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L'affidamento in house e l'affidamento diretto alle società miste

L’adozione del modello societario da parte degli enti pubblici nella gestione dei servizi pubblici ha posto sin da subito la questione dell’ammissibilità di una deroga alle procedure di gara imposte per la selezione dell’affidatario ogni volta che tale soggetto si configuri quale longa manus sostanziale dell’ente.
Nel presente lavoro si è, pertanto, proceduto all’individuazione dei requisiti in presenza dei quali un ente può legittimamente ricorrere all’affidamento in house di un servizio pubblico, in deroga all’osservanza del diritto comunitario relativo alla necessità del ricorso alle procedure ad evidenza pubblica.
Alla luce si ciò, si è di seguito, più specificamente, affrontata la questione relativa alla possibilità di ascrivere alla gara per la selezione del partner privato della società mista la capacità di adeguare il modello al diritto comunitario, cosicché si è giudicato opportuno procedere ad un’accurata disamina delle diverse posizioni sul tappeto e, in particolare, dell’encomiabile orientamento ricostruttivo espresso di recente dal Consiglio di Stato, con cui si è tentato - dal momento che si è affermata la divisione di ruoli tra il socio privato, esecutore esclusivo dell’attività di cui è incaricata la società, e il socio pubblico, nelle vesti di controllore interno sull’operato della società. - di recuperare ragioni all’esistenza e alla diffusione del modello mediante una configurazione di esso il più possibile conforme al modello di partenariato istituzionalizzato descritto nel Libro Verde sul partenariato pubblico-privato della Commissione CE.
Sennonché, sebbene tali sviluppi giurisprudenziali consentano di recuperare la società mista alla compatibilità comunitaria, permangono, irrimediabilmente, i dubbi che il diritto societario vigente desta in ordine alla compatibilità del modulo di gestione a mezzo di una società mista con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa, dal momento che non sembra consentirsi la funzionalizzazione della società mista, anche se a capitale pubblico maggioritario, alla soddisfazione dell’interesse pubblico, a meno di non voler snaturare quest’ultimo fino al punto di identificarlo con un mero interesse lucrativo.
In ultimo, è apparso inoltre inevitabile soffermarsi sugli aspetti che attengono all’ambito di operatività delle società partecipate, anche alla luce della circostanza che recentemente il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire, entro un’ottica di tutela e promozione del mercato, con norme che limitano in maniera piuttosto incisiva la capacità di agire al di fuori dei confini territoriali degli enti partecipanti alla società.
L’aspirazione a rafforzare il livello di tutela del mercato mediante l’eliminazione di situazioni di privilegio distorsive del libero mercato, infatti, ha indotto il legislatore da un lato, a limitare drasticamente la capacità operativa di una particolare tipologia di società partecipate - quale quella delle società “strumentali” affidatarie dirette di un servizio - e dall’altro, a dettare norme limitative della capacità di svolgere un’attività extra moenia di quelle società partecipate che, rivestendo una concreta posizione di privilegio, altererebbero il libero gioco della concorrenza qualora fossero lasciate libere di competere sul mercato.
A tal proposito, infatti, si è ritenuto di intervenire al fine di ribadire l’incoerenza di quegli orientamenti interpretativi che, stabilendo una relazione automatica tra l’affidamento diretto di un servizio e la sussistenza di una pericolosa condizione di privilegio, estendono ingiustificate preclusioni anche a carico delle società miste costituite mediante appropriate procedure di gara, finendo così per ridurre, piuttosto che elevare, il livello di tutela del libero mercato.

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1 Introduzione A partire dagli inizi degli anni Ottanta, nei principali Paesi europei prende campo, con inusitato vigore, l’idea che per fronteggiare efficacemente la congiuntura economica sfavorevole e improntare opportune politiche di rilancio, fosse indispensabile procedere al ridimensionamento del ruolo del settore pubblico nell’economia 1 . Invero, mentre sul fronte europeo si assiste a un’erosione considerevole della proprietà pubblica, in Italia, nonostante tali tendenze si mostrino sempre più incalzanti, il fenomeno, scontrandosi con forti blocchi di resistenza, stenta ad affermarsi seriamente. Sebbene non manchino occasionali iniziative di privatizzazione 2 , scaturenti per lo più dall’iniziativa dei singoli enti di gestione, l’impossibilità di affermarne l’appartenenza ad un generale programma politico-economico, non consente di individuare un reale processo di privatizzazione. Anzi, un’attenta analisi dei dati di quel periodo dimostra addirittura un leggero aumento dell’importanza economica del settore pubblico. Tuttavia, seppur con ritardo, il fenomeno si diffonde con imponenza anche in Italia. 1 Cfr. S. CASSESE, L’erosione dello Stato: una vicenda irreversibile?, Dallo Stato monoclasse alla globalizzazione, Milano, 2000. 2 Sulle caratteristiche delle occasionali privatizzazioni realizzate negli anni Ottanta si veda R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli enti dell’economia. Profili giuridici, Milano, 1998.

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