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Una discussione etica sull'eutanasia

In questa tesi verranno prese in considerazione quattro diverse posizioni filosofiche che si sono pronunciate in merito alle problematiche riguardanti l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistito, quindi concernenti un «diritto morale a morire» . Esse non esauriscono tutto il dibattito, tuttavia le loro argomentazioni sono molto interessanti per una dialettica tra l’etica tradizionale dell’inviolabilità della vita e quella della libera scelta. Nei primi due capitoli verranno presi in considerazione gli argomenti a favore del suicidio assistito e dell’eutanasia: essi sono quelli utilitaristi e quelli liberali, analizzati attraverso la lettura critica delle opere di due dei maggiori portavoce di queste dottrine filosofiche, Peter Singer e Ronald Dworkin. Gli utilitaristi avanzano il principio di qualità della vita, in base al quale l’eutanasia va ammessa almeno in tutti quei casi in cui essa promuove gli interessi delle persone coinvolte. La tesi liberale, invece, si basa esclusivamente sul principio di autonomia o autodeterminazione: l’uomo deve poter decidere in piena autonomia come e quando morire. Il terzo e il quarto capitolo prendono, viceversa, in esame gli argomenti contrari all’eutanasia e al suicidio assistito. Essi sono quelli appartenenti ad una prospettiva kantiana del rispetto del filosofo morale David Velleman e quelli del filosofo del diritto John Finnis. Velleman nega un diritto morale a morire se esercitato in termini di costi e benefici della vita ed estende tale divieto anche per un riconoscimento giuridico. Finnis invece applica al valore fondamentale della vita umana il principio pratico “non uccidere”. La conclusione a cui si giungerà sarà che, a parere di chi scrive, sarebbe un atteggiamento di buon senso abbandonare le etiche assolutiste come quelle della sacralità della vita e quelle deontologiche basate su ragioni di principio, e abbracciare, invece, consapevolmente quelle della qualità della vita e dell’autonomia perché prendono in considerazione l’effettiva realtà delle cose e non teorizzano su un individuo astratto.

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5    Prefazione Scriveva il poeta statunitense Alan Seeger: « I've a rendezvous with Death […] And I to my pledged word am true, I shall not fail this rendezvous» 1 . L’uomo ha sempre avuto la possibilità di prendere un appuntamento con la morte; fin dagli albori dei tempi è stato padrone di compiere l’ultimo atto deliberatamente. Certo, è stato giudicato ora stoicamente virtuoso, ora un essere pavido; tuttavia ha sempre potuto scegliere. Oggi l’uomo post moderno si trova incatenato, invece, molto spesso alla vita, a causa di una nuova medicina, interpretata come sfida alla morte ad ogni costo; e l’uomo in questa sfida è l’unico prigioniero, prigioniero di se stesso, di un corpo che non funziona più o di una mente che ha perso la sua ragionevolezza. Uomini, donne e bambini costretti in letti d’ospedali, senza più neanche un barlume di una vita dignitosa. Chi è che asservisce così l’uomo, negandogli la possibilità di porre fine non più ad una vita ma ad una sopravvivenza? La risposta più intuitiva parrebbe essere “le leggi” le quali, effettivamente, in diversi Stati, negano la pratica dell’eutanasia o del suicidio assistito. Ma sottese a tali leggi, ci sono le cosiddette etiche della vita, che fanno di quest’ultima un bene assoluto inviolabile. E l’uomo è così costretto a mancare al suo appuntamento con la morte, ma paradossalmente manca anche a quello con la vita. Cosa allora si può fare per ridare dignità alle non più libere scelte degli individui? Una penna su di un foglio non può far molto, se non spingere qualche coscienza a sottrarsi dai dogmatismi e dall’acriticità di cui pare essere succube ora, cercare di costruire uno spazio di riflessione dove possano convivere istanze culturali, religiose e politiche diverse e dove l’autonomia personale e la libertà di scelta divengano il valore supremo.                                                             1  A, Seeger, I've a rendezvous with Death. 

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