2
“Sorprendentemente”, osserva Gianni Motzo nella
presentazione a Lo Statuto albertino illustrato dai
lavori preparatori
3
, lo Statuto albertino, nel quale
“circa un secolo di storia costituzionale si può
riassumere”
4
, è vissuto “in una sorta di clandestinità
culturale”
5
.
Anzi, esso è stato addirittura vittima di un “disinteresse
nel disinteresse, […], nel senso che, nell’ambito della
già scarsa attenzione finora dedicata, nella storiografia
italiana, alla storia costituzionale , a sua volta questa
ha sostanzialmente trascurato le tematiche più
specificamente concernenti lo Statuto Albertino”
6
.
Anche in questo caso, rinveniamo una sostanziale
identità di vedute, che ci paiono magistralmente esposte
da due autori; il Maranini, nel suo valido saggio Storia
del potere in Italia: 1848 – 1967
7
, lapidariamente
constata, rifacendosi alle tesi di E. Burke
8
, che “una
costituzione fallita è una costituzione sbagliata: la
di L. Carlassare la quale, nell’introduzione a G. Arangio Ruiz
Storia costituzionale del Regno d’Italia (1848 – 1889) Firenze
1898, rist. Napoli 1985, cit. , p. VII si sofferma a considerare
giustamente unica, nella nostra pubblicistica, “una Storia
costituzionale scritta da un costituzionalista relativa a fatti a lui
contemporanei o temporalmente vicini”. Infine, si veda anche E.
Rotelli Costituzione ed Amministrazione nell’Italia unita
Bologna 1981, pp. 12 e 19.
3
L. Ciaurro Lo Statuto albertino illustrato dai lavori preparatori
Roma 1996, cit. , p. 5.
4
G. Perticone Il sistema parlamentare nella storia dello Statuto
albertino Roma 1960, cit. , p. 1.
5
G. Motzo, presentazione a L. Ciaurro Lo Statuto albertino
illustrato op. cit. , cit. , p. 5.
6
L. Ciaurro Lo Statuto albertino illustrato op. cit. , cit. , p. 15.
7
G. Maranini Storia del potere in Italia: 1848 – 1967 Firenze
1983, cit. , p. 69.
8
E. Burke An appeal from the new to old Whigs in Works 1855
cit. vol. III, p. 181. Questi rileva che “ciò che è per natura tale
da produrre male nei risultati pratici, è praticamente falso; ciò
che è produttivo di bene, è politicamente vero”.
3
storia ha pronunciato la sua condanna”, precisando
tuttavia che tanto il Maranini quanto il Burke, riferivano
il loro giudizio alla Costituzione rivoluzionaria francese
del 1791; crediamo però di poter validamente trasporre
questa valutazione allo Statuto albertino, senza colpo
ferire. L’altra è invece l’ipotesi del Rebuffa il quale,
nel suo recente e snello contributo divulgativo Lo
Statuto albertino
9
, sostiene che “forse, sulla rimozione
dell’esperienza costituzionale dello Statuto, ha pesato
quello che è parso essere un suo fallimento; ha pesato
quella che è stata ritenuta la sua incapacità di
funzionare da baluardo efficace di fronte al fascismo”
10
.
Eppure, “proprio dallo Statuto albertino sono derivate
grandi cose: l’unità nazionale, un sistema di governo
parlamentare, la collocazione dell’Italia nel concerto
delle potenze europee”
11
, per individuare solo alcune
delle maggiori grandezze. Del pari, risalta ictu oculi la
circostanza per cui è durante la sua vigenza che il nostro
Paese si dota di un “complesso apparato di leggi
amministrative, che ancora oggi sottostanno ad interi
settori della disciplina dei rapporti tra lo Stato ed il
cittadino”
12
.
Ma se queste sono alcune delle ragioni precipue per cui
viene considerato degno di ulteriore approfondimento
9
G. Rebuffa Lo Statuto albertino Bologna 2003, cit. , p. 9.
10
Per alcune ipotesi parzialmente diverse, relativamente a tale
disinteresse, E. Gustapane Lo Statuto Albertino: indicazioni
bibliografiche per una rilettura in Rivista Trim. di Dir. Pubbl.
1983 pp. 1070 ss. E E. Flora Lo Statuto albertino e l’avvento del
regime parlamentare nel regno di Sardegna – Premesse per una
ricerca in Rassegna storica del Risorgimento 1958 Fasc. I, pp.
26 – 38.
11
G. Rebuffa Lo Statuto op. cit. , cit. , p. 11.
12
G. Motzo, introduzione a L. Ciaurro Lo Statuto Albertino
illustrato op. cit. , cit. , p. 6.
4
l’argomento Statuto, crediamo, con la migliore dottrina,
di poter parlare di una sua vera e propria attualità.
Infatti, premesso che “tutte le cose vengono di lontano:
è impossibile prendere coscienza del presente senza
saggiare attraverso l’indagine storica la natura e la
consistenza delle forze che dominano la vita attuale,
senza individuarne le linee di sviluppo, che dobbiamo
sempre conoscere e sottintendere, ance quando per
necessità di semplificazione e pratica utilità ci
interessa solo un singolo momento: la sua
rappresentazione istantanea, se non reinserita nel
processo dinamico dal quale artificiosamente venne
distaccata, diventa sempre una falsificazione”
13
, i
caratteri di quel documento formarono la cultura
politica nazionale, formarono il modo con cui i cittadini
dell’Italia unita pensarono il loro rapporto con i
pubblici poteri; costituirono, insomma, quella che si
potrebbe chiamare la <<cultura costituzionale diffusa>>.
Sostiene il Rebuffa che la lunga esperienza di cui
discutiamo creò “la grammatica costituzionale italiana,
a cui ispirare il linguaggio delle istituzioni e quello
comune ai dirigenti politici ed ai cittadini”; costituì, ed
eccone la ragione dell’attualità, “l’embrione della
cultura politica nazionale”
14
.
Conseguentemente, la rimozione del portato
dell’esperienza storico – giuridica realizzata da e con lo
13
G. Maranini Storia del potere op. cit. , cit. , p. 13.
14
G. Rebuffa Lo Statuto op. cit. , cit. , p. 9; nello stesso ordine
di idee U. Allegretti Profilo op. cit. , pp. 12 e ss..
5
Statuto, “ha nuociuto alla consapevolezza dei nostri
problemi politici di lunga durata”
15
.
Non da ultima, riteniamo significativa della
consapevolezza dell’importanza dello Statuto la
circostanza per cui anche il legislatore repubblicano, in
sede Costituente, cercò di stimolare studi giuridici ad
esso relativi. Ed è infatti proprio con la promozione del
Ministero della Costituente che, nel 1946, vede la luce
il succinto ma pregevole contributo dal titolo Lo Statuto
Albertino di A. C. Jemolo e M. S. Giannini.
15
G. Rebuffa Lo Statuto op. cit. , cit. , p. 9. Medesima
constatazione rinveniamo in R. Martucci Storia Costituzionale
Italiana: dallo Statuto Albertino alla Repubblica, 1848 – 2001
Roma 2002 p. 11 e ss.. Infine, anche L. Carlassare
nell’introduzione a G. Arangio Ruiz Storia op. cit. , cit. , p. X,
che rileva “la stretta analogia di situazioni, vicende, problemi”
tra l’Italia dello Statuto e “questa di oggi”.
6
CAPITOLO I
Il retroterra storico – politico – culturale –
giuridico dello Statuto Albertino
Il movimento statutario in Italia ed in Europa
Ampiamente appurate, quindi, le ragioni che ancora oggi
spingono ad una meditata analisi dell’esperienza
costituzionale statutaria, è d’uopo soffermarsi sulle sue
origini.
Tuttavia, “crederei di farvi ingiuria, se imprendessi a
rammentarvi i fatti storici della formazione del Regno
d’Italia e dello Statuto”
16
, ed è per questa ragione, oltre
che per non appesantire eccessivamente il nostro lavoro,
che, seguendo la scelta metodologica adottata dalla
maggior parte degli autori
17
, ci limiteremo in genere a
brevemente richiamarli e ci soffermeremo su di essi solo
laddove necessario (o perché poco noti o perché
strettamente funzionali alla comprensione della nostra
analisi).
Come osserva il Biscaretti Di Ruffia, “la conoscenza
delle concezioni moderne relative allo Stato ed al suo
ordinamento fondamentale affermatesi con la
rivoluzione nordamericana e francese (e già nei decenni
16
E. Presutti Diritto Costituzionale Napoli 1915 cit. , p. 289
17
Si veda, ad esempio, U. Allegretti Profilo op. cit. , o R.
Martucci Storia costituzionale op. cit. , o G. Maranini Storia del
potere op. cit.. In direzione contraria G. Arangio Ruiz Storia op.
cit. , il quale è assai puntuale nella narrazione degli accadimenti
storici; aggiungiamo tuttavia che tale opzione è stata resa
possibile, a nostro avviso, perché tutto sommato breve il lasso di
tempo considerato dall’Autore (l’opera infatti ha riguardo solo
agli anni 1848 – 1889).
7
precedenti illustrate e propagandate dagli scrittori
politici più illuminati dell’Occidente europeo) si era
diffusa in Italia negli anni a cavallo fra la fine del
XVIII secolo e l’inizio del XIX tramite l’arrivo nel
paese delle vittoriose armate francesi, determinando
nelle varie regioni della Penisola una ricca fioritura di
Costituzioni (dapprima di natura repubblicana e poi di
stampo monarchico durante l’agitato periodo
dell’Impero napoleonico)”
18
.
A tal proposito, è ben nota la lettura di F. P. Contuzzi,
certamente uno dei maggiori pubblicisti del periodo, il
quale ricorda che “dal 1797 al 1849, ben 23 Costituzioni
si promulgarono nei diversi Stati della Penisola”
19
.
18
P. Biscaretti Di Ruffia Statuto albertino voce in Enciclopedia
del diritto Varese 1990 vol. XLIII cit. , p. 981. E’ dello stesso
avviso anche C. Ghisalberti il quale, nel suo lavoro Unità
nazionale ed Unificazione giuridica in Italia Bari 1979 rileva
dapprima ( cit. , p. 132) che “la riconquista napoleonica
dell’intera penisola italiana, avvenuta progressivamente dopo la
battaglia di Marengo, creò le premesse politiche per la ricezione
in Italia dell’intero sistema giuridico francese”, per sottolineare
poi (cit. , p. 136) che “l’ideologia politica e giuridica
risorgimentale nelle sue diverse manifestazioni, dalla
Restaurazione all’Unità, con l’attaccamento alla soluzione
codicistica realizzata nell’età imperiale, mostrò di considerare
sempre il Code Napoléon e gli altri che lo affiancavano lo
strumento indispensabile per l’evoluzione e l’ulteriore progresso
della società italiana”. Conclude quindi ponendo in rilievo il
dato per cui “lo svolgimento del Risorgimento ha assunto sul
piano giuridico il carattere di lotta per la reintegrazione e per
l’applicazione dei principi e delle norme disciplinate nei testi
imperiali dalla introduzione dei quali veniva fatto iniziare
generalmente il cammino dell’Italia verso un più civile modello
di vita”. Lo stesso storico del diritto inoltre, già nel 1972, Stato
e Costituzione nel Risorgimento Milano cit. , p. 37 e ss.,
invocava una “storia quantitativa” onde “documentare in modo
definitivo l’assunto, formulato dalla storia etico – politica e
dalla cultura, in base al quale la ricezione del sistema normativo
francese a base codificata non si deve considerare soltanto un
fatto di èlites intellettuali o di classi dirigenti, ma un fatto
socialmente sentito e vissuto, perché verificabile nella prassi”.
19
F. P. Contuzzi Trattato di diritto costituzionale Torino 1895
cit. , p. 295. In particolare : 1)Costituzione della Repubblica
8
Ovviamente, non va esagerato il legame tra la Carta
albertina e “lo svariato movimento statutario seguito in
Italia sul declinare del secolo XVIII ed al sorgere del
XIX”
20
.
Tuttavia, non può negarsi alla radice il fatto che ogni
“Costituzione ha un suo intimo legame con i precedenti
ordinamenti, più difficile a riconoscersi ed a ritrovarsi
cispadana, proclamata a Modena il 27 marzo 1797, in 378
articoli, imitata dalla Costituzione Francese dell’anno III; 2)
Costituzione della Repubblica cisalpina, data da Bonaparte e
proclamata a Milano il 9 luglio 1797 (21 messidoro anno V); 3)
Costituzione del popolo ligure, in 396 articoli, sanzionata il 2
dicembre 1797 nei comizi popolari; 4) Costituzione della
Repubblica cisalpina, riveduta da Bonaparte nel 1798; 5)
Costituzione della Repubblica romana, giurata a Roma il 20
marzo 1798; 6) Costituzione della Repubblica partenopea, del
1799; 7) Costituzione della Repubblica italiana, del 26 gennaio
1802 (10 piovoso, anno X), con Bonaparte presidente; 8)
Costituzione della Repubblica ligure del 1802; 9) Statuto
costituzionale del 17 marzo 1805, con cui si nominava Napoleone
I Re d’Italia; 10) Statuto costituzionale del 27 marzo 1805 sulla
Reggenza e sui grandi ufficiali del Regno; 11) Statuto
costituzionale del 5 giugno 1805, con cui rivedevasi la
Costituzione italiana; 12) Statuto costituzionale del 20 dicembre
1807, che modificava di nuovo la Costituzione italiana; 13)
Statuto costituzionale del Regno di Napoli e di Sicilia, del 1808,
dato da Napoleone; 14) Costituzione della Sicilia, del 1812, data
dai Borboni sotto l’influenza inglese; 15) Costituzione del regno
Lombardo - Veneto, del 24 aprile 1815; 16) Costituzione degli
Stati pontifici da Pio VII il 5 luglio 1816, un 248 articoli; 17)
Costituzione del Regno di Napoli, del 7 luglio 1820; 18)
Costituzione del Regno delle Due - Sicilie, del 10 febbraio 1848,
largita da Ferdinando II; 19) Statuto della Toscana, pubblicato il
15 febbraio 1848; 20) Statuto fondamentale del Regno di
Sardegna, del 4 marzo 1848; 21) Statuto fondamentale del
Governo temporale, sanzionato dal Papa Pio IX il 14 marzo 1848;
22) Statuto fondamentale del Regno di Sicilia, del 10 luglio
1848; 23) Costituzione della Repubblica romana del 9 febbraio
1849.
20
E’ questa la posizione di G. Arangio Ruiz Storia op. cit. , cit. ,
p.1, secondo il quale tale movimento statutario “si palesava
incomposto e disgregato, le condizioni sociali risultavano
immature; più per istinto che per sentimento, meglio per
imitazione che per riflessione, si promulgavano carte
costituzionali con facilità pari a quella con cui potevano essere
abbattute dai governi della libertà paurosi, i quali dovunque
venivano restaurati per opera della diplomazia, che considerava
pur la questione italiana come di equilibrio europeo ”.
9
in quanto ogni ordinamento, a differenza della società,
si pone con assoluta novità rispetto a quelli che lo
hanno preceduto”
21
.
Concorda su tale posizione anche G. Saredo che
afferma: “così, sebbene lo Statuto ci apparisca come il
prodotto di un solo fatto, di un dato tempo, di un dato
principe, quando però lo si esamina e decompone,
agevolmente si scorge che esso è il risultato di una
lunga elaborazione, e che porta l’impronta delle
condizioni in mezzo alle quali venne promulgato”
22
.
Quindi, con L. Ciaurro, diremo che “una connessione
vitale intercorrerebbe tra i vari testi fondamentali:
pertanto non sembri azzardato affermare che nei nostri
territori, nella sostanza, non si sia mai spenta la
tensione per nuovi ordinamenti costituzionali, per cui se
in generale gli Statuti del 1848 hanno dietro di loro una
precisa tradizione di lotte e di esperienze costituzionali,
molto spesso episodiche, provinciali, non coordinate,
ma comunque espressioni di una precisa volontà
riformatrice, in particolare lo Statuto albertino ha
avuto il destino di concludere il lungo processo della
prima esperienza costituzionale italiana”
23
.
Parimenti, anche D. Zanichelli
24
rievoca il fondamento
storico del sistema rappresentativo italiano, “le cui
origini andavano ricercate ben oltre quel dies a quo
21
A. Aquarone, M. D’Addio, G. Negri Le Costituzioni italiane
Milano 1958 cit. , pp. V e ss..
22
G. Saredo Introduzione al Codice Costituzionale del Regno
d’Italia Torino 1883 cit. , pp. LXXVIII e ss..
23
L. Ciaurro Lo Statuto albertino illustrato op. cit. , cit. , p. 17.
24
D. Zanichelli Sullo svolgimento del sistema rappresentativo in
Italia, prelezione al corso di diritto costituzionale nella R.
Università di Siena: 30 novembre 1893 in Studi di Storia
costituzionale e politica Bologna 1900, p. 5 e ss..
10
rappresentato dalla concessione dello Statuto, e che
tagliava fuori dalla storia delle istituzioni politiche
nazionali, fatta iniziare arbitrariamente nel 1848, le
costituzioni <<giacobine>>, gli statuti dei regni
napoleonici, la costituzione siciliana del 1812, quella
napoletana e piemontese del 1820 – 21 e gli altri
tentativi variamente testimonianti la vocazione del
liberalismo nazionale al costituzionalismo”
25
.
E questa concezione, di un Ottocento tutto caratterizzato
da una spinta costituente ovvero da una spinta alle
Costituzioni o agli Statuti, a seconda della scelta
terminologica che si preferisca adottare, è ulteriormente
confermata dalle parole di un eminente pubblicista già
incontrato nella nostra trattazione. Sostiene infatti
ancora F. P. Contuzzi che “la società contemporanea
passerà nella storia come quella che ha attraversato un
periodo ricchissimo di costituzioni. Fin dal 1853 il
Lieber ha calcolato potersene contare alcune centinaia
per la prima metà di questo secolo. Ma molte altre sono
sorte posteriormente in Europa per le vicende politiche
subite dai vari paesi, come pure nelle Americhe e nelle
colonie self – governing inglesi”
26
.
25
C. Ghisalberti Per una storia costituzionale dell’Italia liberale
in Stato e Costituzione nel Risorgimento Milano 1972 cit. , p. 50.
Non da ultimo , sempre con questo autore, riteniamo eloquente il
dato per cui, nonostante la “prevalenza di interessi formalistici e
dogmatici, connessi all’influenza di una certa dottrina tedesca
sulla cultura giuridica italiana” (p. 51), delle diverse esperienze
costituzionali susseguitesi alla crisi dell’Antico regime, si
interessino costituzionalisti del rango di L. Palma e S. Romano.
Del primo ricordiamo Il diritto costituzionale negli ultimi cento
anni Roma 1882; del secondo Le prime carte costituzionali in
Annuario della R. Università di Modena Modena 1906 – 1907.
26
F. P. Contuzzi Lo Statuto italiano e le sue attinenze con le
Costituzioni straniere vigenti in Il Filangieri 1888 fasc. I cit. ,
p. 139.
11
Pertanto, condividiamo l’analisi di L. Ciaurro, secondo
il quale il senso della fase elaborativa dello Statuto
albertino “vada collocata all’interno di un più vasto
processo costituente, riferibile non solo alla Penisola
italiana, ma anche alle esperienze costituzionali degli
altri paesi, in particolar modo europei”
27
.
In modo del tutto similare si esprime anche C.
Ghisalberti; in particolare egli ritiene che il 1848 con le
sue rivoluzioni realizzi “il definitivo trionfo di quella
esigenza statutaria che aveva costituito uno dei motivi
dominanti del pensiero politico liberale della prima
metà dell’Ottocento”
28
.
Più diffusamente sempre questo autore realizza la più
attenta disamina del processo legislativo che qui ricorre
interpretandolo come un continuum storico che,
partendo dalla “scena del diritto privato”, attraverso le
codificazioni, giunge infine a coinvolgere il diritto
pubblico. In particolare “se in questo campo [quello del
diritto privato] la tendenza alla redazione per iscritto
della norma aveva il significato di limitare o di
demolire il privilegio sentito ormai come assurdo ed
iniquo, dei ceti, gruppi ed individui prosperanti in
quella sorta di particolarismo giuridico che dominava
l’antico regime, nel settore pubblicistico, o se
27
L. Ciaurro Lo Statuto albertino illustrato op. cit. , cit. , p. 18.
Riteniamo inoltre utile indicare due pregevoli lavori concernenti
il legame profondo che lega, in tutta Europa, le idee circolanti:
F. Venturi La circolazione delle idee tra l’Europa e l’Italia nel
Risorgimento – Rapporto al XXXII Congresso di storia del
Risorgimento (Firenze, 9 – 12 settembre 1953) in Rassegna
storica del Risorgimento 1954 p. 212 e ss. ; A. Graf
L’anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII
Torino 1911.
28
C. Ghisalberti Storia op. cit. , cit. , p. 19.
12
preferiamo, sul terreno più dichiaratamente politico, la
legge scritta, concessa dal potere o a quello strappata,
aveva il valore di determinare la sua autolimitazione o
la sua limitazione e, quindi, di ridurne fortemente il
peso nella vita politica nazionale. Essa, infatti,
assumeva la finalità di vincolare nell’esercizio del
potere politico la stessa monarchia in misura ben più
forte di quanto non l’avessero vincolata le generiche
affermazioni giusnaturalistiche dei filosofi o le vaghe e
non mai definite lois fondamentales dei giuristi”.
Pertanto, “determinare per iscritto in una carta il nuovo
diritto pubblico significava definire il potere statale sul
piano politico, vincolandolo ad un patto con l’intera
collettività nazionale, per quanto riguardava
soprattutto i limiti e le modalità di esercizio del potere
stesso. Definire, poi, i diritti pubblici subiettivi in un
testo che determinasse correlativamente gli obblighi e
le restrizioni che il patto sociale comportava, implicava
l’adesione a quelle impostazioni contrattualistiche che,
fondando la sovranità sull’accordo dei consociati,
ritenevano la costituzione come la forma ed al tempo
stesso la garanzia di tale accordo. Precisare, quindi,
dettagliatamente l’organizzazione dello Stato ed i
rapporti tra i governati, voleva dire introdurre un
complesso di istituzioni politiche di tipo liberale, ben
diverso dalle varie strutture autocratiche dell’antico
regime. In questo senso la costituzione assumeva un
contenuto preciso ed un colore individuabile e veniva ad
identificare non solo la forma, ma l’essenza stessa di un
13
regime politico”
29
. L’opera più significativa di C.
Ghisalberti a proposito delle radici profonde del
costituzionalismo di questo periodo resta comunque
Dall’antico regime al 1848
30
, laddove l’autore mette in
luce le radici profonde del fallimento dei tentativi,
compiuti con la Restaurazione, di ripristinare lo status
quo ante. Nel medesimo saggio individua una linea di
continuità tra le varie rivoluzioni che punteggiarono
l’Europa fino al definitivo scoppio del 1848
31
.
Insomma, una spinta costituente che, spia dei mutamenti
sociali della società, veniva di lontano (dalla seconda
metà del Settecento) e destinata ad andar lontano, come
dovranno realizzare i vari sovrani europei che si
troveranno a dover fronteggiare il biennio 1848 – 1849.
29
C. Ghisalberti Per una storia costituzionale in Stato e
Risorgimento op. cit. , cit. , pp. 47 – 48.
30
C. Ghisalberti Dall’Antico Regime al 1848 Roma – Bari 1974
rist. Milano 2001.
31
C. Ghisalberti Dall’Antico Regime op. cit.. In particolare, sulla
continuità del movimento costituzionale italiano, questi
interpreta la “rivoluzione del 1820 – ‘21” come il segno della
“ripresa del movimento costituzionale in Italia. Questo, infatti,
aveva testimoniato sempre la sua vitalità e la sua decisione di
non lasciarsi sopraffare dalla Restaurazione” cit. , p. 128.
Meriterebbe inoltre maggiore approfondimento, onde meglio
comprendere la tradizione costituzionale autoctona, la questione
relativa all’istituzione, nella primavera del 1796, della
municipalità provvisoria d’Alba, avvenuta ad opera dei giacobini
piemontesi e con l’appoggio ufficiale dei francesi, da alcuni
ritenuta (S. Pivano Albori costituzionali d’Italia Torino 1913 cit.
, p. 87 e ss. ) “il primo esperimento costituzionale italiano”,
definizione rispetto alla quale il solo C. Ghisalberti si pone
dialetticamente a confronto.
14
Il fattore nazionale
Accanto alla spinta alle Costituzioni, evidenziata nel
precedente paragrafo, crediamo sia necessario porre
attenzione ad un altro fenomeno – seppur non di
carattere prettamente giuridico – soltanto in relazione al
quale il primo poté sfociare in quella “serie di moti,
rivolte, insurrezioni, che scossero l’intera Europa e in
cui si intrecciarono motivi politici, sociali e
nazionali”
32
.
Tale fattore è l’idea, in forte ascesa nel momento storico
cui abbiamo riguardo, di nazione. Nell’ambito della
copiosissima è la produzione concernente il tema (di cui
si occupano filosofi, politici, antropologi, sociologi,
etc.), ci pare di specifico interesse il contributo di E.
Renan, eminente figura del positivismo francese. Questi,
in una conferenza tenuta nel 1882 ed intitolata Che
cos’è una nazione? spiega che “una nazione è un’anima,
un principio spirituale; una è nel passato, l’altra nel
presente. Una è il comune possesso di una ricca eredità
di ricordi; l’altra è il consenso attuale, il desiderio di
vivere insieme, la volontà di continuare a far valere
l’eredità ricevuta indivisa. L’uomo, signori, non
s’improvvisa. La nazione, come l’individuo, è il punto di
arrivo di un lungo passato di sforzi, di sacrifici, di
dedizione. Il culto degli antenati è fra tutti il più
legittimo; gli antenati ci hanno fatto ciò che siamo. Un
32
La definizione, di R. Balzani, in AA. VV. Dizionario di storia
Milano 1993 alla voce Rivoluzioni del 1848/49 cit. , p. 1089 ss. ,
coglie forse meglio di altre, eccessivamente focalizzate su
determinati aspetti piuttosto che su di altri, proprio in virtù della
sua ampiezza il “clima di tempesta del 1848”, per utilizzare
l’efficace espressione di M. S. Giannini. R. Balzani Rivoluzioni
15
passato eroico, grandi uomini, gloria (mi riferisco a
quella vera), ecco il capitale sociale su cui poggia
un’idea nazionale. Avere glorie comuni nel passato, una
volontà comune nel presente; aver compiuto grandi cose
insieme, volerne fare altre ancora, ecco le condizioni
essenziali per essere un popolo. Si ama in proporzione
ai sacrifici fatti, ai mali sofferti insieme. Si ama la casa
che si è costruita e si lascia in eredità. Il canto
spartano <<noi siamo quel che voi foste; saremo quel
che voi siete>>, nella sua semplicità, è l’inno
abbreviato di ogni patria. Nel passato, un’eredità di
gloria e di rimpianti da condividere, per l’avvenire uno
stesso programma da realizzare; aver sofferto, gioito,
sperato insieme, ecco ciò che vale più delle dogane in
comune e più delle frontiere conformi ai principi
strategici; ecco ciò che si comprende malgrado le
diversità di razza e di lingua. Dicevo poco fa <<aver
sofferto insieme>>; sì, la sofferenza comune unisce più
della gioia”. Ed ecco, probabilmente, la parte più
rilevante per il giurista, e che fortemente induce alla
riflessione: “La nazione è dunque una grande
solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici
compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere
insieme. Presuppone un passato, ma si riassume nel
presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il
desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere
insieme”. Quindi, la celeberrima tesi: “L’esistenza di
una nazione è (mi si perdoni la metafora) un plebiscito
di tutti i giorni, come l’esistenza di un individuo è
op. cit. , cit. , p. 1090 parla del biennio 1848/49 come del
“momento di snodo della vita europea”.