riconoscimento di pretese di validità, perché il contenuto dell’impegno
linguistico è determinato da un riferimento specifico a una pretesa di validità,
messa tecnicamente in evidenza, con la quale il parlante assume in modo
cognitivamente verificabile:
obblighi di fondazione, con una pretesa di verità
obblighi di giustificazione, con una pretesa di giustezza
obblighi di convalida, con una pretesa di veridicità.
A partire da quest’approccio, Habermas si serve del concetto
dell’agire comunicativo (che fa riferimento alle interazioni linguistiche
quotidiane su questioni pratiche) per fondare una etica del linguaggio
universale (universalistischen Sprachethik). Idea di fondo è che il
riferimento alle pretese di validità presupposte nel linguaggio e nell’uso
linguistico
32
contenga un potenziale rilievo etico: si tratta specificatamente
delle pretese di comprensibilità (Verständlichkeit), della verità (Wahrheit),
della veridicità (Wahrhaftigkeit) e della giustezza (Richtigkeit), che
chiunque argomenti sensatamente deve porre come coordinate di fondo
della sua argomentazione per non cadere in contraddizione. Queste pretese
di validità discorsive
33
forniscono gli elementi minimali per definire le
32
Jürgen Habermas, Fatti e Norme cit., 17ss., 27ss., e Franco Volpi, Tra Aristotele e Kant cit., 141.
33
Cfr. Elena Agazzi, Dopo Francoforte cit., 116.
7
condizioni formali e procedurali che formano la condizione comunicativa o
discorsiva ideale, che funge da principio regolatore per le condizioni
comunicative e discorsive reali. L’effetto pratico-morale di quest’analisi
pragmatica
34
del linguaggio sta nel fatto che essa permette innanzitutto di
individuare le condizioni ed i criteri dell’argomentare corretto in merito a
regole o principi morali, consentendo anche di introdurre con valore
normativo procedure che definiscono la situazione ideale per discutere
dell’agire, e degli interessi e delle conflittualità che esso implica, in
maniera imparziale in vista del conseguimento di un’intesa.
In sintesi
35
, il metodo del discorso pratico parte dall’assunto secondo
il quale la fondatezza (Rechtmäßigkeit) delle pretese di validità non deve
essere vagliata in maniera autoritativa, attraverso l’imposizione, ma
secondo il metodo discorsivo. In relazione a ciò, nella sua teoria
consensuale della verità
36
delle norme d’azione, Habermas sviluppa una
logica del discorso pratico che si basa su due piani argomentativi che
fungono da filtro del discorso per raggiungere un risultato fondato. Al
primo livello dell’argomentazione nell’agire comunicativo la validità delle
norme viene assunta senza ulteriori problematizzazioni. Nel discorso
pratico la fondatezza delle pretese di validità sottaciute nei giudizi
quotidiani relativi all’agire viene messa apertamente in discussione; in altre
parole, la comunicazione discorsiva (diskursive Verständigung) al primo
stadio vaglia criticamente la vincolatività di valori e norme tacitamente ed
34
Pragmatica perché implica l’idea di un “soggetto” che parlando compie un atto pratico.
35
Jürgen Habermas, Wahrheitstheorien 1972, in Vorstudien und Ergänzungen zur Theorie des
kommunikativen Handelns, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1984, 155ss.; Annemarie Pieper, Einführung cit.,
178-182.
36
Evidentemente il “vero” oggetto di consenso non è mai il dato contenutistico particolare, ma la struttura
formale dei suoi criteri di verificazione/falsificazione. Cfr. Leonardo Ceppa (Jürgen Habermas cit., 43s.)
che sottolinea come “la teoria consensuale della verità è una costruzione metodologica che non riguarda il
dato di fatto concreto, ma il quadro epistemologico (o gioco linguistico) in cui questo dato può essere
convalidato o falsificato. Il consenso (…) pertiene non a ciò che si presenta sul piano empirico, ma alle