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L'abbandono universitario: una indagine su un campione di studenti di Scienze Politiche

Le motivazioni dell'abbandono universitario sono molteplici. analizzando un piccolo campione della Facoltà di Scienze Politiche, utilizzando metodi sia quantitativi che qualitativi, scopriamo che le problematiche legate alla stratificazione sociale, alla disponibilità di risorse, e alla mancanza di una adeguata fase di indirizzo, condizionano ancora il percorso di studi di una rilevante percentuale di giovani.
L'impianto quantitativo della tesi è basato su tabelle di contingenza, mentre quello quantitativo si basa su colloqui informali. Una introduzione basata sui testi in bibliografia, e conclusioni contenenti ipotesi di prospettiva completano il lavoro. Tesi snella, adeguata alla conclusione di un percorso di studi triennale.

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4 Capitolo 1 L’università italiana e i mutamenti socio-economici 1.1 - Riforma e cambiamento L’attuale status del sistema universitario italiano vede le sue linee di indirizzo sancite dal decreto 509\1999, più comunemente definito come la riforma “del 3+2”, o “riforma Berlinguer”. A dire il vero quel decreto, causa l’instabilità politica della compagine di centro-sinistra dell’epoca, venne firmato dal ministro Ortensio Zecchino, successore di Luigi Berlinguer, che quella riforma fortemente aveva voluto. Quel decreto giunge appena quattro mesi dopo la firma del Processo di Bologna. In quella sede i diversi paesi partecipanti si erano prefissi lo scopo di creare uno spazio didattico europeo per l’istruzione superiore, omologando i “pesi” dei diversi titoli di studio, e creando un sistema di valutazione basato sul conseguimento di “crediti formativi universitari” (CFU), che potesse essere adottato indipendentemente dalla sede universitaria. La nuova università italiana vorrebbe offrire percorsi di studio più brevi, che consentano di giungere all’età di 22\23 anni sul mercato del lavoro. Vengono istituite 42 classi di laurea triennali e 104 classi di laurea specialistica. All’origine di una istanza di riforma tanto forte non c’è soltanto il Processo di Bologna. Più a monte troviamo la Dichiarazione della Sorbona, del 25 maggio 1998, dove i ministri competenti di Francia, Inghilterra, Germania e Italia sintetizzano la volontà di creare una “Europa della conoscenza”, assegnando all’Università un ruolo centrale in tal senso. Il clima politico è favorevole in tal senso. A conferma di una visione prevalente ultranazionale l’euro, la moneta unica del vecchio continente, risultato del Trattato di Maastricht del 1992 è in dirittura d’arrivo sui mercati finanziari. Dopo qualche anno giungerà tangibile anche nelle tasche dei cittadini. Certo è che in questa lenta e lunga marcia verso una Europa unita, almeno a livello economico non mancano le contraddizioni. 1.2 - Modelli di sviluppo e formazione Se entrare nell’area euro significa per ogni paese accettare chiari vincoli restrittivi sull’andamento del rapporto tra deficit e Pil, al medesimo tempo anche gli altri parametri dettati da Maastricht rispecchiano in buona parte le linee guida per lo sviluppo economico contenute nel Libro Bianco di Jacques Delors (1993). Con le conseguenti ricadute nel campo della formazione. L’Europa ha ancora fresca memoria del crack delle Borse del 1987, e si ingegna nella produzione di anticorpi capaci di evitare il ripresentarsi di una situazione di pernicioso squilibrio tra timori di recessione e spinta inflazionistica. Il modello di sviluppo auspicato da Delors individua nel livello di istruzione e nella formazione professionale quelle che sono le priorità da perseguire. L’Europa non riesce a guadagnare posizioni nei mercati ad alto

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