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Genealogia dello spazio globale. Ricami del mondo, richiami della terra.

Ho preso alla lettera l’insegnamento heideggeriano del mondo che si fa immagine, per tracciare la genealogia di questo processo attraverso le più belle e dense immagini della cartografia medievale e ripercorrere le origini più nascoste del nostro vivere globale. La riflessione prende spunto da osservazioni mondane sulla modernità, che rendono evidente come l'orizzonte concreto della singola esperienza del mondo si dissolve nell'artificilaità della tecnica e del comfort. Il disegno cartografico esprime questo rapporto con il mondo in cui l'uomo inventa lo spazio, riduce la tridimensionalità della terra a puro calcolo. Nella lunga e precisa revisione del mondo, abbiamo rielaborato anche noi stessi. La Terra è ricamata, cioè rappresentata, disegnata, mappata, perché noi poggiamo i piedi su un grande e rotondo mistero, principale oggetto di tutte le nostre indagini; ma la Terra ci richiama, in quanto assoggettata alla nostra tecnica, che ne ha trasformato e, da questo punto di vista deformato, l’integrità. Nonostante il suo divenire globo, cioè forma conosciuta in tutti i suoi orifizi e cime, è ancora lecito tuttavia parlare di luoghi, e di uno in particolare si narrerà nell’appendice di questa tesi. Se l’uomo non rievoca le forze che lo legano alla natura, gli toccherà la sorte riservata al Titanic. Paura e smarrimento sono sentimenti che accompagnano il percorso dell’uomo che decide di affidarsi al bosco, come il Waldganger di Junger: è indispensabile intuire, trovare, ancorare la vita a qualcos'altro, e farsi strada nel bosco.

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I INTRODUZIONE Perché una riflessione sul mondo? A prima vista può sembrare un’operazione un po’ antiquata, ma pensare al proprio mondo è per me una necessità che scaturisce dal semplice vivere quotidiano. Molte sensazioni si affollano nella mente quando considero le più svariate circostanze mondane, ad esempio quando penso che prima o poi scompariranno dalla faccia della Terra le persone che siedono a un tavolo con un foglio bianco davanti e una biro in mano. Scriveremo tutti su fogli elettronici con caratteri impostati utilizzati da tutti. Scrivere diventerà sempre di più un rapporto astratto con le lettere che escono dal corpo. E io faccio già parte di quell’esercito uniformato che non è più capace di usare i fogli bianchi di carta vera. Scriveremo tutti senza esprimere la nostra più profonda personalità, che si trova nel disegno della nostra grafia. Scriveremo per gli altri, per essere leggibili, per avere le correzioni automatiche a portata di mouse. Sembra poco, ma si perde così il rapporto materico con gli oggetti: tutto diventa intoccabile, effimero, senza consistenza, si dissolve nell’uguale. Il nostro mondo è un gigantesco Euroshop, dove prevale la comodità e la sicurezza, a discapito della varietà delle esperienze, dove possiamo acquistare infiniti pezzi omologati e sostituibili, dove anche i desideri sono fabbricati su misura. Sui giornali vediamo fotografie che ritraggono gli indigeni dell’Amazzonia con indosso i nostri vestiti da occidentali sviluppati: le magliette a mezze maniche, i jeans, le camicie a quadrettoni, e forse qualche piuma nei capelli. Visitiamo Paesi lontani come il Marocco, e notiamo stupiti che cinque ragazzi su dieci calzano ai piedi le nostre vecchie ciabatte di gomma a righe bianche e blu; facciamo la spesa in grandi centri commerciali in cui una musica dozzinale perfora le nostre orecchie, incurante dei ricordi personali e delle emozioni che si trasmettono con le note; accompagniamo un bambino al parco giochi e tocchiamo tutti questi giochi arrotondati, prefabbricati, gommosi, a prova di ferita, svuotati dalla loro attrazione spericolata; entriamo in stazione e una quantità spropositata di televisioni ad altissimo volume crivellano il nostro cervello con pubblicità a ripetizione. E qualcuno ha poi pensato a come si stanno trasformando le

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