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La psicologia dell'anziano: prospettive interrelazionali

L’allungamento della vita media ed il crescente invecchiamento della popolazione hanno condotto ad un maggior interesse circa le tematiche dell’invecchiamento.
Per comprendere il fenomeno invecchiamento nella sua globalità e complessità, è risultato utile andare oltre il deficit model. Partendo dalle teorie più accreditate in ambito biologico, psicologico e sociale siamo pervenuti ad un approccio multifattoriale e biopsicosociale per comprendere la complessità della vecchiaia come transizione nel ciclo di vita e l’invecchiamento come processo complesso ed eterogeneo(Cristini, Cesa-Bianchi, 2003) Sebbene, per molto tempo l’anziano sia stato studiato in sé, una mole di ricerche orientate in senso psicosociale e relazionale sono andate oltre quelle tendenze individualiste sottolineando come lo studio dell’individuo non può prescindere da quello del contesto sociale e relazionale d’appartenenza.
Riprendendo le teorizzazioni di Kurt Lewin, secondo cui «essendo il gruppo luogo di unità e totalità dinamica ciò che accade ad un suo membro non può che riversarsi sugli altri ed implicare tutti gli altri» (Cigoli, 1992: p. 24, 25) la transizione all’età anziana è stata considerata come “passaggio gruppale” (Cigoli, 1992).
L’intervento orientato alla prevenzione piuttosto che alla cura e riparazione dei deficit (Lavanco, Novara, 2002) ci ha condotti da un lato, a considerare il costrutto di benessere, evidenziando l’interdipendenza tra variabili soggettive, psicologiche e sociali (Zani, Cicognani, 1999) e le dimensioni della qualità della vita nell’anziano e dall’altro, ad andare oltre il costrutto di patologia ed approdare, invece, nella seconda parte di questo contributo a quello di disagio.
Il disagio e la sofferenza che ad esso si accompagna non solo nasce e si sviluppa all’interno di un contesto ma, varia al variare delle caratteristiche politiche, sociali e culturali di quest’ultimo. Ecco allora che emergono nuovi disagi che si concretizzano nell’esclusione sociale, nell’emarginazione, nell’isolamento, nella solitudine e nella insicurezza urbana; disagi e sofferenze ampiamente indagati dalle scienze sociali ma che oggi, trovano ampio spazio, anche nella riflessione psicologica clinico-sociale. Accanto ad una riflessione sull'anziano attivo come risorsa sociale nell'ultima parte di questo contributo verrà indagata l'istituzionalizzazione e la patologia di Alzheimer prestando attenzione al processo di caregiving ed al problema dell'istituzionalizzazione dell'anziano fragile e delineando le linee d'intervento per il miglioramento della qualità della vita nelle RSA.

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5 INTRODUZIONE L’allungamento della vita media ed il crescente invecchiamento della popolazione hanno condotto ad un maggior interesse circa le tematiche dell’invecchiamento. Tuttavia, le ricerche psicologiche sull’invecchiamento hanno portato un ritardo, sia a causa del maggior interesse posto su altre fasi del ciclo di vita quali l’infanzia e l’adolescenza, sia a causa di una “medicalizzazione” dell’invecchiamento sempre più considerato una malattia e dunque, di dominio esclusivamente medico e biologico (Scortegagna, 2005). La stessa psicologia ha in un primo momento analizzato il fenomeno invecchiamento focalizzando la propria attenzione su aspetti relativi al deterioramento delle funzioni cognitive in età anziana (Cristini, Cesa- Bianchi, 2003). Per comprendere il fenomeno invecchiamento nella sua globalità e complessità, è risultato utile andare oltre il deficit model. Partendo dalle teorie più accreditate in ambito biologico, psicologico e sociale siamo pervenuti ad un approccio multifattoriale e biopsicosociale per comprendere la complessità della vecchiaia come transizione nel ciclo di vita e l’invecchiamento come processo plurale e diversificato (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003) evidenziando al contempo come “l’invecchiamento primario” sia estremamente diverso da quello “secondario”o patologico (Sbattella, 2004) sfatando, dunque, stereotipi

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