Il formatore nelle organizzazioni produttive: per una formazione pratica
Tra l’inizio e la fine di questo lavoro sono passati quindici anni. Nella prima metà degli anni ’90, cominciai a ricercare i tratti definienti della professionalità formativa attraverso una raccolta della letteratura disponibile, e non mancò allora una certa sorpresa nel constatare la varietà e differenza delle definizioni offerte da diversi autori che avevano pubblicato su questo argomento.
Ritenni percio’ necessario integrare l’indagine dei testi esaminati con una serie di interviste dirette a professionisti del settore, operatori della formazione già attivi in aziende private e pubbliche. Da qui inizio’ a trasparire la presenza di un ‘quid’, un proto-elemento che accomunava tutti gli operatori intervistati, a prescindere dal loro campo di azione. Ma dopo essere stato costretto ad interrompere il lavoro di ricerca nella meta degli anni ’90, e averlo ripreso solo nel nuovo secolo, vivendo e lavorando da professionista in Inghilterra, si è fatto lentamente strada il sospetto che ci fosse allora una insufficiente capacità di cogliere il ‘nocciolo’ del discorso, la natura di quel famoso quid. Ciò che mi era mancato era semplicemente l’esperienza professionale di per sé, quell’elemento di pratica vissuta che mi facesse riconoscere nelle parole dei testimoni l’analoga esperienza personale (la pratica in quanto pratica) e la facesse diventare un oggetto di studio. Quel proto-elemento mi si e’ allora rivelato come la capacità pratico-eclettica di adattare l’evento-formazione alle esigenze contingenti e di improvvisare soluzioni educative in tempo reale. Per definire il più compiutamente possibile l’identità del formatore, ho pertanto azzardato una ‘quadratura del cerchio’, che ha voluto fondere e rendere reciprocamente dipendenti gli elementi general-teorici degli autori sulla formazione con l’elemento singolar-pratico di conoscenza esperienziale, della formazione agita, che ci è venuto dai sei testimoni intervistati. Il risultato è un ologramma, una rappresentazione di una professionalità che acquista senso compiuto quando la si esamina in situazione, durante l’attività pratico-didattica. L’ologramma è diventato subito un’occasione per proseguire la ricerca indagando un oggetto ancora più interessante ed attuale, relativamente nuovo ed inesplorato: l’epistemologia della pratica e la sua relazione con l’universo della formazione extrascolastica.
Fin dal tempo di Renee Descartes e del suo famoso programma, il sapere pratico ha accompagnato l’altro tipo di sapere, comunemente chiamato scientifico, da una posizione subordinata. Il sapere pratico ed esperienziale è sempre stato un sapere di sintesi, olistico, sciolto, relativo, utilitaristico, meno preoccupato della rigorosità interna del discorso e più del risultato finale per cui è utilizzato.
Di cio’ che succede nell’atto pratico, specie quello del professionista, si è occupato Donald Schön. Dopo aver segnalato i limiti della razionalita’ tecnico-scientifica nell’esercizio delle professioni, l’urbanista ed accademico statunitense analizza le azioni e i comportamenti di professionisti e del loro modo apprendere durante e dopo l’esperienza, e individua la chiave di questo apprendimento nella riflessione-in-azione, un ciclo di reiterazioni di pensiero significativo che fa la spola tra il repertorio di situazioni professionali passate e la situazione-problema contingente, mediate da una sensibilità e capacità piu’ artistica che razional-tecnica. Per migliorare la prestazione professionale occorre educare alla pratica, quindi. Ma per definizione la pratica non si può apprendere che da sé stessi, attraverso l’azione e la concomitante riflessione. La pratica non si insegna, si ‘fa’. Per sviluppare la professionalità docente, allora, c’è bisogno di un sensibile bilancio tra competenze scientifico-settoriali e abilità pratico-didattiche. Percio’ occorre portare in primo piano la nozione di alternanza tra la pratica professionale in situazione e un luogo, fisico e mentale, dove il proprio operato possa essere rievocato ed analizzato in chiave riflessiva. Questo luogo è chiamato Reflective Practicum, o laboratorio. Nel practicum, tutors indipendenti assistono i formatori-formandi ad operare e costruire quella parte della loro professionalità delegata all’incremento e rinnovamento continuo del proprio bagaglio professionale. Le conclusioni di questo lavoro ribadiscono la cruciale importanza dell’interdipendenza tra teoria e pratica in educazione, la conseguente importanza dell’alternanza tra campo e laboratorio per gli operatori della formazione, e la fondamentale questione, che rimane aperta, del fattore morale nella condotta professionale: un tema urgente che non può più nascondersi dietro il comodo paravento della neutralità e presunta obiettività del cosiddetto sapere puro.
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Informazioni tesi
Autore: | Roberto Martinelli |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Parma |
Facoltà: | Pedagogia |
Corso: | Pedagogia |
Relatore: | Elio Damiano |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 203 |
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