2
Il manifesto programmatico alla base della scelta del legislatore di
avviare un imponente processo di privatizzazione, si fonda su svariate e
molteplici ragioni
3
, raccordate in un’unica logica ispiratrice: l’unica strada
percorribile e realmente capace di porre fine alla patologica inefficienza del
settore pubblico consiste nella drastica riduzione di quest’ultima e
nell’apertura dei settori tradizionalmente dominati da dinamiche
monopolistiche al libero dispiegamento della competizione tra privati
4
.
In quegli anni, il lungo periodo di malagestione del settore pubblico,
sempre più caratterizzato da drammatiche debolezze strutturali in termini di
competitività e produttività, agevola l’affermazione dell’idea secondo la
3
Cfr. il rapporto al Ministro del Tesoro redatto nel 1990 dalla Commissione per il
riassetto del patrimonio mobiliare pubblico e per le privatizzazioni che con riguardo alle
privatizzazione delle aziende di proprietà statale indica i seguenti obiettivi: “1. concorrere
al risanamento della finanza pubblica, mediante i proventi delle vendite di azioni; 2.
allargare il mercato azionario nazionale; 3. favorire l’afflusso di capitali dall’estero; 4.
introdurre maggiore concorrenza nella nostra economia di mercato; 5. eliminare o ridurre
l’influenza esercitata dall’azionista occulto, cioè dal sistema dei partiti sulla gestione
delle imprese; creare, con il successo dei collocamenti, l’indispensabile consenso
popolare, e quindi politico, per poter affrontare i compiti più difficili costituiti dagli
storici dissesti delle Ferrovie, delle Poste, e così via”. Gli obiettivi delle privatizzazioni
delle aziende pubbliche locali (in senso lato) sono, invece, sintetizzati nei seguenti: 1.
favorire la separazione tra funzioni di indirizzo e programmazione (da mantenere in capo
al settore pubblico) e funzioni di gestione nella prestazione dei servizi (da trasferire al
settore privato); 2. ridurre la spesa degli enti pubblici decentrati e i problemi del suo
finanziamento; 3. aprire il capitale delle aziende pubbliche locali ai privati; 4. coinvolgere
l’imprenditorialità privata nella realizzazione di investimenti strutturali; acquisire
capacità manageriali; favorire i processi di liberalizzazione, tesi ad introdurre, ove
possibile, la concorrenza nel mercato o, in subordine, meccanismi di concorrenza per il
mercato.
4
Cfr. S. DE NARDIS, Privatizzazioni, liberalizzazioni, sviluppo: introduzione e sintesi,
in Le privatizzazioni italiane, S. DE NARDIS (a cura di), Bologna, 2000, il quale osserva
come la trasformazione di un’impresa pubblica in privata, soprattutto se accompagnata a
una liberalizzazione del settore in cui essa opera, si traduce nel passaggio da una
situazione di vincolo “soffice” di bilancio a una situazione di vincolo stringente (con il
concretizzarsi del rischio di bancarotta e conseguentemente con l’ “interiorizzazione” di
questo rischio da parte del management).
3
quale, data l’inefficienza fisiologica, questo, ancorché riformato, non
avrebbe alcuna chanche di miglioramento.
Le cause a cui ascrivere tale inefficienza appaiono ai fautori della
liberalizzazione dei mercati, elementi che, in quanto indissolubilmente
connaturati al modello di economia mista, si sottraggono a ogni possibilità
di riforma parziale, cosicché impongono un radicale riassetto dell’intero
sistema.
In primis si sostiene l’inadeguatezza del diritto pubblico ai nuovi
compiti affidati allo stato. Il regime giuridico di natura pubblicistica, per
l’estrema rigidità e per l’esistenza di una pluralità di statuti, induce il
legislatore a credere che la sua sostituzione con una disciplina di natura
privatistica consenta la standardizzazione propria degli istituti di diritto
privato e garantisca la flessibilità necessaria
5
.
In secondo luogo, le ormai ragguardevoli dimensioni dello Stato
producono un sovraccarico di governo, che si traduce in insuperabili
5
Per un bilancio dei risultati raggiunti dalle privatizzazioni in relazione a tale obiettivo si
veda P. CHIRULLI, Autonomia pubblica e diritto privato nell’amministrazione, Roma,
2005; A. MASSERA, Nuovi aspetti dell’uso della società per azioni con partecipazione
pubblica, in Studi in onore di V. Ottaviano, Milano, 1993. “La prospettiva di “statuti”
differenziati per (tipi di) società con partecipazione pubblica, al di là dell’aspetto tutto
sommato secondario attinente al riconoscimento della permanenza della natura “privata”
o meno di queste società, stante la detipicizzazione degli stessi enti pubblici, ripropone in
conclusione la questione del difficile rapporto tra “pubblico” e “privato”: l’attrazione che
la legge opera nella sfera pubblicistica della formula societaria come formula “neutra”,
plurifunzionale, adatta anche per l’organizzazione della mano pubblica, inevitabilmente si
riflette, dunque, sulla formula stessa, rendendo in qualche modo l’ interesse “pubblico”
inerente all’oggetto sociale, che sovente è scopo stesso della sua costituzione, interesse
proprio della società e arrecando conseguentemente elementi di pubblicizzazione del
relativo ordinamento; ma nel contempo fattori e criteri propri della sfera privatistica si
inseriscono in seno all’organizzazione pubblica arrecando elementi di “privatizzazione”
dell’ordinamento della complessiva struttura pubblica”.
4
difficoltà di gestione interna, dal momento che le strutture pubbliche si
mostrano drammaticamente inadeguate allo svolgimento di attività
eccessivamente disparate. Inoltre, molte vicende dimostrano che un settore
pubblico di notevoli dimensioni, a causa dell’asfissiante lottizzazione
politica delle imprese pubbliche, si sottrae, paradossalmente, al controllo
degli organi politici deputati all’indirizzo e al controllo.
A fronte di tale situazione si ritiene che le privatizzazioni rispondano
adeguatamente all’esigenza di sottrarre all’influenza della politica, decisioni
che, al contrario, devono fondarsi esclusivamente su criteri di carattere
economico.
Le principali ragioni che spingono il legislatore ad orientarsi verso le
politiche di privatizzazione risiedono, tuttavia, all’esterno del complesso
sistema delle imprese pubbliche.
L’enorme ammontare del deficit e l’ormai insostenibile peso del
debito pubblico impongono l’attivazione di meccanismi capaci di reperire
risorse economiche in breve tempo, che consentano di superare le difficoltà
finanziarie
6
e di rispettare gli impegni assunti in sede comunitaria
7
.
6
Cfr. R. PEREZ, La finanza pubblica, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto
amministrativo generale, (a cura di) S. CASSESE, Milano 2003, il quale sottolinea che
sebbene la dismissione delle imprese pubbliche e la loro collocazione sul mercato
produca esclusivamente entrate una tantum, che in quanto tali si mostrano inidonee a
produrre effetti di lungo termine, deve tenersi conto del fatto che esse, riducendo il
volume della spesa corrente, si dimostrano suscettibili di incidere anche nel medio e
lungo periodo sul raggiungimento degli obiettivi di risanamento della finanza pubblica
previsti dal Patto di Stabilità.
7
A proposito del divieto di disavanzi eccessivi di cui all’art. 104 del trattato di Maastricht,
si veda G. DELLA CANANEA, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, Bologna,
1996.
5
Inoltre l’Unione europea, pur mostrandosi neutrale rispetto al
rapporto pubblico-privato
8
, al fine di realizzare l’integrazione dei mercati,
da un lato ha elevato la concorrenza a valore di primo piano, dall’altro con
il divieto di discriminazione, riducendo l’area dei diritti speciali o esclusivi
e vietando gli aiuti di Stato, ha imposto di riservare ai soggetti
imprenditoriali pubblici un trattamento speculare a quello rivolto alle
imprese private
9
.
Tutto ciò induce, nei primi anni Novanta, ad una vera e propria
svolta nella dinamica dei pubblici poteri
10
. Da un lato, coerentemente con la
prospettiva di liberalizzazione dei mercati, si assiste alla creazione di
amministrazioni indipendenti e di autorità di regolazione; dall’altro, si avvia
8
A tal proposito cfr. C. LACAVA, Impresa pubblica, in Trattato di diritto
amministrativo, S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale; G. PERICU -
M. CAFAGNO, Impresa pubblica, in Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano,
1997; G. AMORELLI, Le privatizzazioni nella prospettiva del Trattato istitutivo della
CE, Padova, 1992.
9
A proposito delle cause a cui ricondurre le privatizzazioni, si veda N. IRTI, Dall’ente
pubblico economico alla società per azioni (profilo storico), nella raccolta di saggi dal
titolo L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998. “Questi eventi – che certo chiudono un
capitolo di storia italiana e che, per novità di contenuto e gravità di conseguenze, reggono
il confronto con la rivoluzione istituzionale degli anni Trenta – si riconducono a motivi
complessi, che mi proverei a raccogliere in tre ordini: a) ideologici, poiché si afferma (o
sembra affermarsi) l’incontrastata concezione dello Stato minimo, che quasi regredisce
alla tutela dell’ordine interno e all’erogazione dei servizi essenziali; b) politico, poiché il
vasto territorio, già tenuto dall’impresa pubblica , viene sottratto al dominio della classe
politica, ormai spoglia di dignità morale e fiducia collettiva; c) finanziario, poiché la
vendita di questi beni appare destinata a soddisfare o ridurre il fabbisogno pubblico”.
Sul tema si veda inoltre R. MICCŬ, La privatizzazione delle imprese pubbliche, in
Governi ed economia. La transizione istituzionale nella XI legislatura, (a cura di) V.
ATRIPALDI, G. GAROFANO, C. GNESUTTA e P. F. LOTITO, Padova, 1998, il quale
sottolinea lo stretto nesso tra la crisi politico-istituzionale e quella economica.
Si veda, inoltre, S. CASSESE, Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello
Stato?, in Riv. it. dir. pubb. com. 1996. L’autore sostiene che alla base del processo di
privatizzazione vi siano sette diverse cause.
10
Cfr.S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 2007; A. MACCHIATI,
Breve storia delle privatizzazioni in Italia: 1992/1999, 1999.
6
un imponente processo di trasformazione degli enti pubblici in persone
giuridiche e società.
Comincia così ad attuarsi un programma politico-economico con un
campo d’azione che si estende progressivamente dal livello centrale al
livello territoriale.
Le privatizzazioni, infatti, coinvolgono in maniera particolarmente
incisiva sia le aziende di proprietà pubblica – tra cui in particolare le grandi
imprese di servizi di pubblica utilità di proprietà dello Stato (cd. public
utilities) – e gli enti pubblici economici, sia le aziende operanti nel settore
dei servizi pubblici locali appartenenti agli enti decentrati.
Nel processo di privatizzazione in questione si individuano
sostanzialmente due fasi: la prima di carattere formale che, in quanto
facilmente realizzabile ex lege, ha richiesto tempi brevi; la seconda, di
natura sostanziale, implicante la cessione al mercato delle quote azionarie in
mano pubblica e volta all’ulteriore obiettivo di restituire al mercato in un
più lungo termine i relativi settori di attività
11
.
Il tratto fortemente caratterizzante di tale fenomeno generale è
sostanzialmente rappresentato dalla diffusione di moduli privatistici.
Molti restano i casi in cui alla privatizzazione della forma giuridica
dei soggetti economici non segue la privatizzazione sostanziale degli assetti
11
Cfr. R. PEREZ, I controlli sugli enti pubblici privatizzati, in Le trasformazioni del
diritto amministrativo, (a cura di) S. AMOROSINO, Milano, 1995; G. DI GASPARE, La
trasformazione degli enti pubblici economici e la dismissione delle partecipazioni statali
verso un nuovo ibrido: la spa di diritto pubblico?, in Nomos, 1992.
7
proprietari preesistenti, atteso che non di rado le privatizzazioni formali -
implicanti l’adozione per figure pubblicistiche di una veste giuridica di tipo
privato e la formazione di un’entità organizzativamente e contabilmente
separata dall’ente pubblico d’origine – hanno costituito il punto d’arrivo
delle vicende di privatizzazione coinvolgenti le aziende pubbliche
12
,
piuttosto che assurgere a fase prodromica rispetto a privatizzazioni
sostanziali concrecantesi, invece, nel trasferimento, mediante la cessione di
azioni, della proprietà dal settore pubblico al settore privato
13
.
Inoltre, molto spesso la stessa privatizzazione sostanziale si svolge
con modalità che conservano in capo a soggetti pubblici incisivi poteri di
controllo sulle imprese privatizzate, sebbene successivamente
ridimensionati dal legislatore e di recente dichiarati configgenti con il
principio di libera circolazione dei capitali dalla Corte di Giustizia.
Ad ogni modo occorre considerare che le stesse privatizzazioni
sostanziali, nella prospettiva degli epigoni del liberismo economico, ostili
ad ogni forma di economia mista, dovrebbero rappresentare una fase
12
M. RENNA, Le società per azioni in mano pubblica, Torino, 1997, sottolinea come
spesso la cd. privatizzazione formale non possa essere considerata “un mero ponte di
attraversamento nella direzione della cd. privatizzazione sostanziale”.
13
Cfr. L. TORCHIA, Privatizzazioni e azione amministrativa, in Pubblica
amministrazione e privatizzazioni dopo gli anni ’90. Un primo bilancio, Rimini, 2004 la
quale distingue le “privatizzazioni calde” nelle quali cambia solo la forma dalle
“privatizzazioni fredde”, nelle quali il cambiamento della forma è un preludio per
modifiche anche sostanziali all’assetto proprietario o alla natura dell’attività.
8
intermedia rispetto all’obiettivo finale della liberalizzazione dei mercati e
delle regole a presidio del libero gioco della concorrenza
14
.
La visione ispiratrice dei profondi cambiamenti registratisi
nell’ultimo ventennio postula, infatti, la sterilità di una mera traslazione ai
privati di settori un tempo oggetto di monopolio pubblico, ritenendo che le
esigenze della crescita e dell’efficienza economica verrebbero appieno
soddisfatte solo dalla realizzazione delle condizioni di massima
concorrenzialità
15
.
Alla luce di tali precisazioni, la mancata realizzazione, allo stato
attuale, di una completa privatizzazione sostanziale potrebbe forse spiegarsi
con la volontà di evitare che essa intervenga prima dell’avvenuta
liberalizzazione del mercato di riferimento, così scongiurando il rischio che
il tutto si traduca in un monopolio pubblico in mani private.
Orbene, tra i diversi fenomeni connessi alle politiche di
privatizzazione rientra anche l’affermazione e la diffusione della società
mista pubblico-privata quale modello di gestione dei servizi pubblici locali
o di altre attività di pubblico interesse
16
.
14
Cfr. N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, nell’omonima raccolta, Bari, 1998. “Le
ragioni di libertà che indussero il legislatore a stabilire il regime di monopolio pubblico in
taluni settori energetici, sarebbero vanificate dalla semplice traslazione ai privati; ma
verrebbero appieno soddisfatte se, in luogo del monopolio, si dispiegasse l’aperta
competizione delle imprese private. Il potere dell’impresa privata non sarebbe più
sostituito dal potere dell’impresa pubblica, ma bilanciato e corretto dai poteri di altre
imprese private.”
15
A proposito della natura strumentale delle privatizzazioni cfr. S. AMOROSINO, Le
privatizzazioni in Italia: mito e realtà, in Foro amm., 1999.
16
Sul tema cfr. C. BURATTI, A. CAVALIERE, F. OSCULATI, Privatizzazioni parziali
e liberalizzazioni incomplete. Una nota sui servizi pubblici locali, 2001.
9
Le società miste sorgono per effetto dell’utilizzazione dello schema
societario in sostituzione di modelli pubblicistici e di una parziale
privatizzazione di soggetti un tempo formalmente e sostanzialmente
pubblici
17
.
Se ci si affaccia sul settore dei servizi pubblici locali, inevitabilmente
si scopre come esso sia stato interessato negli anni, rectius negli ultimi
decenni, da un lungo e complesso processo di riforma
18
.
Dapprima si assiste a una lenta evoluzione che segna e determina il
passaggio da un sistema decisionale e organizzativo dominato dalla
centralità assoluta dell’ente locale, titolare di funzioni diverse e incisive
(regolatoria, proprietaria e gestionale), a un sistema in cui progressivamente
prende piede una sempre più evidente separazione di aree di competenze e
responsabilità, oltre che un crescente dissolvimento della titolarità esclusiva
della gestione dei servizi pubblici locali fino ad allora riconosciuta in capo
all’ente. Infatti, nella prima metà del secolo scorso si assiste all’adozione di
molteplici misure modernizzatici, che inizialmente si limitano a generare il
passaggio dal vecchio modello dell’azienda municipalizzata a quello
dell’azienda speciale, munita di personalità giuridica propria, e,
17
Cfr. M. CAMMELLI e A. ZIROLDI, Le società a partecipazione pubblica nel sistema
locale, 1999. Gli autori sostengono che la costituzione di società miste è stata ideata per
realizzare una privatizzazione, da un lato – nell’ipotesi delle società maggioritarie –
formale, ossia atta ad assicurare alla gestione pubblica la snellezza individuabile nel
sistema dell’organizzazione societaria e dall’altro – quanto alle società minoritarie –
sostanziale, ovvero tale da consentire la sostituzione della gestione del privato a quella
dell’amministrazione.
18
Cfr. F. MINERVINI, Privatizzazioni e riorganizzazione delle aziende di servizi
pubblici locali, in www.issirfa.cnr.it.
10
successivamente, realizzano una privatizzazione formale, mediante la
trasformazione di tali aziende in società di capitali disciplinate dal diritto
comune.
Sennonché, tra la fine dello scorso decennio e l’inizio del nuovo si
apre una nuova fase, caratterizzata dalla spiccata tensione all’adeguamento
del sistema normativo alla crescita industriale dei servizi e alla
liberalizzazione dei mercati su scala nazionale e comunitaria.
Il processo riformatore, tuttora in fieri, caratterizzante questa fase, si
presenta, tuttavia, particolarmente convulso e manifesta incertezze,
incoerenze e scarsa organicità. Infatti, sebbene nel manifesto
programmatico del legislatore continui a trovare dimora l’aspirazione alla
massima apertura dei mercati, non di rado si è assistito, negli ultimi anni, ad
accelerazioni, i cui effetti venivano neutralizzati l’attimo seguente da più o
meno bruschi rallentamenti.
L’atteggiamento frenetico del legislatore, congiuntamente a una
giurisprudenza comunitaria troppo spesso tergiversante, se da un lato si è
tradotto in un’estrema precarietà dell’intera disciplina in materia, dall’altro
ha contribuito a sfumare oltremodo i contorni del modello della società
mista.
Cosicché la molteplicità dei profili problematici alimenta accese
discussioni dottrinali e giurisprudenziali che caratterizzandosi per la
11
diversità, talvolta marcata, delle posizioni in campo, complica non poco il
ruolo degli operatori economici, prima ancora che dell’interprete.
Orbene nel seguente lavoro, dando conto degli indirizzi venutisi
affermando con riguardo all’assetto normativo vigente, si intende provare a
tracciare la fisionomia del modello e circoscriverne gli spazi di operatività
entro confini sufficientemente definiti.
Sennonché, dal momento che si ritiene che un appropriato esame del
modello in questione possa aver luogo soltanto partendo, anzitutto, dalle
origini del modello e della sua funzione, così da potersi inoltre soffermare,
seppur brevemente, sui fattori e i fenomeni che incisivamente hanno
condizionato l’intervento del legislatore oltre che l’interpretazione
giurisprudenziale, è apparso opportuno che si premettesse all’esame delle
questioni maggiormente spinose, un resoconto degli sviluppi, talvolta
“regressivi”, caratterizzanti l’evoluzione del modello.
Particolarmente utile a tal fine appare, infatti, un esame dei
cambiamenti verificatisi nell’ultimo ventennio, ossia dal momento
dell’entrata in vigore dell’art. 22 della l. 142 del 1990, che consacra
ufficialmente l’ingresso sulla scena della società mista, fino alle più recenti
norme e ai progetti di riforma tuttora giacenti in Parlamento.
In definitiva, come risulta chiaramente dal contenuto delle discipline
alternatesi negli anni, il legislatore si è cimentato nel tentativo di trovare un
compromesso tra l’esigenza di favorire la progressiva apertura al mercato
12
del settore dei servizi pubblici e quella di riservare un discreto spazio
operativo alle società miste, le quali, se da un lato hanno consentito di
arginare alcune situazioni di insufficienza del mercato, dall’altro, anche in
virtù della possibilità di ricevere dei servizi in affidamento diretto, hanno
formato una rete di consolidate realtà imprenditoriali.
L’evoluzione normativa mostra, infatti, un atteggiamento del
legislatore proteso a configurare la società mista in maniera tale da
assicurarne la rispondenza ai dettami del diritto comunitario in materia di
tutela del mercato concorrenziale.
Infatti, i principi comunitari a tutela della concorrenza, così come
risultanti dall’interpretazione della giurisprudenza comunitaria, hanno
sinora rappresentato il principale ostacolo ad una ancor più massiccia
diffusione della società mista; a tal punto che alcune pronunce della Corte,
affermando l’impossibilità di configurare l’affidamento in house in favore
della società mista, hanno indotto taluni autori a escludere nettamente
l’ammissibilità dell’affidamento diretto in favore delle società miste e, di
conseguenza, a preconizzare la fine del modello.
Sicché, in questa sede, è apparso doveroso distinguere i due
fenomeni e precisare che l’inconfigurabilità dell’affidamento in house in
favore della società mista non equivalga ad escludere la compatibilità con il
diritto comunitario dell’affidamento diretto di un servizio in favore di una
società mista il cui socio privato sia stato opportunamente selezionato.