Politiche del lavoro in Italia
Le politiche del lavoro, come la maggior parte di quello che passa sotto la lente delle scienze sociali, sono soggette a diverse interpretazioni, a seconda del punto di vista dal quale le si osservi.
La focalità non sta nel voler per forza classificare il giusto e lo sbagliato, eleggere un parametro ad universale ed assoluto, in quella sfrenata corsa di coatto avvicinamento alle cosiddette scienze esatte. Quando si parla di politiche del lavoro spesso ci si dimentica cosa sia il lavoro per le persone, quale sia la centralità riconosciuta e fondante di questo nella vita vissuta.
Non si tratta di voler dimostrare a tutti costi che la strada che si indica è quella giusta: la realtà delle cose, ben catturata in questo caso da Downs nella sua Teoria Economica della Democrazia, è che la politica significa anche prendere decisioni. Ne consegue che una decisione giusta, presa però con eccessivo ritardo, perde i suoi effetti benefici e si tramuta in una decisione sbagliata. Nel momento nel quale si decide che strada intraprendere (ed ecco che l'esigenza di un patto sociale è veramente urgente, ma l'accordo dovrebbe essere necessariamente stabilizzante nel suo vincolare le parti in causa, che, alla prova dei fatti, forse mancano dell'adeguata dose di responsabilità sociale) non ci si può arenare o fermare a decisioni in ordine sparso: un singolo provvedimento perde i suoi effetti se non è supportato dall'impalcatura in grado di sorreggerlo.
II pensiero di Amartya Sen, il quale, nella sua visione, mette al centro il lavoro come capacità di espressione, come benessere, come libertà. L'utilizzo di un autore che spesso viene solo ridotto ad ''economista sociale'' (con tutta la carica un poco snobista che sottintende questa classificazione, quasi che chi cercasse alternative alle spiegazioni correnti fosse deprecabile in partenza), ha permette di sviscerare i concetti di benessere e tenore di vita che troppo spesso vengono solo visti in funzione del reddito: la capacità di capire l'importanza del lavoro e le enormi conseguenze della disoccupazione, getta un ponte nuovo tra gli argomenti di uso corrente.
Scegliere per questo problema il pensiero dell'economista Sen, significa introdurre elementi spesso marginali al dibattito politico ed economico. Il suo pensiero non è fortemente sbilanciato nell'approccio, come succede di solito nell'affrontare questi problemi, collocati per loro stessa natura al confine tra economia e società. Anzitutto, egli è un economista, ed introduce l'etica nell'economia non come magico ingrediente umanistico in una scienza ''fredda'', bensì recuperandola dell'economia stessa. Usa strumenti economici per muoversi nella direzione di dimostrare quanto sia importante il lavoro per le persone, e per la società stessa. Tutto questo senza scivolare nel continuo ricorso a categorie analitiche troppo lontane dal funzionamento economico della società: anzi, utilizza gli stessi strumenti di chi giunge a conclusioni opposte, dimostrando quanto contino i punti di vista dai quali si parte e quanto possa essere intellettualmente ''comodo'' far passare per immutabili cose che non lo sono, arrendendosi ad un determinismo che non esiste.
La disoccupazione è un nodo sociale stringente quando si guarda ai problemi di chi il lavoro non l'ha. L'equilibrio che dimostra Sen (forse frutto dell'alchemica unione delle sue radici, essendo egli anglo-indiano) nell'affrontare il problema del lavoro dovrebbe essere una direttrice da intraprendere. Egli denuncia le gravi ripercussioni sociali alle quali va incontro il disoccupato, caratteristica questa propria forse di un approccio sociologico. Allo stesso tempo, egli rimarca i significati economici di determinati approcci, addirittura creando categorie analitiche proprie, ad esempio, dei paesi sottosviluppati. Riesce ad unire, insomma, queste due visioni che, all'apparenza e per quello che è dato di leggere ai giorni nostri, sembrano soffrire di reciproca incompatibilità. Tutto questo rimarcando quanto il lavoro necessita d'essere ''riportato al centro'' della politica, vero motore di una società che, avendo come caratteristica la propria autoconservazione, non può prescindere dalla stabilità economica e sociale, necessariamente mancante con una forte disoccupazione.
I tempi nei quali viviamo ci consegnano e rafforzano l'economia come fosse staccata dal contesto nella quale è prodotta: non ci si ricorda come la teoria sia figlia di un determinato punto di vista. Questo è l'elemento fondante della teoria stessa (tratto tipico ed essenziale di qualsiasi scienza sociale), ma spesso non viene riconosciuto come tale, dimenticando soprattutto il fatto che questo è ''collocato'' (come ogni punto di vista), producendo in tal senso una visione del mondo unidirezionale, incapace di riconoscere il punto dal quale parte.
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Informazioni tesi
Autore: | Lorenzo Botti |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1998-99 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Politiche |
Relatore: | Gloria Regonini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 192 |
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