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Il governo del Re. Profili giuridici e politici dello Statuto Albertino

Lo Statuto Albertino, ottriato dal Re Carlo Alberto il 4 marzo 1848, è stato, per circa un secolo, la Carta Fondamentale dapprima del Regno di Piemonte e di Sardegna, poi del Regno d'Italia. E', pertanto, il testo costituzionale di maggior durata che lo Stato italiano abbia mai conosciuto sinora.
Proprio nella cornice istituzionale fornita da questa Carta Fondamentale, l'Italia conosce grandezze (il Risorgimento, l'unificazione politica ed amministrativa, per citarne alcune) e miserie (il regime fascista, durante il quale lo Statuto resta formalmente in vigore). Probabilmente, sulla rimozione dell'esperienza giuridica realizzata con lo Statuto albertino (e qui messa in evidenza) pesa quello che pare essere stato un suo fallimento: l’incapacità, cioè, del testo costituzionale di fungere da efficace baluardo contro l'instaurarsi della dittatura.
Eppure, come una parte ancora oggi troppo minoritaria della dottrina riscopre, è con lo Statuto che si forma la prima "grammatica costituzionale italiana", ovvero il modo diffuso del cittadino di percepire lo Stato, le Istituzioni, la dinamica della vita politica. Pertanto, è proprio partendo da questo documento che possiamo riscoprire, riconsiderandola sotto altra luce, la nostra vita costituzionale odierna.
L’analisi si apre con la considerazione dei diversi fattori (storici, politici e naturalmente giuridici in primis) che consentono in Italia (ed al contempo in Europa, come evidenziato) l'affermarsi di un movimento costituzionale. Si sottolineano altresì le motivazioni che portano tale movimento al successo nel biennio 1848 - 1849, mettendo in luce tuttavia anche i limiti dello stesso.
Si prendono quindi in considerazione le peculiarità della situazione piemontese alla vigilia della concessione dello Statuto, si considera la fase riformistica avviata da Carlo Alberto a partire dalla sua ascesa al trono, si analizzano i Verbali dei Consigli di Conferenza che vedono la genesi concreta della Carta. Si pone inoltre quest'ultima in relazione con gli altri modelli costituzionali noti all'epoca, onde sottolinearne caratteri peculiari e specificità.
Quindi, si considerano i contenuti puntuali degli articoli dello Statuto, con specifico riferimento al "Governo del Re" (anche in relazione alle odierne previsioni della Costituzione repubblicana) ed alle amplissime ingerenze esercitate dal sovrano nella vita pubblica italiana, documentate attraverso una selezione di episodi particolarmente significativi, alcuni più, altri meno noti. Pare pertanto potersi confermare la tesi secondo cui, a dispetto della Carta, in Italia non si instaura una forma di governo cosiddetta "costituzionale pura". Cionondimeno, stante il grande margine di manovra lasciato alla Corona, si ritiene di dovere respingere la tesi, tradizionalmente sostenuta, che vuole in Italia una forma di governo parlamentare propriamente detta. Al più, e lo si dimostra ampiamente, si può parlare più correttamente di una forma "pseudoparlamentare".
Infine, un'ultima parte della trattazione ha riguardo ad uno degli aspetti meno indagati, sebbene più suggestivi dello Statuto. In particolare, ci si riferisce alla poco nota "trasformazione dello Statuto" che, da Carta fondamentale, attraverso un procedimento quanto mai singolare, viene ridotto ad un mero simbolo della retorica nazionale.

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1 PREMESSA “L’idea di scrivere una storia costituzionale dell’Italia contemporanea è maturata in me lentamente. A mano a mano che mi sforzavo di comprendere la trama fondamentale delle istituzioni pubbliche e lo svolgimento della dottrina giuridica sullo Stato e sulla Costituzione, mi appariva più rilevante la mancanza, da varie parti segnalata, di un’opera d’insieme dedicata a questi problemi così essenziali della nostra vicenda nazionale. Mi sembrava, cioè, particolarmente grave che, dopo la pubblicazione nel 1898 della ormai classica Storia Costituzionale del Regno d’Italia (1848 – 1898) di Gaetano Arangio Ruiz, nessuno studioso avesse più tentato una simile impresa”. Così, nel 1974, si esprimeva Carlo Ghisalberti nella premessa alla sua fondamentale, per la storiografia giuridica italiana, opera Storia costituzionale d’Italia (1848 – 1948) 1 . Ed un’analoga considerazione viene svolta anche dagli altri (pochi) storici del diritto che hanno in particolare approfondito l’esperienza giuridica costituzionale italiana del XIX – XX secolo 2 . 1 C. Ghisalberti Storia costituzionale d’Italia (1848 – 1948) Bari 1982, cit. , p. III. 2 Si vedano U. Allegretti Profilo di storia costituzionale italiana: individualismo ed assolutismo nello Stato liberale Bologna 1989, p. 19 e ss.; A. Amorth Vicende costituzionali italiane dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana in E. Rota Questioni di storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia Milano 1951, cit. p. 816 osserva che “studi organici e completi di storia costituzionale difettano in Italia quasi interamente, sicché non è dato avviare il lettore a pubblicazioni di fondo che gli permettano di seguire le vicende degli ordinamenti e delle istituzioni”. In questo senso anche l’opinione

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