II
case nei loro interni? A quanti oggetti artigianali e mobili contorti vengono abbandonati
nelle discariche per lasciare il posto ad asettici e impersonali arredamenti massificati o
di design?
Tutte queste piccole cose mondane esprimono il processo che fa scomparire
l’orizzonte concreto e vivo della singola esperienza del mondo. La riflessione sul
mondo è necessaria, non solo per capire l’origine di questa situazione, ma anche per
assumere una posizione più consapevole.
Si chiama genealogia perché interpreta in modo corale, raccogliendo cioè
diverse prospettive che si affiancano per costruire un’ottica unitaria, il processo che ha
inaugurato il nostro vivere nello spazio globale, riconoscendo la mobilitazione totale
come tale, in modo assoluto. È evidente il rimando a Nietzsche, filosofo senza il quale
questa riflessione non sarebbe stata possibile. Implicato in molti passaggi di tutti gli
autori qui presenti, sebbene non ci siano chiare menzioni né citazioni di suoi brani.
Tuttavia è il filosofo fondamentale per quanto riguarda l’analisi della tecnica di
Heidegger, fino a tutto il pensiero di Jünger, così come intercorre tra le righe di
Sloterdik e di Schmitt, la cui riflessione sul mare si potrebbe confrontare a molti scritti
proprio di Nietzsche. Il processo di unificazione del mondo, quelle dinamiche di
interconnessione a livello planetario di fenomeni economici, sociali, politici e culturali
(ormai anche colturali) che vanno sotto il nome di globalizzazione, non possono essere
interpretate come cronache o indagini sociologiche: è necessario porsi in una
prospettiva genealogica di ampio raggio, per toccare i Leitmotiv fondamentali.
La Terra è ricamata, cioè rappresentata, disegnata, mappata, perché noi
poggiamo i piedi su un grande e rotondo mistero, principale oggetto di tutte le nostre
indagini; ma la Terra ci richiama, in quanto assoggettata alla nostra tecnica, che ne ha
trasformato e, da questo punto di vista deformato, l’integrità. Nonostante il suo divenire
globo, cioè forma conosciuta in tutti i suoi orifizi e cime, è ancora lecito tuttavia parlare
di luoghi, e di uno in particolare si narrerà nell’appendice di questa tesi.
Una precisazione però è impellente: perché Terra e perché mondo? Sono due
nozioni filosofiche elementari ma da chiarire. Heidegger ha mostrato con straordinaria
profondità la caratteristica della Terra come condizione di possibilità del mondo umano.
Terra e mondo, per Heidegger, assumono un significato dialettico che può essere
ricondotto, genericamente, a natura e cultura: la Terra è lo sfondo abissale che dà senso
a tutto ciò che da essa si origina come prodotto dell’attività umana, su di essa l’uomo
III
fonda il suo abitare nel mondo. L’utilizzo di questo duplice concetto, che riguarda lo
stesso grande e meraviglioso oggetto, è funzionale alla nostra duplice posizione di
abitanti del pianeta: da un lato ci sforziamo di rappresentare in modo sempre più
esauriente questa sfera; dall’altro le nostre stesse attività (in particolare due
superprodotti che qui vengono considerati: la tecnica e il capitale) hanno ricoperto di
sgomento e nuovi interrogativi la stessa superficie ormai perfettamente disegnata. Le
due forze in gioco, quelle della Terra e quelle del mondo, vorrebbero solo la tranquillità
di un equilibrio originario, che noi abbiamo interrotto e che è nostro compito mettere in
questione. D’altronde anche Schmitt stabilisce nella Terra (in particolare nella
ripartizione della terra) l’origine del diritto, che è senza dubbio un prodotto dell’uomo, e
cioè fa parte del mondo. A discapito di questo chiarimento sui concetti di Terra e di
mondo, nel corso del testo li utilizzeremo senza badare a questa sottile differenza, che è
tuttavia doveroso far notare.
Avrei potuto anche intitolare questa tesi Genealogia della dissoluzione, perché il
problema supremo che mi ha mosso ad affrontare questo solco di pensiero è quello del
disallontanamento che accompagna ogni disvelamento sul nostro mondo. La geografia
possiede in questo senso un’enorme portata filosofica, come dimostrano le immagini
prodotte per conoscere il nostro mondo, l’oggetto più intrigante del nostro sapere. Credo
infatti che la conoscenza sia un allestimento preventivo della realtà: anche Nietzsche,
immancabile spirito libero che forgia il pensiero di tutti gli autori qui raccolti insieme,
sosteneva che il conoscere fosse una schematizzazione della realtà in base a bisogni
pratici. Il soggetto altro non è che una volontà di potenza, un artista che crea una forma
del mondo, un filosofo che si ingarbuglia nei concetti più affascinanti.
Ho preso alla lettera l’insegnamento heideggeriano del mondo che si fa
immagine, per tracciare la genealogia di questo processo attraverso le più belle e dense
immagini della cartografia medievale. All’epoca di Verne, del treno e della
mongolfiera, anche la cartografia si perfeziona, assorbendo sempre meglio la Terra, e
proprio per questo diviene sempre meno interessante. Ogni epoca produce infatti una
determinata interpretazione dell’ente e una determinata concezione della verità, prodotta
dall’uomo. Heidegger ci mostra cosa significa produrre l’immagine del mondo e che
cosa comporta per l’uomo questo nuovo rapporto, inaugurato con la Modernità. Con
Heidegger si aprono significati profondi su concetti fondamentali: modernità, essere,
ente, essenza, soggetto. L’uomo è qui inquadrato nell’atto di disegnare il mondo:
IV
disegnare significa pur sempre fare un ritratto, interpretare, dare una stabilità a ciò che è
mutevole, mettere la propria mano sul reale.
Il punto di vista qui adottato è che noi, soggetti metafisici ingabbiati nella
Modernità, abbiamo inventato la Terra, la sua natura, la sua forma, le sue articolazioni,
le sue relazioni interne. Le linee rette non esistono in natura, sono l’immagine del
mondo per l’uomo; sulle mappe queste linee, i paralleli, rimangono aperte: è proprio la
rappresentazione cartografica che consente l’infinito processo e l’espansione tipici
dell’epoca moderna occidentale, perché lascia aperto l’orizzonte. Nella lunga e precisa
revisione del mondo, abbiamo rielaborato anche noi stessi. È un equilibrio nuovo quello
che vede l’uomo come subjectum e il mondo come immagine, e corrisponde all’essenza
di un’epoca, quella moderna. Non mi è stato possibile fare a meno delle immagini, che
esprimono con le loro forme tutti i concetti metafisici fondamentali di questa tesi. Il
fondamento essenziale di quest’epoca è la metafisica, che offre una determinata
interpretazione dell’ente e una determinata concezione della verità.
Che cosa, meglio di un disegno, inquadra l’esteriorità, l’insieme degli enti, in un
rettangolo bianco? L’uomo pone se stesso al centro del quadro e l’ente gli si pone
davanti come l’oggettivo e il disponibile. L’uomo moderno rappresenta, disvela,
coinvolto fin da subito nella legge della tecnica: perde così il proprio rapporto con
l’essenza dell’essere, rimanendo prigioniero del suo mondo efficacemente organizzato.
Il suo universo tecnico-scientifico, da egli stesso assicurato, lo rassicura.
Sloterdijk interviene per tracciare le sfere immunologiche che servono come
surrogati di una sicurezza ancestrale e mitica di quando l’uomo abitava la Terra. Ora
che la Terra è una sfera, siamo definitivamente nell’epoca della globalizzazione, la cui
icona è il Crystal Palace, serra globale del comfort artificiale reso possibile dalla
tecnica. La Modernità coincide con l'epoca in cui la follia di espansione globale diventa
ragione di profitto, quando diventa cioè ragionevole solcare l’Oceano e attraversare
l’ignoto per cercare ricchezze e fama. Nella Modernità spariscono le certezze
dell’universo chiuso, l’esteriorità perfora la protezione terrestre come una cellula
terroristica e l’uomo si riconosce vulnerabile alle mostruosità che possono arrivare dai
cieli. È una novità: la prima e straordinaria apertura verso l’esteriorità implica un
riposizionamento attivo per l’uomo, che è per la prima volta un osservatore del suo
Cosmo.
V
La lucida e quanto mai acuta interpretazione dell’origine della globalizzazione di
Sloterdijk inaugura un filone nautico che giunge fino a Schmitt, per identificare nel
mare la prova di coraggio che conduce all’attuale circumnavigazione del capitale. Molti
sono i dispositivi che l’uomo congegna per sopperire alla perdita di quell’involucro
protettivo rappresentato dall’universo chiuso: dalle assicurazioni al turismo, dalle norme
ecologiche agli interventi armati di polizia internazionale. Ma il rapporto con ciò che è
andato perso rimane in ogni caso interrotto.
La Modernità ci fornisce una Terra contenuta in uno spazio sconfinato,
decretando la supremazia del fuori, di quello spazio puro, bianco, illimitato, gelido, in
cui tutti i punti hanno lo stesso valore. È lo spazio in cui il glorioso Titanic si è scontrato
con l’iceberg, immagine a mio parere paradigmatica del pensiero di Jünger, che
potrebbe essere assunta a quadro di questa tesi. Questa rappresentazione omogenea
dello spazio, posta da Sloterdijk, è la tecnica, espressione del pensiero neutralizzante
che mobilita ogni cosa al suo servizio. La globalizzazione è l’esercizio pratico
dell’allestimento del mondo disvelato, scarnificato e uniformato dalla tecnica.
Negli anfratti di questo pensiero sta anche l’interpretazione della globalizzazione
come occidentalizzazione del mondo, inaugurata dall’eroica rotta verso ovest di
Cristoforo Colombo, personaggio essenziale del nostro albero genealogico. Le
esplorazioni e la scoperta di nuove terre sono il trampolino di lancio del traffico
internazionale, espresso da Jules Verne, altro capostipite di questa grande famiglia.
La nave è di per sé un veicolo assolutamente tecnico, a differenza della casa,
chiusa e protetta in recinzioni e confini, un ordinamento terraneo che tende a ricondurre
ogni tipo di innovazione nell’alveo delle proprie tradizioni, trattenendo la forza
sradicante; la nave invece, dea dell’Oceano Mare, è movimento, continuo
oltrepassamento di confini, seduzione verso il largo, nello spazio violento delle
conquiste. La Tecnica è da sempre portatrice di violenza e distruzione, amica della
guerra e dei crudeli atti sanguinari della conquiste: cosa sono i carri armati o i
sommergibili se non dei meravigliosi prodotti tecnici creati per l’aggressione?
Sull’oceano ormai la nave non è che l’immagine assolutamente rovesciata della
casa. Il pensiero più profondo della filosofia degli elementi di Schmitt, è il sottile
legame tra il mare e la tecnica: è proprio la natura intrinseca dell’elemento marino a
favorire il progresso tecnico. Dietro le trasformazioni più appariscenti Schmitt è capace
di individuare, con uno sguardo acuto, i mutamenti elementari dell’esistenza umana, che
VI
sono le forze motrici dei cambiamenti storici. La decisione per l’elemento marino,
optata dall’Inghilterra e poi ereditata dagli Stati Uniti (ma che Sloterdijk riconosce nella
precoce volta do mar portoghese), ha un significato epocale per Schmitt: il passo verso
un’esistenza puramente marittima provoca l’affermazione della tecnica, forza dotata di
leggi proprie. Nell’ambito di un’esistenza prevalentemente terranea non era possibile
l’instaurarsi di una vera tecnica scatenata. L’elemento tecnico, veicolato dall’elemento
marino, possiede però il potere sradicante di divellere anche l’originaria naturalità del
vero habitat marino: le grandi potenze dei mari si occupavano più che altro di
manovrare macchine più che navi, e divennero altrettanto grandi potenze industriali.
L’ambiente dell’uomo non sarebbe più stato da allora in poi né la terra, né il mare, né il
loro bilanciamento, bensì la tecnica.
L’economia e il capitale sostituiscono quelle che Sloterdijk chiama strutture
immunitarie, che erano per lo più simboliche e mitologiche: l’uomo si avvicina alla
rinuncia totale del suo rapporto diretto e personale con l’assoluto, con il mistero, con la
velatezza e l’incertezza, con il pericolo e con il boschivo che risiede nel nostro
profondo. È questo rapporto che mette in luce Jünger, l’ultimo filosofo del coro
polifonico qui per noi a cantare il canto della Terra. La sua efficace analisi della tecnica
moderna, posta in modo radicale e assoluto, ci avvicina ancora di più alla perdita di
senso che pervade nel profondo noi esseri umani della Global Age. L’acciaio della
fabbrica, il piombo della guerra, la meccanica delle macchine, l’automazione
dell’Operaio, sono immagini feconde e inquietanti. D’altronde credo che sia necessario
forzare i limiti per esprimere con autenticità la nostra condizione. Il figlio della tecnica
inaugura una nuova era, quella della pianificazione totale della terra. Mentre l’Operaio è
il tipo antropologico, il concetto di mobilitazione totale ne fa da contrappunto
sociologico, presentandosi come il modo del dominio planetario. La nuova figura della
soggettività, l’homo technicus, in-formerà lo spazio, attraverso una totale
organizzazione e razionalizzazione dell’esistente, ormai perfettamente calcolabile e
misurabile, per esercitare il dominio tecnico su scala planetaria. La tecnica, nella sua
marcia trionfale innesca una società globalizzata ed impersonale in cui l’uomo,
apparentemente libero, è dominato e schiacciato dalle stesse istituzioni che lo
rappresentano.
Sulla spinta di questa forza straordinaria, sempre più universalistica e
globalizzante, prende forma una cultura che spezza definitivamente l’antico rapporto
VII
che legava l’uomo, la terra ed il cosmo, sostituendovi l’astrazione, il calcolo, lo
schematismo geometrico; anche l’asservimento dell’uomo-massa, che rifiuta una parte
fondamentale di se stesso e la forza vivente della natura, produce un processo di
disumanizzazione che non è più controllabile da nessuno. Se però l’uomo non rievoca le
forze che lo legano alla natura, gli toccherà la sorte riservata al Titanic. Paura,
smarrimento, sono sentimenti che accompagnano il percorso dell’uomo che decide di
affidarsi al bosco: è indispensabile intuire, trovare, ancorare la vita a qualcos'altro. il
Waldganger si sottrae alla visione totalizzante e categorizzante della Tecnica per
custodire la libertà, passare al bosco, richiamato dall’elemento boschivo che risiede nel
profondo di colui che sa cogliere la perdita della natura. Egli ha mantenuto intatta la
consapevolezza della dimensione originaria dell’uomo; i passaggi al bosco sono
praticabili laddove l’uomo riesce ancora a sentire la sacralità della natura, nel tempo
dell’incalcolabile, pensando a lei al di fuori degli schemi riduttivi della scienza moderna
che la banalizza ad oggetto di analisi e manipolazione. Farsi strada nel bosco significa
fuggire, ma rappresenta piuttosto un richiamo che si pone nei confronti dell’autenticità
selvatica e libera della natura, il momento culminante dell’attraversamento del
nichilismo.
Ecco perché questa tesi invita ognuno a ricoprire la ricchezza multiforme e
densa di senso che risiede in questo rapporto: forse oggi è quello di cui abbiamo
veramente bisogno. La verità, sostiene Heidegger, è una rincorsa alla certezza, cioè una
verità rivelata artificialmente, nella quale l’essere è trasfigurato, essendo creato dalla
volontà di potenza per rendere più tollerabile il divenire. Siamo ancora in grado di
ricevere la lontananza del mondo? Sappiamo penetrare nel bosco e annusare l’odore
vero della natura?
Queste pagine vogliono essere un invito a immaginare il proprio mondo, a creare
la propria personale e irregolare geografia. Se proviamo a svincolarci dalla conoscenza
esatta della nostra Terra, che ce la propone divisa da linee, calcolata in termini di spazio
e tempo, potremo disegnare rotte, luoghi, immaginare ostacoli che rendono difficoltoso
superare certi limiti. Certo, potremo anche inventare nuovi limiti, nuove stazioni,
esplorare nuovi mezzi di spostamento. Il mondo è sicuramente come è stato appreso,
così come lo vediamo con Google Earth, ma pensare solo a questa immagine significa
essere al sicuro dietro una forma ereditata da secoli di ricerche e ipotesi. Non abbiamo
più niente di nuovo da scoprire, ma non abbiamo nemmeno più bisogno di conoscere il
VIII
mondo così come esso è, perché è già stato fatto. Possiamo allora sbizzarrirci con
disegni imprecisi, in cui riporre le nostre più profonde conoscenze, i nostri desideri, le
nostre terre del tesoro, i nostri animali mostruosi e i confini del nostro mondo.