INTRODUZIONE
Il 25 gennaio del 1992 il Parlamento approvò il decreto legislativo n. 74,
meglio noto come decreto sulla pubblicità ingannevole, in recepimento della
direttiva comunitaria n. 450 del 1984, che individuava le fattispecie di
ingannevolezza della pubblicità commerciale, nell’intento di indurre i paesi
membri ad adottare una normativa nazionale a tutela dei consumatori contro
le piccole o grandi truffe perpetrate dagli operatori commerciali attraverso i
messaggi pubblicitari.
Lo stesso decreto legislativo ha attribuito il compito di vigilare sul
rispetto della normativa e di applicare le relative sanzioni all’AGCM (Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato), la stessa autorità a cui spetta il
controllo sull’osservanza della Legge Antitrust n.287 del 1990 a tutela di
consumatori e imprese per garantire il corretto svolgimento del gioco
concorrenziale.
Nei 16 anni trascorsi dall’introduzione nell’ordinamento italiano della
suddetta normativa, si sono verificati molti cambiamenti che stanno
caratterizzando il panorama mass-mediatico e pubblicitario italiano. Lo
sviluppo della tecnologia ha, infatti, favorito l’espansione di mezzi di
comunicazione vecchi e nuovi: in primis, la rete Internet e le sue diverse
declinazioni (e-mail, chat, newsletter, forum), poi la telefonia mobile (ed
insieme ad essa sms, mms e videochiamate) e, da ultimo, l’incremento di
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canali televisivi per effetto della diffusione tra il pubblico della parabola
satellitare e del cosiddetto «digitale terrestre».
Per anni la pubblicità è stata legata esclusivamente ai media tradizionali.
La comunicazione d'impresa, tuttavia, è sempre stata alla ricerca di nuovi
mezzi attraverso i quali diffondere i propri messaggi fra il pubblico dei
potenziali consumatori, ed ha trovato, in questi ultimi anni, il favore di nuovi
media che a loro volta l’hanno utilizzata come strumento legittimo di
sostentamento. L'avvento di tali cambiamenti è stato, quindi, salutato con
entusiasmo dagli operatori del settore. Per gli inserzionisti pubblicitari risulta,
insomma, sempre più facile comunicare. Tale progresso, tuttavia, sebbene
abbia favorito la crescita della comunicazione di massa, di contro ha anche
accresciuto le probabilità di un uso illecito e dannoso della pubblicità.
Le disposizioni entrate in vigore con il D. Lgs. n. 74/1992, integrate da
norme in tema di pubblicità comparativa illecita, attuative della direttiva
97/55/CE, sono state in seguito trasposte negli articoli da 18 a 27 del D.lgs.
n. 206/2005 (c. d. Codice del consumo). La disciplina così introdotta mirava
espressamente a tutelare tutti gli interessi potenzialmente coinvolti dalla
comunicazione commerciale ingannevole, ossia quelli dei consumatori, vittime
dirette dell’inganno, quelli dei concorrenti, svantaggiati a favore delle imprese
che ricorrono all’inganno o alla comparazione illecita e, più in generale, quelli
del pubblico alla correttezza della comunicazione commerciale.
Con i decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007, in vigore dal 21
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settembre 2007, infine, il Governo ha recepito le Direttive comunitarie
2006/114/CE e 2005/29/CE. La prima modifica la vigente normativa sulla
pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese; la
seconda introduce la nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali (ivi
incluse le comunicazioni ingannevoli), per disciplinare i rapporti tra le imprese
e i consumatori. Anche in questo caso, entrambe le discipline sono applicate
dall’AGCM, dotata allo scopo, oltre che del potere di attivarsi d’ufficio, di
penetranti poteri investigativi e sanzionatori.
Il presente lavoro di tesi propone, dopo il primo capitolo dedicato ad
un breve excursus sulla disciplina in tema di pubblicità commerciale, un’ampia
riflessione sull’evoluzione della normativa della pubblicità ingannevole, con
particolare riguardo alla modifica determinata dai D.lgs. nn. 145 e 146/2007,
con i quali il legislatore, integrando ed innovando la disciplina complessiva, ha
dimostrato maggiore attenzione per la tutela del consumatore, oltre che per la
tutela del mercato e dei meccanismi concorrenziali.
Per evidenziare l’importanza della predetta evoluzione normativa nei
suoi aspetti pratici ed applicativi, nel terzo capitolo si analizzano le funzioni di
controllo ed i poteri sanzionatori dell’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato, e li si mette a confronto con quelli del Giurì di Autodisciplina,
esaminandone alcune recenti sentenze in settori di intervento analoghi,
confrontandole al fine di far emergere affinità e divergenze tra i criteri
decisionali dei due sistemi, ed evidenziandone il ruolo di strumenti operativi
9
da cui dipende la realizzazione di una efficace tutela del consumatore contro la
pubblicità ingannevole.
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CAPITOLO I
CAPITOLO I
LLAA DDIISSCCIIPPLLIINNAA GGIIUURRIIDDIICCAA DDEELLLLAA PPUUBBBBLLIICCIITTAA’’
COMMERCIALE: UN EXCURSUS
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11.. DDeeffiinniizziioonnii ee pprrooffiillii ddii aannaalliissii ddeellllaa ppuubbbblliicciittàà
In Italia la prima definizione normativa di “pubblicità” è contenuta nell’
art.2, comma 1 del D.Lgs. 25/01/1992 n. 74, che la definisce come “ qualsiasi
forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la vendita di
beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi,
oppure la prestazione di opere o servizi”. Questo decreto legislativo rappresenta
l’attuazione nel nostro ordinamento dell’art.2 comma 1 della direttiva
84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole, che a sua volta definisce
pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di
beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi”. Prima ancora, era stata
la legge ordinaria, ed in particolare la L.06/08/1990 N°223 sulla disciplina del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato (la cosiddetta legge Mammì) a
fornire un’articolata disciplina della pubblicità, anche se limitatamente al
settore televisivo e radiofonico, definendo per la prima volta alcuni principi
essenziali sul tema. Ancora più ampio risulta essere il significato dato al
termine dal Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria (CAP) adottato
dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), ente privato che raccoglie
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numerose associazioni, organizzazioni ed enti del settore e che ha affidato ad
un apposito Giurì il controllo della pubblicità diffusa dai propri associati.
Nel CAP la pubblicità è definita come “ogni forma di comunicazione, anche
istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi, quali che siano le modalità
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utilizzate”. Quest’ultima definizione fa rientrare nella pubblicità commerciale
anche quella “istituzionale”, che, pur non avendo come obiettivo diretto
quello della vendita di beni o servizi, persegue in realtà lo stesso scopo, ovvero
l’accreditamento dell’immagine dell’azienda agli occhi dei consumatori,
promuovendo condizioni generali favorevoli all’accettazione diffusa dei suoi
beni o servizi.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ,
autorità indipendente con competenze anche in materia di pubblicità
ingannevole, fornisce una sua definizione di pubblicità considerando tale
“quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici
(attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che
tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli
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individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.”.
La comunicazione pubblicitaria attualmente costituisce lo strumento di
realizzazione di una serie di molteplici rapporti, se si considera che essa
rappresenta, per le imprese, lo strumento più importante di valorizzazione di
1
Definizione tratta dal sito web dell’IAP, www.iap.it
2
Definizione tratta dal sito web dell’AGCM, www.agcm.it
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prodotti e servizi, e che, per quanto concerne le imprese di comunicazione,
(radio, TV e giornali), le risorse pubblicitarie costituiscono la principale fonte
3
di finanziamento.
La pubblicità può essere osservata sotto tre specifici profili: quello
contrattuale, nel quale essa assume rilievo in quanto qualifica un’offerta diretta
al pubblico, o il contenuto delle obbligazioni assunte dal venditore/fornitore
nei confronti del consumatore; quello concorrenziale, dal momento che la
promozione della propria immagine e dei propri prodotti/servizi svolge un
ruolo fondamentale nelle relazioni tra imprese appartenenti allo stesso
segmento di mercato; e infine un terzo profilo, aggiunto più di recente, che è
quello della tutela dei consumatori e la conseguente disciplina a protezione di
interessi collettivi e individuali. A questi fattori se ne aggiunge un quarto: la
pubblicità ha un forte potere di persuasione che non può essere lasciato
incontrollato, e che costituisce la principale motivazione di molti interventi di
4
disciplina.
3
S. SICA – V. D’ANTONIO, Commento degli artt. 19-27, in P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE (a cura di),
Commentario al Codice del Consumo, IPSOA 2006, p.100 ss.
4
V. ZENO ZENCOVICH, Prospettive di disciplina delle risorse e dei messaggi pubblicitari, in Diritto
dell’Informazione e dell’Informatica,1996, 7ss.
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2. Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di
2. Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di
uunn ddiiffffiicciillee eeqquuiilliibbrriioo
In Italia, tali iniziative legislative presero spunto da una vecchia querelle
che per alcuni decenni divise dottrina e giurisprudenza sul tema degli effetti
prodotti dalla diffusione di messaggi pubblicitari sugli equilibri concorrenziali
del mercato.
Per vari decenni, la maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati
economicamente più evoluti è stata del tutto sprovvista di una disciplina
normativa organica, che comprendesse una adeguata regolamentazione delle
molteplici fattispecie di rilievo giuridico connesse con il fenomeno
pubblicitario. I primi interventi normativi posti in essere nei vari Paesi,
peraltro, prendevano in considerazione, tra le diverse problematiche giuridiche
connesse al fenomeno pubblicità, esclusivamente quelle attinenti alla leale
concorrenza tra imprese, e agli episodi di sviamento di clientela derivanti dalla
diffusione di messaggi pubblicitari dal contenuto ingannevole; nessuna
attenzione veniva, invece, riservata alla possibilità che tali messaggi potessero
5
causare danni concreti ai consumatori.
La Magistratura ordinaria riteneva censurabili esclusivamente i messaggi
pubblicitari strutturati in maniera tale da arrecare pregiudizio alla reputazione
personale o commerciale di un concorrente; al di là di questo, tutto (comprese
5
Cfr. D. MARRAMA, La pubblicità ingannevole – Il giudice amministrativo e la natura giuridica delle
decisioni delle authorities, Editoriale Scientifica, Napoli 2003, p.17.
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lodi eccessive e affermazioni false), veniva considerato lecito, sulla base del
cosiddetto dolus bonus, ovvero il costume dei produttori e dei commercianti di
esaltare esageratamente le merci e i servizi. Tale principio determinava
l’indulgenza dei giudici nei confronti dei comportamenti suddetti,
demandando integralmente il rischio connesso all’inganno pubblicitario sulle
6
spalle dei consumatori.
Si dovette attendere la fine degli anni Sessanta per alcune sporadiche
pronunce che portarono i primi colpi al monolite del dolus bonus, censurando
quei messaggi pubblicitari che, in virtù di affermazioni false in essi contenute,
risultavano anche solo potenzialmente idonei a determinare ingiustificati
trasferimenti di preferenze. Infatti, a seguito dello sviluppo delle tecniche e dei
media pubblicitari, con la loro smisurata capacità di penetrazione e di
suggestione, si é reso opportuno restringere i confini della tollerabilità di
affermazioni che in mercati meno evoluti si traducono in un inganno del
pubblico.
Fu proprio a partire da quegli anni che la comunicazione promozionale
poté approfittare in maniera considerevole dei nuovi ritrovati dell’industria
tecnologica; l’ingresso della televisione in un numero sempre maggiore di
abitazioni conferì, infatti, alla réclame, quella familiarità che è stata uno tra i
principali fattori che hanno innescato la miccia del boom economico. Con il
passare degli anni, il rapporto tra pubblicità e mezzi di comunicazione di
6
D. MARRAMA, Op. Cit., p.21 ss.
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massa è andato intensificandosi in maniera esponenziale; si è passati da una
situazione di partenza nell’ambito della quale i media si limitavano ad ospitare
al loro interno annunci pubblicitari estemporanei ed isolati, all’attuale
situazione caratterizzata da un controllo diffuso ed un’influenza pressante del
sistema pubblicitario sulle scelte di programmazione e di palinsesto. Il
consolidarsi di sistemi economici strutturati sulla mass production e sulla mass
distribution, e l’ormai imprescindibile considerazione delle rilevanti
ripercussioni concrete che potevano indubbiamente prodursi sui singoli
individui in seguito alla diffusione capillare di messaggi pubblicitari, imposero
alla dottrina giuridica degli Stati economicamente più sviluppati un
ampliamento di orizzonti. Fino ad allora, come si è detto, i giuristi che si
erano cimentati con le problematiche connesse alla comunicazione
promozionale si erano limitati ad analizzare esclusivamente gli aspetti
concorrenziali del fenomeno pubblicitario; da quel momento in poi, invece, ai
giuristi fu praticamente imposto lo studio di tematiche nuove, quali la tutela
dei consumatori (i cosiddetti contraenti deboli) e gli aspetti giuridici della
comunicazione promozionale.
Successivamente, intorno alla metà degli anni Settanta, i ricercatori di
diversi Paesi compresero che un’adeguata tutela degli interessi dei
consumatori poteva essere garantita esclusivamente da forme di controllo e di
verifica delle modalità attraverso le quali le singole imprese promuovevano sul
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mercato i loro prodotti. Da quel momento in poi, nei diversi Paesi europei, la
dottrina di settore ha seguito un percorso evolutivo pressoché uniforme.
33.. IIll ppeerrccoorrssoo iittaalliiaannoo
In Italia, in assenza di una normativa specifica sulla materia, gli
operatori pubblicitari, hanno costituito lo IAP ( Istituto Autodisciplina
Pubblicitaria ), ente privato a base associativa, che ha affidato a un Giurì
appositamente costituito il controllo della pubblicità diffusa dai suoi associati.
L'Istituto ha elaborato un Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, pubblicato
per la prima volta nel 1966 e da allora costantemente aggiornato. Tale codice
prevede, tra l'altro, la repressione della pubblicità ingannevole ed il controllo
della correttezza della pubblicità comparativa. Il Codice vincola solo gli
associati, che a loro volta, si impegnano ad obbligare contrattualmente al suo
rispetto i soggetti, eventualmente non associati, con i quali concludono
contratti pubblicitari. Le norme di legge esistenti ed il Codice di
Autodisciplina non erano però sufficienti a tutelare il diritto del consumatore
a ricevere una informazione pubblicitaria veritiera e affidabile. È stata la
Comunità Europea a dare un forte impulso allo sviluppo della materia,
adottando nel 1984 la direttiva 84/450/CEE, che stabiliva i principi generali
in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli stati membri
dovevano uniformarsi. Dopo un lunghissimo dibattito, la prima direttiva è
stata modificata, con l'emanazione, nel 1997, della direttiva 97/55/CE, che
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tratta, appunto, della pubblicità comparativa. L'Italia ha dato attuazione alla
Direttiva Comunitaria 84/450/CEE adottando il decreto legislativo n. 74 del
25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole; in seguito, ha recepito le
prescrizioni comunitarie in materia di pubblicità comparativa attraverso una
modifica dello stesso decreto legislativo. Tale modifica è stata apportata dal
decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio 2000. L'organo incaricato
dell'applicazione di entrambe le discipline così in vigore è l'Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato, cioè la medesima autorità amministrativa
che applica la legge antitrust ( legge 10 ottobre 1990, n. 287 ).
In sede comunitaria, tuttavia, il cammino dell’evoluzione delle discipline
a tutela del consumatore non si era arrestato, e si era posto in agenda
l’apprestamento di strumenti di protezione massima dei consumatori nei
confronti di tutte le pratiche “sleali”. È da qui che scaturisce la Direttiva
2005/29/CE, che, oltre ad introdurre, appunto, una nuova disciplina delle
pratiche commerciali sleali (che includono le comunicazioni ingannevoli) tra
imprese e consumatori, modifica la precedente disciplina della pubblicità
ingannevole e comparativa illecita (la modifica è stata poi codificata con la
Direttiva 2006/114/CE), in modo da riservarla all’esclusiva tutela delle
imprese. Nel recepire i cambiamenti, il legislatore italiano ha inserito le norme
in materia di pratiche commerciali sleali (che ha preferito denominare
“scorrette”) nel Codice del consumo (D. Lgs. 206/2005), per poi riportarle al
di fuori di esso con il D. Lgs. 146/2007, assieme alla disciplina della pubblicità
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ingannevole e comparativa illecita, per la quale si deve fare autonomo
riferimento al D.Lgs. n. 145/2007.
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