Roma durante gli anni della guerra fascista
Roma, per la sua condizione di capitale dello Stato italiano, per la funzione cui fu destinata dal Fascismo, per essere posta a metà distanza tra le provincie del Nord e quelle del Sud, assolse sempre a compiti di grande importanza.
Fin dal suo sorgere infatti, il Fascismo sfruttò la concezione storica di Roma imperiale e l’adattò alla sua politica e alla sua ideologia.
Tale adattamento permise di accentuare l’orientamento generale della politica “imperiale” del Regime, basata sul mito di Roma “faro di luce per tutte le genti”.
Così, la particolare struttura degli Enti Locali, cui fu dotata la capitale (per Roma si parlava di un Governatorato, che praticamente poneva la città sotto il diretto controllo del governo), la presenza in essa degli organismi direttivi dello Stato, la costante cura ed attenzione, dedicata da questo, all’abbellimento e all’ammodernamento urbanistico della città, la partecipazione obbligatoria alle “adunate”, alle visite collettive, alle mostre celebrative del Regime, avrebbero dovuto, nei desideri dei quadri del potere, facilitare la nascita della “monumentale Roma del xx secolo”.
Giunge però il 1 settembre 1939 e presto il 10 giugno 1940. Si verifica così la conclusione di un periodo e l’inizio di una nuova fase.
La guerra, la guerra fascista impone infatti, anche a Roma e ai suoi abitanti, la necessità di un confronto con condizioni di vita quotidiana fortemente alterate: non più ordine, tranquillità, benessere, ma disordine, caos e malessere generalizzato.
Incomincia uno dei periodi più bui della storia di Roma.
Un po’ alla volta tutto viene razionato: il pane, lo zucchero, il latte, la carne, la pasta, i tessuti e quasi tutti gli altri generi di prima necessità.
Gradualmente razionate sono anche l’erogazione dell’acqua nelle abitazioni private e negli uffici, della benzina, dell’energia elettrica e del gas.
“Questi sacrifici – dice la propaganda governativa – sono il contributo della popolazione civile alla vittoria militare, che non potrà mancare e non tarderà”.
In realtà, nonostante gli sforzi della propaganda di Regime, dell’enorme apparato della “fabbrica del consenso” fascista, lo “spirito pubblico” romano rimane depresso.
La vita scandita dai “bollettini di guerra”, raramente forieri di buone notizie, dagli aumenti continui dei prezzi dei cibi, dalle contrattazioni, difficili ma necessarie, con i “corsari della fame”, uomini e donne signori assoluti del mercato della borsa nera; i doveri molti e i divieti moltissimi, imposti dalla guerra; la ricerca del divertimento forte ed intensa, contrastata però dagli obblighi alla serietà, alla morigeratezza e compostezza; l’oscuramento, gli allarmi aerei; il desiderio di gridare il proprio disaccordo, la propria stanchezza per una guerra non voluta nè desiderata, rendono evidente l’assurdità di nutrire certe illusioni: la guerra sarà lunga, le prove da sopportare immense e, molto dubbio il suo esito.
In questo clima, è naturale lo svilupparsi di stati d’animo contrari alla continuazione del conflitto e alla permanenza in vita di un Governo colpevole solo di lutti, privazioni e sofferenze.
Saranno soprattutto le donne, fronteggiando esse quotidianamente le difficoltà della vita famigliare e domestica di guerra, e i giovani studenti romani, formatisi nei Licei e nell’Università di Roma, a farsi portatori di un dissenso prima silenzioso, poi sempre più rumoroso e visibile, contro il Regime e la sua guerra.
Tutti gli scontenti romani “dell’oggi e del domani” troveranno poi nella Chiesa, in Papa Pio XII, un’autorità capace di svolgere una funzione di sostegno, ordine, stabilizzazione, pacificazione e moderazione degli animi.
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Informazioni tesi
Autore: | Daniela Palasciano |
Tipo: | Diploma di Laurea |
Anno: | 1999-00 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Politiche |
Relatore: | Francesco Malgeri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 459 |
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