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Quando le imprese mentono: la repressione della pubblicità ingannevole tra autodisciplina e ordinamento statuale

In Italia la pubblicità commerciale è attualmente disciplinata dal d.lgs. n. 146/2007, con il quale l’ordinamento italiano ha recepito la direttiva comunitaria 29/2005 in materia di pratiche commerciali scorrette. Tale decreto è andato a modificare gli artt. 18-27 del Codice del Consumo, nei quali era stato a sua volta integrato il d.lgs. 74/1992, primissima forma di regolamentazione italiana in materia di pubblicità ingannevole.
Punti chiave della direttiva:
1)Raggiungere un obiettivo di ”armonizzazione massima” delle forme di tutela del consumatore a livello comunitario, e colmare le lacune e le differenze esistenti tra i vari ordinamenti nazionali;
2)Introduzione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, ovvero contrarie alla diligenza professionale (principi di correttezza e buona fede che il professionista dovrebbe tenere verso il consumatore). Esse si suddividono in pratiche ingannevoli, aggressive e black list. Le pratiche ingannevoli sono quelle che contengono informazioni non rispondenti al vero riguardanti le caratteristiche, il prezzo, la natura del bene, e che sono dunque idonee a pregiudicare il comportamento economico del consumatore. Nelle pratiche ingannevoli sono comprese anche le omissioni ingannevoli, ovvero omissioni di informazioni sul prodotto rilevanti ai fini della scelta.
Sono definite aggressive le pratiche idonee a limitare la libertà di scelta del consumatore attraverso molestie, coercizione, minacce o indebite pressioni.
Nelle black list sono comprese 31 fattispecie di pratiche commerciali, di cui 23 ingannevoli e 8 aggressive, ritenute particolarmente gravi, e per questo in ogni caso vietate, senza necessità di verificare la loro contrarietà alla diligenza professionale. Esempi: esibire un marchio di qualità senza averne ottenuto l’autorizzazione, effettuare pressing psicologico sul consumatore attraverso visite o chiamate ripetute e insistenti, presentare come gratuita l’offerta di un prodotto quando in realtà sono previsti dei costi a carico del consumatore, esortare i bambini a convincere i genitori ad acquistare il prodotto reclamizzato ecc.
3)Le competenze in materia di pubblicità ingannevole restano all’A.G.C.M., meglio nota come Antitrust, come già stabilito originariamente dal d.lgs. 74/92, ma vengono ulteriormente rafforzate, introducendo l’intervento d’ufficio e non più su segnalazione di parte (consumatori, concorrenti, associazioni ecc.), e raddoppiando l’ammontare delle sanzioni pecuniarie previste per le violazioni.
A causa della prolungata inerzia del legislatore e quindi della mancanza di una disciplina statuale del fenomeno pubblicitario, in Italia fin dal 1966 gli operatori pubblicitari hanno costituito l’IAP, formato dal Comitato di Controllo, con funzioni preventive e consultive, e dal Giurì di Autodisciplina, organo giudicante. L’IAP ha emanato il CAP, una sorta di codice deontologico che detta le regole di condotta per gli operatori pubblicitari, tutelando l’interesse dell’imprenditore a non essere leso dalla pubblicità scorretta altrui. I due organi competenti in materia di pubblicità ingannevole sono, dunque, l’IAP e l’Antitrust. I due sistemi sono completamente autonomi e indipendenti l’uno dall’altro, posti, per così dire, su piani “paralleli”. Una pubblicità che risulta ingannevole per l’uno può non esserlo per l’altro, e una stessa controversia può essere presentata innanzi ad entrambi. D’altro canto può risultare superfluo ricorrere all’Autorità per una comunicazione pubblicitaria della quale il Giurì abbia già disposto la cessazione. In quest’ottica l’Autodisciplina può essere vista come uno strumento preventivo in grado di sgravare l’operato dell’amministrazione statale.

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INTRODUZIONE Il 25 gennaio del 1992 il Parlamento approvò il decreto legislativo n. 74, meglio noto come decreto sulla pubblicità ingannevole, in recepimento della direttiva comunitaria n. 450 del 1984, che individuava le fattispecie di ingannevolezza della pubblicità commerciale, nell’intento di indurre i paesi membri ad adottare una normativa nazionale a tutela dei consumatori contro le piccole o grandi truffe perpetrate dagli operatori commerciali attraverso i messaggi pubblicitari. Lo stesso decreto legislativo ha attribuito il compito di vigilare sul rispetto della normativa e di applicare le relative sanzioni all’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), la stessa autorità a cui spetta il controllo sull’osservanza della Legge Antitrust n.287 del 1990 a tutela di consumatori e imprese per garantire il corretto svolgimento del gioco concorrenziale. Nei 16 anni trascorsi dall’introduzione nell’ordinamento italiano della suddetta normativa, si sono verificati molti cambiamenti che stanno caratterizzando il panorama mass-mediatico e pubblicitario italiano. Lo sviluppo della tecnologia ha, infatti, favorito l’espansione di mezzi di comunicazione vecchi e nuovi: in primis, la rete Internet e le sue diverse declinazioni (e-mail, chat, newsletter, forum), poi la telefonia mobile (ed insieme ad essa sms, mms e videochiamate) e, da ultimo, l’incremento di 7

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Parole chiave

antitrust
autodisciplina pubblicitaria
codice del consumo
pratiche commerciali scorrette
pubblicità ingannevole
tutela consumatori

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