Il patto di famiglia: un nuovo contratto per il trasferimento di un bene (l'impresa) e di un ruolo (l'imprenditore)
Con il recente intervento legislativo, “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia” (Lg. 14 febbraio 2006 n. 55) , il Legislatore italiano recepisce, almeno parzialmente, l’invito delle Istituzioni Europee con la Raccomandazione 94/1069/CE, a rivedere il proprio impianto successorio per permettere una maggior duttilità del passaggio generazionale delle imprese. Questo difficile passaggio, che si presenta come un fenomeno tanto giuridico quanto, e soprattutto, economico-sociale, necessita di essere gestito “al meglio” sì da evitare episodi quale quello dell’impresa francese produttrice di champagne Tattinger, entrata in crisi dopo che, a causa del divieto dei patti successori, gli eredi non hanno raggiunto un’intesa idonea ad assicurarne la necessaria continuità . E’ rilevante sapere che da indagini condotte dalla Commissione europea, emerge che solo il 30% delle imprese passa alla seconda generazione e solo il 15% riesce a raggiungere la terza. L’invito della Commissione Europea con la Comunicazione 98/C 93/02 , rivolto ai Legislatori nazionali, è stato quello ad intervenire per consentire all’imprenditore di disporre in vita della propria azienda in favore di uno o più dei propri discendenti, affinché attraverso uno strumento giuridico ad hoc e la propria autorevolezza, riesca a gestire tale difficile “consegna”, senza che il diritto di famiglia e il diritto delle successioni possano mettere in pericolo la continuità dell’impresa. La ragione precipua della riforma consiste nella volontà di superare regole ormai inadatte ai tempi, di rimuovere un ostacolo all’autonomia privata e di imprimere una maggior dinamicità alla successione nella leadership dell’impresa, soprattutto per quelle medio-piccole che, in Italia, ma non solo, rappresentano il centro propulsore della ricchezza del paese. L’accoglimento di tali istanze era ostacolato dalla presenza di alcuni principi del nostro ordinamento quali l’unità della vicenda successoria , nonché il divieto dei patti successori e l’applicabilità degli strumenti a tutela della riserva dei legittimari, come la collazione ma soprattutto l’azione di riduzione, che inevitabilmente impedivano, prima della Lg. 55/2006, una regolamentazione di interessi simile a quella del nuovo istituto. Due appaiono essere le linee direttrici che conducono all’individuazione della ratio della novella, l’interesse generale alla promozione dell’attività di impresa, e dall’altro quello privato di ciascun imprenditore all’autoregolamentazione del proprio assetto patrimoniale. Il patto di famiglia, quindi, rappresenta prima di tutto un bilanciamento di interessi che il legislatore ha posto in essere affinché, da un lato, l’imprenditore possa validamente “assegnare” l’impresa al soggetto eletto, e, dall’altro, i legittimari ottenessero una “liquidazione”, affinché non fosse radicalmente pregiudicato il loro diritto alla quota di legittima, che in concreto subirà una deminutio solo in termini di qualità e non di quantità. Qualcuno ha affermato che i patti di famiglia non risolvono le liti, questo sicuramente può essere vero se il conflitto è ormai aperto e irreversibile, negli altri casi il patto può, invece, essere utilizzato per prevenire e in qualche misura impedire i conflitti, grazie all’autorevolezza e all’equità del disponente e soprattutto al processo attraverso il quale, con il coinvolgimento di tutti i legittimari, si perviene alla redazione del patto condiviso. Quel che sembra opportuno affrontare è l’ipotesi di realizzare in vita l’assegnazione del controllo dell’impresa con un contratto fra tutti i legittimari e il testatore il cui effetto sia differito al momento dell’apertura della successione. Si evince così, da quanto esposto, che oramai la modifica del codice civile era divenuta improcrastinabile e il nostro legislatore sul finire della XIV legislatura ha prodotto un istituto molto importante, anche se con una tecnica legislativa non particolarmente matura. Questo comporta l’inevitabile conseguenza che le interpretazioni, anche le più diverse, trovano tutte nelle parole del legislatore un appiglio normativo che giustifichi la loro impostazione. Rimanendo in attesa dell’intervento chiarificatore della giurisprudenza, si cercherà di dar conto delle diverse tesi proposte, con la convinzione che dal dato normativo, anche se incongruo, non potrà prescindersi, e che la perfettibilità dell’istituto sarà possibile tanto con un’interpretazione teleologica (la cd. ratio del legislatore) quanto con un’interpretazione sistematica, infatti, necessariamente, il nuovo istituto dovrà armonizzarsi con il sistema, anche se, si comprende come una tesi eccessivamente restrittiva rischi di compromettere il successo e l’utilizzabilità del nuovo istituto.
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Informazioni tesi
Autore: | Beatrice Davini Bertaccini |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Pisa |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Mauro Paladini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 167 |
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