''La lingua scassata''. Glossario delle opere di Annibale Ruccello.
È parsa una scelta stimolante indagare tra le riflessioni linguistiche di Annibale Ruccello, drammaturgo stabiese scomparso prematuramente quando ormai era più che una promessa nel panorama teatrale nazionale. L’attenzione si è incentrata in primo luogo sull’analisi comparativa, con l’ausilio della valida bibliografia a corredo (Di Bernardo, Bianchi, De Blasi), dei testi ruccelliani dal punto di vista linguistico. Fondamentale è il contesto sociale e culturale in cui vive e opera, tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, quando la televisione entrata ormai in tutte le case degli italiani propone modelli di comportamento e un linguaggio omologato che riduce fortemente l’espressività. Ruccello, grazie anche ai suoi studi di antropologia, nota come la cultura di massa stia schiacciando la cultura popolare e questo cambiamento della società si osserva soprattutto nella lingua. Nelle sue opere compie una scelta linguistica precisa, quella della verosimiglianza. La lingua dei suoi personaggi, infatti, rispecchia la realtà ed anche per questo il suo linguaggio non è uniforme, ma variegato, con la chiara volontà di riprodurre l’ibrido linguistico della società partenopea, dove, anche per effetto dell’influenza mediatica, dialetto e italiano si rincorrono e si mescolano ristratificandosi continuamente. Egli, dunque, mette in scena personaggi femminili, per lo più in contesti popolari e periferici, che con il loro linguaggio, a metà strada tra italiano e dialetto, fanno emergere la lingua scassata, di cui parla in un’intervista, un mezzo comunicativo basato sull’interazione tra la lingua italiana fredda ed impersonale della televisione e della radio, contrapposta alla lingua di viscere che viene fuori quando i personaggi esprimono il loro io più vero senza maschere sociali. La genesi di tale fenomeno è, senza dubbio, da ricercare nell’esproprio delle radici culturali di un intero popolo, costretto a ricorrere alla contaminazione linguistica per dar vita ad un dialetto degradato, ovvero un ibrido che non è più dialetto, ma neppure italiano.
In Ferdinando, anche se l’ambientazione storica non permette l’idea della intromissione massificante e omologante dei mass media, si ripresenta il confronto tra italiano e dialetto, esplicitato grazie ad alcune battute metalinguistiche pronunciate dalla protagonista della vicenda, Donna Clotilde. La baronessa infatti non vuole sentire parlare in italiano perché desiderosa di ritornare al passato borbonico. L’unico personaggio a parlare un italiano manierato sarà solo Ferdinando, finché mantiene il suo ruolo di dissimulatore, ma anche lui utilizzerà il dialetto quando mostrerà la sua vera natura. Non a caso il dialetto “chiantuto” qui rimanda ad un lessico appartenente alla sfera sensuale, corporea e alla tensione passionale che si stempera in una gamma che va dall’amore e alla morte.
Anche qui la lingua di viscere, che è forse l’unica possibile per manifestare la passione, è destinata a subire l’inganno e l’amara considerazione che non si può tornare indietro. I processi storici, come quelli che danno vita all’evoluzione di una lingua, non possono essere arrestati, tuttavia possono essere compresi per non correre il rischio di subirli. Nel nostro caso l’omologazione ad una sistema linguistico e/o comunicativo senza storia e senz’anima.
Della lingua usata da Ruccello nei suoi drammi si propone qui un glossario che riunisce le forme napoletane e italianizzate contenute nelle opere. Inoltre a testimonianza di un registro legato al vissuto quotidiano in cui il dialetto spalanca le porte all’universo televisivo e all’attualità vengono riportati nomi di personaggi e trasmissioni televisive.
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Informazioni tesi
Autore: | Angela Barba |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filologia moderna |
Relatore: | Nicola De Blasi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 100 |
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