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Artificial Intelligence. Un programma di ricerca filosofico

Occuparsi di Intelligenza Artificiale è un compito affascinante quanto rischioso: ad un ambito di indagine ricco di spunti e di continue evoluzioni, si accompagna, infatti, un dibattito altrettanto complesso e problematico. Quella dell’Intelligenza Artificiale (IA) è una disciplina relativamente recente, la cui stessa definizione non è esente da incertezze e incognite: si tratta di una scienza vera e propria? O forse di una vana speculazione filosofica? O, ancora, di un programma di ricerca non meglio caratterizzabile, in attesa di una configurazione maggiormente rigorosa?
In effetti, è forse l’origine interdisciplinare dell’IA a renderne difficile l’individuazione di un ambito di indagine precipuo e peculiare; si tratta però, al contempo, dell’elemento che ne permette la crescita.
La progettazione di sistemi artificiali capaci di prestazioni paragonabili a quelle umane, richiede la convergenza di nozioni di informatica, psicologia, logica, linguistica e filosofia. È possibile circoscrivere un campo di studi unitario sebbene complesso di tale disciplina: ovvero, quello delle scienze cognitive.
Ad essere oggetto di interesse, nella presente disamina, sono l’apporto e il ruolo svolti dalla filosofia in merito alle ricerche sull’IA; pur nella consapevolezza che la disciplina in questione non può essere dominio esclusivo di un unico ambito, è nondimeno innegabile che alcuni assunti-base della stessa sono prettamente filosofici: l’IA, continuamente volta a definire e ri-definire il concetto di intelligenza (e numerosi altri, come la nozione di rappresentazione e di mente umana), non può fare a meno di imbattersi nella filosofia.
Anzi, ad uno sguardo complessivo, ci si può anche azzardare a sostenere che l’IA rappresenti una sorta di sfida per la filosofia: l’ipotesi che sia possibile progettare sistemi artificiali capaci di prestazioni paragonabili a quelle umane sembra contraddire una tipica assunzione del senso comune.
Si tratta di questioni sicuramente aperte e problematiche, che rendono il dibattito in IA soggetto a numerose critiche. La stessa IA ha conosciuto varie declinazioni, nel corso della sua pur breve storia: ad un iniziale approccio di tipo simbolista e funzionalista (quello che Haugeland definisce GOFAI, ovvero “good old-fashioned Artificial Intelligence”), è succeduta un’impostazione connessionista.
L’IA tradizionale sostiene che le azioni intelligenti tipicamente umane altro non sono che manipolazione sintattica di simboli, indipendentemente dal substrato fisico dell’ente considerato; in tal caso, si parla di una vera e propria simulazione dell’intelligenza. Fondante, in relazione a tale sistema, è l’analogia mente-computer, da cui deriva l’immagine della mente come di un programma che può applicarsi a materiali fisici diversi.
Secondo l’ottica connessionista, invece, i processi cognitivi dell’uomo possono essere simulati efficacemente – o meglio, emulati - solo da una macchina la cui struttura sia simile a quella del cervello. In tal senso, emulare l’intelligenza significa costruire dispositivi in grado di svolgere specifici compiti in modo efficace.
L’aspetto, però, più interessante che si manifesta valutando complessivamente i due paradigmi in questione, ovvero il cognitivismo e il connessionismo, è la loro possibile compatibilità all’interno di un medesimo apparato. È vero che gli schemi concettuali a cui si legano sono discordanti, ma è altrettanto evidente il filone comune che ne regge l’impianto: ovvero, l’aspirazione ad uno studio della mente valido e aderente all’esperienza pratica.
La mente umana, concludendo, presenta una varietà tale di elementi, che una sua spiegazione non si può ridurre ad un’unica impalcatura concettuale.
Risulta evidente, dopo questa premessa circa l’IA, il carattere mai definitivo di tale ambito tematico: all’interno della comunità di IA convivono progetti diversi e aspetti simulativi ed emulativi possono anche coesistere nel medesimo sistema. D’altra parte, occorre ribadire che la natura prettamente interdisciplinare dell’IA finisce col caratterizzare questo settore come un’area di ricerca, più che come branchia strettamente filosofica piuttosto che scientifica o informatica.
È chiaro, infatti, per dirlo con le parole di Dreyfus, che, se da un lato è evidente che i problemi della IA sono “di natura troppo scientifica per lasciarli ai soli filosofi”, dall’altro è altrettanto ovvio che sono “di natura troppo filosofica per lasciarli ai soli scienziati”.

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3 Introduzione Occuparsi di Intelligenza Artificiale è un compito affascinante quanto rischioso: ad un ambito di indagine ricco di spunti e di continue evoluzioni, si accompagna, infatti, un dibattito altrettanto complesso e problematico, che pone costantemente in dubbio le assunzioni di partenza. Quella dell’Intelligenza Artificiale (d’ora in poi IA) è una disciplina relativamente recente, la cui stessa definizione non è esente da incertezze e incognite: si tratta di una scienza vera e propria? O forse di una vana speculazione filosofica? O, ancora, di un programma di ricerca non meglio caratterizzabile, in attesa di una configurazione maggiormente rigorosa? Quale sarebbe il significato da attribuire al sintagma Intelligenza Artificiale? Consultando un comune dizionario di filosofia si legge quanto segue: “L’espressione Artificial Intelligence (AI per chi sigla inglese, IA per chi sigla italiano) è stata coniata da John McCarthy, promotore, insieme a M. Minsky, N. Rochester e C. Shannon, di uno storico seminario interdisciplinare svoltosi nel 1956 nel New Hempshire. Tale simposio, che segna l’atto di nascita ufficiale della IA – sia come termine che come disciplina - perseguiva lo scopo, per usare le parole di Minsky, di ‹‹far fare alle macchine delle cose che richiederebbero intelligenza se fossero fatte dagli uomini››.” 1 Tale definizione, nondimeno, può risultare vaga e non sufficientemente chiara per evidenziare la natura e i compiti dell’IA; ancora resta da specificare se essa può essere trattata come una materia scientifica, ovvero come una conoscenza che includa una qualche garanzia della propria validità, o come una sorta di “area della ricerca tecnologica”, resa possibile dalla collaborazione di varie discipline. In effetti, è forse l’origine interdisciplinare dell’IA a renderne difficile l’individuazione di un ambito di indagine precipuo e 1 N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, UTET, 1998, voce “intelligenza artificiale”, a cura di G. Fornero, p. 597.

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