2
successori, gli eredi non hanno raggiunto un’intesa idonea ad assicurarne la
necessaria continuità
3
.
E’ rilevante sapere che da indagini condotte dalla Commissione europea,
emerge che solo il 30% delle imprese passa alla seconda generazione e solo il
15% riesce a raggiungere la terza
4
. Questo accade a causa della conflittualità che
solitamente accompagna il passaggio generazionale dell’impresa che avvenga solo
alla morte dell’imprenditore; tale passaggio non implica, infatti, esclusivamente il
trasferimento di un bene (l’impresa), ma prima di tutto di un ruolo
(l’imprenditore).
Si spiega così anche il successivo invito della Commissione Europea con
la Comunicazione 98/C 93/02
5
, rivolto ai Legislatori nazionali, ad intervenire per
consentire all’imprenditore di disporre in vita della propria azienda in favore di
uno o più dei propri discendenti, affinché attraverso uno strumento giuridico ad
hoc e la propria autorevolezza, riesca a gestire tale difficile “consegna”, senza che
il diritto di famiglia e il diritto delle successioni possano mettere in pericolo la
continuità dell’impresa.
3
OBERTO, Il patto di famiglia, in corso di pubblicazione nella collana “Le monografie di
Contratto e impresa” diretta da F.Galgano, 2006, e disponibile al seguente sito web:
http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/pattodifamiglia/pattodifamiglia.htm.
4
Dati AIdAF.: il patto di famiglia potrebbe interessare ben il 92%delle imprese italiane. Questa è
la quota delle aziende familiari sul totale (quasi 6 milioni) delle imprese del nostro paese. Ben 42
delle prime 100 imprese italiane sono aziende familiari. Il 50% delle imprese familiari scompare
alla seconda generazione e solo il 30% delle restanti supera la terza. Ogni anno sono ben 80000 gli
imprenditori che si trovano gestire il passaggio dell’impresa ai propri figli.
5
Pubblicata in G.U.C.E. n. C/93 del 28 marzo 1998: <<La trasmissione delle imprese è un
problema di enorme rilievo (…) dopo la creazione e la crescita, la trasmissione è la terza fase
cruciale nel ciclo di vita di un’impresa.>>.
3
Ecco che, dai lavori preparatori della legge
6
, emerge chiaramente la
motivazione precipua della riforma, la volontà di superare regole ormai inadatte ai
tempi, di rimuovere un ostacolo all’autonomia privata e di imprimere una maggior
dinamicità alla successione
7
nella leadership dell’impresa, soprattutto per quelle
medio-piccole che, in Italia, ma non solo, rappresentano il centro propulsore della
ricchezza del paese.
L’accoglimento di tali istanze era ostacolato dalla presenza di alcuni
principi del nostro ordinamento quali l’unità della vicenda successoria
8
, nonché il
divieto dei patti successori e l’applicabilità degli strumenti a tutela della riserva
dei legittimari, come la collazione ma soprattutto l’azione di riduzione, che
inevitabilmente impedivano, prima della Lg. 55/2006, una regolamentazione di
interessi simile a quella del nuovo istituto.
Due appaiono essere le linee direttrici che conducono all’individuazione
della ratio della novella, l’interesse generale alla promozione dell’attività di
impresa, e dall’altro quello privato di ciascun imprenditore
all’autoregolamentazione del proprio assetto patrimoniale.
Il patto di famiglia, quindi, rappresenta prima di tutto un bilanciamento di
interessi che il legislatore ha posto in essere affinché, da un lato, l’imprenditore
6
Vedi Relazione al disegno di legge n. S-1353 dove si evidenzia la “necessità della dinamicità
degli istituti collegati all’attività di impresa (…)”predisponendo gli strumenti tali da far
“conciliare il diritto dei legittimari con l’esigenza dell’imprenditore (…) di garantire una
successione non aleatoria a favore di uno o più dei propri discendenti”.
7
LUCCHINI GUASTALLA, Con l’arrivo dei patti successori, l’ordinamento si modernizza, in
Guida al Diritto n. 13, Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2006, pagg. 43 e ss. che utilizza la calzante
metafora del “passaggio del testimone”.
8
Sia pure con una serie di temperamenti che il legislatore ha ritenuto opportuno inserire in
relazione ai beni agricoli. Anche se, secondo la tesi qui accolta, non si ritiene possa parlarsi di
“anticipata successione” in senso tecnico per il patto di famiglia.
4
possa validamente “assegnare” l’impresa al soggetto eletto, e, dall’altro, i
legittimari ottenessero una “liquidazione”, affinché non fosse radicalmente
pregiudicato il loro diritto alla quota di legittima, che in concreto subirà una
deminutio solo in termini di qualità e non di quantità.
Per il disponente quindi importante era, ed è, la coesione familiare senza la
quale evidenti appaiono i problemi cui può andare incontro l’azienda in sede
successoria..
Qualcuno ha affermato che i patti di famiglia non risolvono le liti
9
, questo
sicuramente può essere vero se il conflitto è ormai aperto e irreversibile, negli altri
casi il patto può, invece, essere utilizzato per prevenire e in qualche misura
impedire i conflitti, grazie all’autorevolezza e all’equità del disponente e
soprattutto al processo attraverso il quale, con il coinvolgimento di tutti i
legittimari, si perviene alla redazione del patto condiviso.
Il successo che da più parti si auspica per il patto di famiglia
10
è anche
determinato dalla speranza che nel prossimo futuro, affermato ormai il principio
che la trasmissione dell’azienda può avvenire oltre che per legge e per testamento
anche per contratto inter vivos, si possa aprire un dibattito circa l’opportunità di
un ulteriore intervento che abroghi in gran parte il divieto dei patti successori.
Quel che sembra opportuno affrontare è l’ipotesi di realizzare in vita
9
ZOPPINI A., Il patto di famiglia non risolve le liti, in Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2006;
10
Sempre che la legge sia accompagnata da una norma interpretativa e attuativa che definisca
compiutamente ogni suo aspetto formale e sostanziale al fine di consentirne la fruibilità da parte
degli imprenditori e di agevolarne l’applicazione da parte dei professionisti deputati ad
occuparsene.
5
l’assegnazione del controllo dell’impresa con un contratto fra tutti i legittimari e il
testatore il cui effetto sia differito al momento dell’apertura della successione
11
.
Si evince così, da quanto esposto, che oramai la modifica del codice civile
era divenuta improcrastinabile e il nostro legislatore sul finire della XIV
legislatura ha prodotto un istituto molto importante, anche se con una tecnica
legislativa non particolarmente matura.
Questo comporta l’inevitabile conseguenza che le interpretazioni, anche le
più diverse, trovano tutte nelle parole del legislatore un appiglio normativo che
giustifichi la loro impostazione.
Rimanendo in attesa dell’intervento chiarificatore della giurisprudenza, si
cercherà di dar conto delle diverse tesi proposte, con la convinzione che dal dato
normativo, anche se incongruo, non potrà prescindersi, e che la perfettibilità
dell’istituto sarà possibile tanto con un’interpretazione teleologica (la cd. ratio del
legislatore) quanto con un’interpretazione sistematica, infatti, necessariamente, il
nuovo istituto dovrà armonizzarsi con il sistema, anche se, si comprende come
una tesi eccessivamente restrittiva rischi di compromettere il successo e
l’utilizzabilità del nuovo istituto.
11
Ad un risultato simile si potrebbe giungere con un patto di famiglia con riserva di usufrutto in
capo al disponente.
6
CAPITOLO I
Il patto di famiglia: deroga reale o apparente al divieto dei patti
successori?
Sommario: 1.1. Divieto dei patti successori: significato del divieto e sua
successiva erosione. 1.2. Tecniche alternative di trasmissione della ricchezza: atti
inter vivos, mortis causa e post mortem. 1.3. Il patto di famiglia come atto inter
vivos: la “anticipata successione” e la disattivazione degli strumenti a tutela dei
legittimari. 1.4. Divieto dei patti successori e trasmissione della ricchezza
familiare in altri ordinamenti: l’Erbvertrag tedesca e il Partage d’ascendant
francese.
1.1. Divieto dei patti successori: significato del divieto e sua successiva
erosione.
Tutti i disegni di legge che hanno preceduto l’approvazione della Lg. n. 55
del 14 febbraio 2006, hanno puntato l’attenzione sul fatto che, per conferire
dinamicità ai trasferimenti aziendali e di partecipazioni societarie, la strada da
7
percorrere dovesse necessariamente passare dalla revisione del divieto dei patti
successori ex. art. 458 c.c.
12
Tale divieto già da tempo veniva considerato un vero e proprio laccio alla
“fluida” trasmissibilità dei beni produttivi.
Su questa materia si sono succeduti dal ’94 ad oggi una serie di gruppi di
studio, il più importante, per i risultati raggiunti, pare essere quello coordinato dai
Professori Masi e Rescigno (1997), che è culminato con una proposta di riforma
del codice civile
13
.
Tale progetto di riforma, in sintesi, prevedeva l’introduzione di due
distinte fattispecie, un patto di famiglia (734bis) e un patto di impresa (2355bis),
relativamente ai quali si faceva notare giustamente
14
che solo il secondo
rappresentava realmente un patto successorio.
La definizione di patto successorio passa, infatti, attraverso la distinzione
tra atti inter vivos e atti mortis causa. Si definisce atto mortis causa quell’atto
dove la morte del soggetto acquista una valenza causale sia sotto il profilo
oggettivo che sotto il profilo soggettivo, ovvero tanto il soggetto beneficiario
quanto l’oggetto potranno essere determinabili solo dopo la morte del disponente.
Si parla a tal proposito del cd. quod superest, ovvero la massa dei beni che cadrà
in successione potrà essere individuata solo in ciò che residuerà al momento della
12
Vedi su tutti IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di
famiglia e patto di impresa. profili generali di revisione del divieto dei patti successori, in Riv.
Not. n. 6/1997, pagg. 1371 e ss.
13
INZITARI, Il patto di famiglia, negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio
2006 n. 55,Torino,2006, pag. 20.
14
IEVA, op. ult. cit.
8
morte del soggetto. Lo stesso deve dirsi per il soggetto beneficiario che potrà dirsi
tale solo se esistente al momento della morte
15
del disponente.
Ecco che, il progetto di riforma suddetto poteva qualificarsi come patto
successorio solo relativamente al patto di impresa, con il quale si permetteva di
inserire nello statuto una clausola che prevedesse <<a favore dei soci la
possibilità di acquistare le azioni nominative cadute in successione>>, si veda
come i soci superstiti e le azioni che cadranno in successione saranno
determinabili solo alla morte del socio
16
.
Diversamente deve dirsi per il patto di famiglia presente nel progetto, che
si caratterizzava per la definizione, già al momento della stipulazione, tanto dei
soggetti beneficiari quanto del bene trasferito, nonché per l’effetto attributivo
immediato.
Tornando alla natura e al significato dei patti successori, possiamo
sottolineare come il più evidente dato normativo fissi nella sola delazione
testamentaria o legittima ex. art. 457 c.c. l’ alternativa possibile per devolvere
l’eredità, il legislatore ha così escluso la possibilità che la successione possa
avvenire per contratto. Tuttavia, l’art. 458 c.c. contempla tre diverse tipologie di
patti successori: istitutivo, dispositivo e rinunciativo, che sono irriducibili ad una
medesima ratio.
Quelli istitutivi rispondono, secondo l’opinione della dottrina dominante,
all’esigenza di preservare la libertà di revoca in capo al testatore riconosciuta
15
GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954, pagg. 38 e ss.
16
IEVA, op. cit., pag. 1373.
9
come inderogabile ex. art. 679 c.c.
17
, per altri la ratio consisterebbe nell’esigenza
di mantenere la centralità della volontà del disponente
18
.
Le altre due tipologie di patti successori, dispositivi e rinunciativi, le
possiamo meglio qualificare come atti inter vivos, aventi ad oggetto beni futuri,
provenienti da una successione non ancora aperta e di cui tali soggetti sarebbero i
potenziali eredi.
La ratio del divieto di questi due patti successori è da ricercarsi, da un lato,
nella volontà di tutelare i soggetti “prodighi e inesperti” che potrebbero
concludere contratti in maniera avventata, o sarebbero disposti a rinunciare
magari a grandi fortune in cambio di una piccola somma presente e certa,
dall’altro, c’è anche una giustificazione, per così dire, morale, ovvero il legislatore
vuole evitare l’auspicio della morte altrui (cd. votum captandae mortis).
Il divieto dei patti successori ha subito poi nel tempo una vera e propria
erosione, anche se il dettato della legge parla chiaro e non è possibile prescindervi.
Tuttavia la presa di coscienza che il divieto dei patti successori <<risponda
più ad esigenze di coerenza sistematica che non a ragioni di tutela di interessi
sostanziali>>
19
e ciò giustificherebbe la proclamata assolutezza del divieto
20
, ha
17
CAPOZZI, Successioni e donazioni , Milano, 1983, I, pag. 28, CACCAVALE-TASSINARI, Il
divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, in Riv. dir. priv., 1997,
fasc. 1 pagg. 74 e ss.
18
CACCAVALE, Il divieto dei patti successori, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e
donazioni Padova, 1994, pagg. 25 e ss.
19
RESTUCCIA, Divieto dei patti successori successione nell’impresa e tutela dei legittimari:
esigenze di protezione a confronto, in Patto di Famiglia, La Porta (a cura di), Torino, 2006, pagg.
43 e ss.
20
In quanto se vi sono veri interessi da tutelare è impossibile che non esistano altrettanti interessi
contrapposti abbastanza importanti da giustificare una deroga ad un principio espresso.
10
portato la dottrina
21
prima, e la giurisprudenza
22
poi, a coniare la acuta distinzione
tra atti mortis causa e atti post mortem così da poter, da un lato, salvare l’impianto
del codice civile, e dall’altro dare tutela ad interessi evidentemente ritenuti
meritevoli di tutela, senza dover scomodare l’art. 458 c.c. per operare un
bilanciamento di interessi potenzialmente contrapposti, confermando così
l’assoluta inderogabilità del divieto.
1.2. Tecniche alternative di trasmissione della ricchezza: atti inter vivos,
mortis causa e post mortem.
Come abbiamo già rilevato, il divieto dei patti successori ha subito una
graduale ma inarrestabile erosione
23
.
Le tecniche di trasmissione della ricchezza, che sono state ideate nel corso
del tempo per aggirare il divieto ex. art 458 c.c. che si atteggiava a spada di
damocle pronta ad invalidare quelle convenzioni che risultassero derogative dello
stesso, sono le più varie e si basano prevalentemente sulla distinzione tra atti
mortis causa e atti inter vivos con effetti post mortem, dove l’evento morte non si
atteggerebbe a causa dell’atto ma l’atto si perfezionerebbe al momento della
21
Vedi GIAMPICCOLO, op. cit., pag. 40. PALAZZO, op. cit., IEVA, I fenomeni parasuccessori,
in Riv. Not, 1988 pagg. 1139 e ss.
22
Vedi Cass. n. 8335 del 1990, in Giust. civ. 1991, I, pagg. 953 e ss.
23
Vedi, per un quadro completo, i saggi contenuti in AA.VV., La trasmissione familiare della
ricchezza. limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995, dove si definisce
il divieto dei patti successori un “principio anacronistico”.
11
stipulazione e solo gli effetti verrebbero posticipati a dopo la morte del
disponente, a ragione del fatto che l’ art. 1350 c.c. non impedisce di porre l’evento
morte come condizione di efficacia del contratto, sorgendo, infatti, l’aspettativa
giuridica al momento della stipulazione
24
.
Ecco che, nel panorama giuridico, ritroviamo strumenti quali la donazione
cum moriar, dove la morte rappresenta il termine iniziale di efficacia del
contratto, o la donazione si premoriar, sottoposta a condizione sospensiva della
morte del donante o a condizione risolutiva della morte del donatario
25
:
fattispecie, queste, talvolta salvate e altre volte ritenute nulle perché derogatorie
del divieto.
Esistono anche altre fattispecie, come la donazione con riserva di
usufrutto, oppure il contratto a favore di terzo, dove si prevede che, alla morte
dello stipulante, l’attribuzione patrimoniale vada a favore del terzo, questa ipotesi
è ritenuta pacificamente valida e non integrante un patto successorio istitutivo.
26
Tuttavia le ipotesi di trasmissione della ricchezza che più interessano la
nostra trattazione sono quelle utilizzate per provocare lo stesso effetto che, oggi, si
determina con l’introduzione del nuovo istituto.
Ci si riferisce, prevalentemente, alle ipotesi di donazione con contestuale
vendita, attraverso la quale l’imprenditore donava l’azienda in pari quota a tutti i
legittimari esistenti e, contestualmente, da un punto di vista cronologico, ma in
24
Vedi PALAZZO, Attribuzioni patrimoniali tra vivi e assetti successori per la trasmissione della
ricchezza familiare, in Vita Notar., 1993 pagg. 1228 e ss. e RESCIGNO Trasmissione della
ricchezza e divieto dei patti successori, in Vita Notar.,1993, pagg. 1281 e ss.
25
GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954, pag. 38 e ss.
26
SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli,1977, pagg. 222 e ss.
12
momento logico immediatamente successivo, vendevano le quote loro donate al
donatario designato dal donante come il soggetto scelto per la prosecuzione
dell’attività imprenditoriale. Questa operazione poteva risultare efficace solo nella
dimensione in cui non sopraggiungessero legittimari ulteriori
27
che, non avendo
ricevuto nulla in donazione, ben potevano rimettere in discussione con
l’esperimento degli strumenti a tutela dei legittimari
28
, e inoltre i beni assegnati
venivano rivalutati al momento dell’apertura della successione.
Anche con la contrattazione a favore di terzo, attraverso la vendita del
bene produttivo al soggetto designato per una cifra inferiore al valore del bene, e
corrispondente alla legittima che spetterebbe agli altri legittimari, con contestuale
dirottamento del pagamento del prezzo dall’acquirente direttamente in capo ai
terzi legittimari che, profittandone, “consumano” la possibilità dello stipulante di
revocare il beneficio a loro favore, si determinava un effetto simile a quello
prodotto dal nuovo istituto. All’apertura della successione i legittimari avrebbero
dovuto imputare quanto ricevuto alla legittima loro spettante, poiché tale liberalità
proviene dal loro ascendente, l’interesse (anche non patrimoniale) dello stesso
qualifica infatti l’attribuzione fatta al terzo.
Tuttavia, anche questo tipo di acquisto risultava instabile, infatti, all’apertura
della successione si procedeva alla riunione fittizia resa ancor più problematica
dal trascorrere del tempo che, inevitabilmente, incideva sullo stesso valore del
27
Si pensi all’ipotesi tutt’altro che improbabile del disponente che contragga nuove nozze e crei un
altro nucleo familiare, oppure si pensi al riconoscimento di figli naturali.
28
RESTUCCIA, Patto di famiglia e strumenti tradizionali della ricchezza, in Patto di Famiglia,
La Porta (a cura di), Torino, 2006, pagg. 85 e ss.
13
bene produttivo; poteva così facilmente capitare che il bene risultasse più “ricco”
e quindi appetibile, con la conseguenza dell’esperimento dell’azione di riduzione
da parte dei legittimari che erano stati beneficiati dalla liberalità indiretta avente
ad oggetto una somma di denaro, non essendo da impedimento al sorgere di litigi
e contestazioni neppure le norme che deducono dal valore di stima le migliorie
apportate dal figlio imprenditore.
Per completare la rassegna delle tecniche utilizzate per la trasmissione
della ricchezza alternative alla successione, dobbiamo fare riferimento alle diverse
clausole che i soci possono inserire nell’atto costitutivo e per le quali la recente
riforma del diritto societario, che ha normato il diritto di porre limitazioni alla
trasferibilità delle azioni tanto inter vivos che mortis causa
29
, nonché ha
disciplinato il fenomeno, prima solo ufficioso, dei patti parasociali, non è stata
una grande novità, in quanto dette clausole con <<i dovuti correttivi al fine di non
incorrere nelle trame del patto successorio>>
30
sono comunque state sempre
ritenute valide.
Si rammenta
31
la cd. clausola di consolidazione impura attraverso la quale
alla morte del socio, i soci superstiti acquisiscono la proprietà dell’intera
partecipazione con contestuale obbligo di liquidazione della quota agli eredi
29
Vedi art. 2469 c.c. per le società a responsabilità limitata e l’art. 2355 bis c.c. per le società per
azioni.
30
Vedi PALAZZO, op. cit., pag. 1231.
31
Si vedano anche le clausole di prelazione, con le quali si prevede, per le quote cadute in
successione, il diritto dei soci di essere preferiti a terzi in caso di alienazione, anche se in questo
caso tutto rimane su un piano eventuale; le clausole di gradimento, che determinavano in caso di
mancato gradimento la scissione tra diritti amministrativi e patrimoniali, con la possibilità di
esercitare solo questi ultimi.
14
secondo le regole del tipo societario. Questo tipo di clausole non è stato mai
ritenuto invalido e neppure aggredibile dai legittimari in quanto il valore
patrimoniale della partecipazione cade integralmente in successione e non si è mai
ritenuto che la tutela reale della legittima potesse inficiare le scelte societarie che
rispondono ad interessi peculiari meritevoli di tutela.
32
A diversa conclusione si
dovrebbe arrivare per l’ipotesi della clausola di consolidazione pura, in quanto, il
socio superstite non solo riceverebbe la titolarità delle partecipazioni, ma anche il
suo controvalore economico (quindi senza liquidazione agli eredi legittimari).
Questa fattispecie è stata ritenuta integrare un patto successorio istitutivo
33
. La
riforma del diritto societario ha previsto per le società per azioni che introducano
clausole di consolidazione l’obbligo di acquisto ovvero il diritto di recesso ex. art.
2355 bis 2°e 3° comma
34
.
Il legislatore ha così confermato gli approdi della dottrina e giurisprudenza
precedente, sancendo la necessaria “impurità” della clausola di consolidazione. Si
deduce che se beneficiaria sarà la società essa dovrà procedere alla liquidazione
degli eredi, se beneficiari saranno i soci, in concreto, il contenuto della clausola
equivarrà all’esercizio di un diritto di opzione rispetto al quale l’evento morte
32
Questo meccanismo dove risulta prevalente l’interesse sociale emerge già nelle società di
persone ex. art. 2284 c.c. e dalla giurisprudenza veniva considerato superiore anche nelle società di
capitali; tale interpretazione giurisprudenziale ha ricevuto l’ avvallo del legislatore con la recente
riforma del diritto societario.
33
Vedi Cass. n. 1434, del 16 aprile 1975, in Giur.it., 1976, I, 1, pag. 59.
34
Soprattutto se il socio era il familiare scelto come prosecutore dell’attività di impresa.
15
funge da elemento condizionante l’esercizio del diritto, il quale era già stato
acquistato con atto inter vivos
35
.
Un’ultima ipotesi per completare il rapido quadro qui analizzato è quella
della divisione operata dal testatore con il testamento. Con tale strumento, mortis
causa, il testatore procede ad un “apporzionamento” del patrimonio tra i propri
eredi. Il caso tipico è proprio quello rappresentato dall’assegnazione del bene
produttivo ad un soggetto e relativi conguagli in denaro ai non assegnatari,
denaro, in ogni modo, proveniente dall’asse ereditario del de cuius.
Se, infatti, il denaro non si trova nell’asse ereditario pare difficile la forzata
qualificazione di tale liquidazione come di conguaglio. Tale fattispecie che viene
spacciata per divisione in realtà divisione non è, ed è posta in essere per
raggiungere ben diverse finalità. Tale costruzione porta il legittimario a vedersi
modificato il suo diritto di legittima in un diritto di credito, a cui per di più non
potrebbe prestare in vita il suo consenso integrando ciò un vero e proprio patto
successorio dispositivo.
Anche la spiegazione salvifica di certa dottrina, per la quale si potrebbe
parlare di legato con funzione divisoria
36
, non pare cogliere il significato della
divisione e la funzione del conguaglio stesso come “riequilibratore”
dell’apporzionamento effettuato.
35
Vedi a tal proposito Cass. n. 3609, del 1994, in Giur. It. 1994, I, 1, pag. 1160, che rileva come in
realtà in quella fattispecie ci si trovasse di fronte ad un legato a favore dei soci superstiti che nasce
con contratto inter vivos. In concreto si ha, non il trasferimento della partecipazione, ma il
conferimento del diritto di opzione da esercitarsi solo alla morte del socio.
36
Questa terminologia è utilizzata da MENGONI, La divisione testamentaria, Milano 1950.