4
nella prima metà degli anni ’90, a ricercare i tratti definienti della professionalità
formativa attraverso una raccolta della letteratura disponibile. Chi è il formatore, ci
si era chiesti? Quali sono i tratti fondamentali della sua professionalità? É possibile
arrivare ad una solida ed istituzionalizzata formazione dei formatori extrascolastici
che sia al tempo stesso flessibile ed efficace? Pur non aspettandosi una netta ed
univoca definizione, non mancò allora una certa sorpresa nel constatare la varietà
e differenza delle definizioni offerte da diversi autori che avevano pubblicato su
questo argomento. Chi definiva la formazione accentuando un aspetto, chi un
altro, ognuno fornendo la propria tassonomia di elementi definienti e facendo
confluire nel termine il linguaggio e l’approccio epistemologico della propria
disciplina di riferimento, fosse pure un approccio sistemico . Dati questi risultati
iniziali, venne quindi ritenuto necessario integrare l’indagine dei testi esaminati con
una serie di interviste dirette a professionisti del settore, operatori della
formazione già attivi in aziende private e pubbliche. La struttura, contenuto e
trascrizione delle sei interviste sono contenute nel capitolo 4, mentre l’analisi
comparativa e le considerazioni che ne seguono formano il capitolo 5. Questo
tentativo di arrivare ad una immagine più esatta e uniforme del formatore
attraverso il racconto di esperienze vissute si dimostrò in effetti capace di
approfondire l’indagine e di far intravedere la presenza di un ‘quid’, un proto-
elemento che accomunava tutti gli operatori intervistati, a prescindere dal loro
campo di azione. Sfortunatamente, il lavoro si interruppe nel 1995 per ragioni di
necessità personale e professionale senza che questo quid potesse essere
individuato. Sebbene le ragioni dell’interruzione fossero professionali e personali,
dopo aver ripreso questo lavoro a distanza di ben 13 anni, da un altro paese, e
aver avuto la fortuna di poter contare sullo stesso tutore, si è fatto lentamente
strada il sospetto che queste ragioni potessero aver coperto, in maniera subdola,
una insufficiente capacità di cogliere allora il ‘nocciolo’ del discorso, la natura di
quel famoso quid. Per chi scrive, sono occorsi questi anni vivendo e lavorando da
professionista in un paese anglosassone (di cui si è acquisita, sia pure in parte, la
mentalità collettiva), e la guida formalizzante di un tutore a cui deve tantissimo, per
realizzare che quello che allora ricercava non avrebbe comunque potuto trasparire
da una tassonomia o dalla semplice lettura del protocollo di una intervista, usando
gli strumenti intellettuali di cui era dotato all’epoca. Ciò che era mancato era
semplicemente l’esperienza professionale di per sé, cioè quell’elemento di pratica
5
vissuta che facesse riconoscere, nelle parole dei testimoni, l’analoga esperienza
personale (la pratica in quanto pratica) e la facesse diventare un oggetto di studio.
Si è quindi rivelata, a distanza di tanto tempo, la natura di quel quid accomunante i
testimoni che era rimasta cosi ben celata: questo elemento è stato individuato
nella capacità pratico-eclettica di adattare l’evento-formazione alle esigenze
contingenti e di improvvisare soluzioni educative in tempo reale. Per definire il più
compiutamente possibile l’identità del formatore, quindi, si è dovuta azzardare una
‘quadratura del cerchio’ che ha voluto fondere e rendere reciprocamente
dipendenti gli elementi general-teorici degli autori sulla formazione con l’elemento
singolar-pratico di conoscenza esperienziale, della formazione agita, che ci è
venuto dai testimoni. Il risultato è un ologramma (proposto nel paragrafo 5.3 e
segg.), una rappresentazione tridimensionale di una professionalità multiforme che
acquista senso compiuto quando la si esamina in situazione, durante l’attività
pratico-didattica. Quello che avrebbe potuto diventare la conclusione del lavoro
(l’ologramma), è diventata invece un’occasione per proseguire la ricerca
indagando un oggetto ancora più interessante ed attuale, relativamente nuovo ed
incerto: l’epistemologia della pratica e la sua relazione con l’universo della
formazione extrascolastica. Il capitolo 6 intraprende questo nuovo excursus con la
speranza di entrare in un dibattito alquanto attuale e dalle conseguenze
significanti sul mondo della educazione extrascolastica degli adulti.
Il sapere pratico, esperienziale diretto, generato nell’azione, esiste da sempre
nella vita degli uomini; ma da almeno trecento anni, perlomeno da quando Renee
Descartes formulò il suo famoso programma, ha dovuto accompagnare un altro
tipo di sapere, quello comunemente chiamato scientifico, da una posizione
subordinata, quasi da scudiero addetto alle mansioni più umili. Questo sapere
scientifico è stato il motore intellettuale della rivoluzione industriale, la base
epistemologica standardizzata e standardizzante funzionale alla scoperta di nuovi
mondi e alla trasformazione della vita dei popoli in senso moderno, massificato e
istituzionalmente differenziato. Questo sapere puro, basato sulla generalizzazione
dei dati empirici, che tende alla individuazione e formulazione rigorosa di leggi
universali, ha potuto imporsi per almeno tre secoli come la più importante via alla
conoscenza rilevante e legittimata. La realtà è che questo tipo di sapere generale,
astratto, rappresentativo, usato per descrivere il piu’ minuziosamente possibile i
fenomeni e per successivamente delegare ai tecnici lo studio delle sue
6
‘applicazioni’, ha potuto raggiungere una posizione dominante in quanto era
confacente e funzionale alla fase di espansione della scienza e della tecnologia
nella corsa alla conquista di nuovi mondi e nuove culture, dal rinascimento in poi.
Il sapere pratico ed esperienziale, invece, è sempre stato un sapere di sintesi,
olistico, locale, sciolto, relativo e temporale, utilitaristico, meno preoccupato della
rigorosità interna del discorso e più dell’efficacia del risultato finale per cui è
utilizzato. É questo tipo di sapere che è per noi di particolare interesse, perché è
quello che più informa l’atto didattico, sia nella formazione extrascolastica che in
quella scolastico-burocratizzata. Entrambe devono alimentarsi e sviluppare
simultaneamente sia il sapere tecnico-scientifico che il sapere pratico, uniti in una
Nuova Alleanza (
1
) nell’interesse dell’educazione.
Esiste in natura un evento dove questi due saperi, queste due facce della stessa
medaglia, sono già fuse, e questo evento è l’azione professionistica di praticanti,
inclusi insegnanti o formatori impegnati in una azione didattica nell’ambito di un
rapporto pedagogico. Di questi temi si è occupato a lungo Donald Schön (1930-
1999) nelle sue opere sulla epistemologia pratica e sulla formazione alla pratica. Il
lavoro di Schön punta dapprima ad evidenziare i limiti della razionalità tecnica in
un mondo dove questa è inevitabilmente interconnessa con fattori sociali, politici
ed ambientali. L’urbanista e docente universitario statunitense è convincente nel
sostenere che la perdita di prestigio e l’apparente crisi di alcune professioni deriva
dalla sopravvenuta debolezza dell’epistemologia tecnico-scientifica di riferimento,
la cui metodologia non è più del tutto confacente alla complessità dei problemi
odierni. Schön si propone come un advocate del recupero e dello studio della
epistemologia pratica sin dagli anni ‘70, analizzando le azioni e i comportamenti di
professionisti e del loro modo apprendere durante e dopo l’esperienza. La chiave
di questo apprendimento è la riflessione-in-azione, un ciclo di reiterazioni di
pensiero significativo e confrontativo che fa la spola tra il repertorio di situazioni
professionali passate e la situazione-problema contingente, mediate da una
sensibilità e da una capacità piu’ artistica che razional-tecnica. Nell’azione
concreta, fattori di conoscenza e di valutazione, di analisi e sintesi si fondono e
danno luogo ad un comportamento che ogni volta è nuovo e diverso dal
1
) E.Damiano, La nuova Alleanza - Temi problemi prospettive della Nuova Ricerca Didattica -Editrice
La Scuola, Brescia 2006
7
precedente. É in questo tipo di analisi che la necessità e sufficienza del sapere
scientifico per campi come l’educazione viene ‘smascherata’: si evoca al contrario
la necessità e la reciproca dipendenza tra il sapere scientifico e quello pratico
secondo forme di integrazione alternative rispetto alle precedenti. La riflessione-in-
azione propone di abbracciare l’incertezza e la personalizzazione
dell’apprendimento come un elemento positivo, anche se questo comporta una
destabilizzazione della consolidata e corrente visione di preparazione
professionale, ancora legata al modello piramidale con la teoria, il sapere puro in
testa, e quello ‘applicato’ in posizione subordinata e consecutiva. Ciò vale anche
per il professionista della formazione, sia extrascolastica che scolastica: nella
capacità pratica di improvvisare e reperire la modalità più appropriata per stabilire
un fecondo rapporto pedagogico con i soggetti in apprendimento, siano essi
corsisti o scolari, si ravvisa e riconosce la riflessione-in-azione descritta da Schön
e la confluenza di sapere scientifico con sapere pratico agito in tempo reale.
Educare alla pratica, quindi, per migliorare la prestazione professionale: nel nostro
campo di interesse, per formare i formatori. Ma per definizione la pratica non si
può apprendere che da sé stessi, attraverso l’azione e la concomitante riflessione.
La pratica non si insegna, si ‘fa’: è solo attraverso il fare che si impara a dialogare
con la situazione, apprendere da essa e a fare meglio la volta successiva. Il
capitolo 7 si occupa allora di un percorso formativo per i formatori basato
sull’approccio epistemologico di Schön. Se si accetta che – come peraltro già
evidenziato dai nostri testimoni- la teoria da sola, l’Università da sola non basta
per formare un formatore, se da una parte la nozione di ‘insegnare la pratica’ può
sembrare una contraddizione in termini ed un paradosso, dall’altra viene avanzata
, mutuandola da Schön, una soluzione criteriale per tentare di fare proprio questo.
Se per sviluppare la professionalità docente c’è bisogno di un sensibile bilancio tra
competenze scientifico-settoriali e abilità pratico-didattiche, occorre portare in
primo piano la nozione di alternanza tra la pratica professionale in situazione e un
luogo, fisico e mentale, dove il proprio operato possa essere rievocato ed
analizzato in chiave riflessiva. Dove il docente stesso possa riflettere sulla sua
pratica e riformulare schemi di apprendimento e stili di comportamento. Questo
luogo è chiamato Reflective Practicum, o laboratorio. Nel Practicum i formatori-
formandi usufruiscono di strumenti tecnici come la videoscopia e la riflessione
individuale e di gruppo sul proprio operato, con lo scopo di migliorarne la qualità.
8
Nel practicum, tutors indipendenti assistono i formatori-formandi ad operare e
costruire quella parte della loro professionalità delegata al processo di incremento
e rinnovamento continuo del proprio bagaglio professionale. Per affrontare la
realtà in rapida evoluzione senza timori di essere obsoleti e anzi vedendola come
una fonte pressoché inesauribile di conoscenza e come tale una risorsa preziosa
per sé e per le generazioni future. Le conclusioni del capitolo 8 ribadiscono la
cruciale importanza dell’interdipendenza tra teoria e pratica in educazione, la
conseguente importanza dell’alternanza tra campo e laboratorio per gli operatori
della formazione, e la fondamentale questione, che rimane aperta, del fattore
morale nella condotta professionale: un tema urgente che non può più
nascondersi dietro il comodo paravento della neutralità e presunta obiettività del
cosiddetto sapere puro.
9
IL FORMATORE NELLE ORGANIZZAZIONI PRODUTTIVE:
PER UNA FORMAZIONE “PRATICA “
11
1. La Formazione come problema emergente
1.1. Evoluzione delle strutture sociali e produttive
É opinione comune che il periodo storico che Ie società occidentali stanno
attraversando sia caratterizzato da un alto grado di trasformazione e rapida
evoluzione. La spinta alla differenziazione dei prodotti e dei consumi e Ia rapida
internazionalizzazione dei mercati rendono sempre più diversificati ed
imprevedibili i processi di produzione, per affrontare i quali si rendono necessarie
ed urgenti una serie di competenze non ancora del tutto accolte nella tradizionale
organizzazione del lavoro. Queste sono riassumibili nella capacità di operare
nell’incertezza, nella capacità di verifica e attendibilità delle informazioni che si
raccolgono e nella gestione in tempo reale delle decisioni. Le decisioni, a loro
volta, sono sempre più basate sulla maggiore o minore capacità previsionale o di
reazione immediata ad uno stimolo, non essendo più sufficiente proiettare in modo
deduttivo nel nuovo compito le competenze e le esperienze accumulate in
passato. In funzione dell'imprevedibilità e della interconnessione di più variabili
aumentano i rischi di errore nell’impostazione di una strategia o di un
investimento.
Il fattore di velocizzazione tecnologica ha inoltre accelerato il processo di
divaricazione tra le funzioni povere del lavoro, quelle destinate a subire Ia velocità
e l’efficienza delle macchine, e quelle intelligenti, destinate al ‘dominio’, cioè al
governo e al controllo delle macchine. Nei processi produttivi aumenta Ia
componente intelligente informativa, organizzativa di ogni lavoro da svolgere,
connessa a strumentazioni sempre più adattive e sofisticate, ad alto contenuto
informatico.
Laddove Ia mansione svolta sia ripetitiva e priva di contenuto concettuale, il
problema di un’adeguata preparazione all’assunzione del compito non si pone;
questa diventa invece fattore determinante e discriminante laddove i compiti
professionali sono di controllo, di governo di processi industriali ad alto grado di
automazione, di alta responsabilità la cui soluzione va di volta in volta reinventata
e ridiscussa. In questi frangenti le abilità risolutive - e non più Ie semplici
conoscenze - devono essere continuamente alimentate e ‘formate’ da
informazioni, competenze e metodologie di uso delle medesime.
12
1.2. Il fattore-formazione
Per questo secondo campo di funzioni, cresce I’importanza strategica del fattore-
formazione. Per formazione intendiamo il compimento (a tutt’oggi non ancora
univocamente definito) di azioni di natura pedagogica tendenti direttamente o
indirettamente a sollecitare cambiamenti nei soggetti inseriti nelle organizzazioni
produttive, allo scopo di ottenere un miglioramento sia delle loro abilità che
dell’organizzazione nel suo complesso.
La crescita di importanza del fattore-formazione per le professioni ‘alte’ evidenzia
Ia differenza tra questo tipo di azione pedagogica e quella condotta nella scuola.
La concezione scolastica dell’educazione si basa sulla accumulazione preventiva
delle nozioni e del bagaglio professionale necessari e sufficienti a preparare ad
una professione o ad una mansione da svolgere successivamente, non di rado per
tutto il resto della vita lavorativa; ma il governo e Ia riuscita di un impresa
professionale vengono principalmente basati sulla rapidità e sulla flessibilità di
orientamento alla scelta più conveniente per Ia situazione contingente . Questo
stato di cose ‘spiazza’ la scuola tradizionalmente intesa nella sua accezione di
apprendimento programmato, ordinato, costante e soprattutto preventivo, basato
cioè sulla prefigurazione di un certo contesto. Questo contesto non è più
conoscibile a priori.
Inoltre, Ia scuola subisce una pesante concorrenza ad opera dei nuovi media, che
rispetto ad essa (Ia scuola è il luogo-emblema della gradualità, della
procrastinazione, del rimando ad un tempo successivo delle assunzioni di
responsabilità e delle soddisfazioni sociali) mettono a disposizione di tutti in forma
molto più appetibile e soddisfacente - ancorché virtuale - Ia quasi totalità dei
mondi vicini e lontani e il “consumo” di immagini di ogni tipo e natura . I nuovi
media danno accesso ad intere popolazioni, in particolare alle loro nuove
generazioni, ad una realtà’ stimolante, coinvolgente, simbolica.
1.3. Il ‘sistema’ formativo
La risposta dei sistemi formativi a questa situazione si manifesta con diverse linee
di tendenza.
In primo luogo, la formazione e il lavoro cessano di essere due momenti
nettamente distinti e diversamente collocati nel tempo.
Soprattutto nelle professioni ad alto contenuto concettuale, a causa del continuo
13
incremento tecnologico e dell’accelerazione delle procedure, i tempi della
preparazione e i tempi del compimento di un’azione professionale tendono
sempre più ad avvicinarsi fino a coincidere tra loro e a rendere più importante Ia
conoscenza specifica, non generalizzabile e trasmissibile a priori,
che si origina
direttamente nel luogo dove questa azione professionale viene originata. La
formazione non è più assunta una volta per tutte, preferibilmente in giovane età,
ma si sposta sul luogo del lavoro e si intreccia con esso anche più di una volta nel
corso di una vita . All'insegna della flessibilità e dell’adattabilità, Ia formazione può
essere considerata come un momento di riqualificazione professionale utile per
acquisire competenze necessarie, per esempio, al rientro nell’ambito lavorativo o
professionale o per assicurare capacità di governo su sofisticati processi in uso
con le tecnologie moderne.
Come effetto parallelo, per le stesse ragioni di imprevedibilità e di ricollocamento
dell’origine della conoscenza, la scuola perde il monopolio delle agenzie
educative, risultando sempre più dificile anticipare, programmare e graduare un
apprendimento prestabilito. La scuola perde il monopolio della preparazione al
lavoro e all’assunzione della cittadinanza nella società moderna e differenziata
perché la sua struttura ed organizzazione specifica, incentrata sul distacco del
tempo dell’apprendimento da quello della ‘messa a frutto‘ di ciò che si impara,
continua a ricalcare un progetto di società e di concezione della produzione in
larga parte divergenti dalla effettiva realtà contemporanea.
1.4. Evoluzione dei ruoli docenti
I ruoli docenti si modificano nel senso di acquisire una più ampia gamma di
competenze organizzative e di relazione. Il docente non è più considerato un
‘emettitore’ di sapere, un detentore del monopolio delle informazioni vere ed
istruttive, ma un favoritore di apprendimenti. “La sua funzione consiste più nel
formare Ia personalità degli allievi e nell'aprire l’accesso al mondo reale che non
nel trasmettere nozioni programmate; più nel fare da guida alle fonti che non
nell’essere lui stesso fonte di trasmissione di conoscenze” (
2
). Deve avere
competenze diagnostiche, valutative ‘in continuo’, tutoriali, partecipative. II suo
lavoro non è dunque più svolto in solitudine, ma collegialmente.
“Nelle imprese moderne il centro di attenzione si sposta sulle risorse umane e non
2
) G. Malizia, Cultura organizzativa nelle azioni di formazione professionale, CNOS, Roma 1993
14
tanto sulla loro funzionalità, quanto sugli obiettivi, le attese, il grado di
soddisfazione, Ie possibilità di prendere parte ad un’esperienza significativa di
lavoro.. ..L’azienda opera come un ‘sistema di apprendimento’…Di conseguenza ,
anche le funzioni del formatore si moltiplicano e si specializzano. Questi non è più
soltanto colui che trasmette le conoscenze e Ie competenze , ma si trasforma in
un organizzatore dell'ambiente dell’apprendimento, deve cioè predisporre Ie
condizioni propizie per imparare . I suoi compiti consistono anche nel consigliare,
facilitare , confrontare , intervenire , concepire e realizzare e non è pensabile che
possano essere svolte da una sola figura” (
3
).
1.5. I luoghi dell’interdipendenza
I campi di indagine che abbiamo scelto per esaminare I cambiamenti in atto nei
sistemi formativi, sono quelli dove i soggetti vivono e interagiscono per il
soddisfacimento dei propri bisogni e la loro “realizzazione”. I gruppi organizzati
formali o informali sono infatti i veri protagonisti dell'azione sociale nella società
differenziata postmoderna. Ci occuperemo quindi principalmente delle aziende
intese come organizzazioni in senso generale, per poi passare a considerare
specificamente la formazione e i formatori al loro interno.
3
) G.Malizia, op. Cit, p..49
15
2. Organizzazione e Formazione.
2.1. La differenziazione istituzionale
Le organizzazioni sociali possono essere definite sia come un processo che in
ogni tempo e luogo porta gli uomini ad aggregarsi ai fini di cooperazione
economica, difesa, attacco, divertimento, gratificazione e controllo dell’impulso
sessuale; sia come istituzioni, gruppi, collettività che di questo processo sono il
prodotto più o meno consapevole.
Il sorgere di una organizzazione è legato al processo di differenziazione
istituzionale. Secondo l’approccio evoluzionista - funzionalista, ogni insieme
sociale od organico tende ad evolvere da una situazione meno complessa ed
indifferenziata ad una più complessa e differenziata. All’interno di questo
aggregato, ed in relazione all'obiettivo contingente (che può essere la
sopravvivenza per gli organismi viventi o il profitto per un’azienda), l’esigenza di
ottimizzare i risultati e di eliminare gli sprechi portano ad una progressiva
parcellizzazione e specializzazione dei compiti assegnati ad ognuno dei
componenti l’insieme. Parallelamente alla crescita della specializzazione, della
competenza specifica su un settore limitato di mansioni o compiti funzionali allo
scopo dell’organizzazione, cresce la dipendenza del singolo nei confronti degli
altri componenti del gruppo, ai quali deve rivolgersi per soddisfare i bisogni di beni
o servizi che non è capace di produrre in proprio. Ciò che di questo processo ci
interessa trattare in questa sede è che essendo il processo di differenziazione
istituzionale tendenzialmente pervasivo al complesso delle attività umane e sovra-
ordinato alla singola persona, riguarda anche le attività inerenti al delicato compito
della formazione dei soggetti. Tra i nuovi bisogni che la società differenziata fa
emergere, troviamo quello di preparare intenzionalmente le nuove generazioni a
compiti futuri e parcellizzati, cioè di mettere all’opera una attività a carattere
educativo che si affianca a quella educazione ‘ex facto’ che si esperisce nel
quotidiano. Si vorranno in sostanza prendere in esame le forme, le modalità,
l’evoluzione della formazione e dei formatori in funzione dell’evoluzione delle
organizzazioni.
16
2.1.1. Origini della burocrazia
La paternità degli studi sull’organizzazione e dei suoi aspetti formali e dinamici
viene fatta risalire a Max Weber . Per primo, il sociologo tedesco individuò come
carattere fondamentale e distintivo degli stati e delle imprese moderne il
coordinamento burocratico delle attività.
L’origine di questo processo di burocratizzazione è da ricercare per Weber nella
crescente complessità dei problemi tecnici e amministrativi tipici del
funzionamento delle democrazie di massa in un contesto di sviluppo
dell’economia monetaria. La differenziazione istituzionale connessa all’affermarsi
degli stati moderni, e l’esigenza di garantire (almeno in linea di principio) a tutti
cittadini trattamenti uguali, imparziali e secondo norme prevedibili, richiede la
costruzione di un apparato amministrativo.
É infatti in quest’ottica che si rende necessaria Ia presenza di una classe di
funzionari a cui affidare lo svolgimento di compiti specializzati e continuativi.
L’esistenza di problemi tecnici da risolvere è il presupposto materiale che
sollecito’ già dall’antichità la creazione di apparati amministrativi dotati di alcune
caratteristiche burocratiche. Un esempio è offerto dall’antico Egitto, dove le piene
periodiche del fiume Nilo imposero, con lo sviluppo dello stato e della proprietà
privata, un lavoro continuo di misurazione dei terreni e di regolazione dei corsi
d’acqua. Per questi compiti specializzati venne creato un corpo specializzato di
funzionari di stato. (
4
)
2.1.2. La razionalità burocratica
Riguardo alla modalità di funzionamento di tali apparati, Weber osserva che i
principi regolatori ed ordinanti delle burocrazie sono quelli della razionalità
orientata verso uno scopo precedentemente fissato e della gerarchizzazione.
Nella sua analisi dell’azione sociale, Weber elenca quattro ideal-tipi di
comportamento del soggetto, indicando nell’elemento denominato ‘agire razionale
rispetto allo scopo’ quello che sta assumendo il primato rispetto agli altri tre. La
tipica azione dell’attore sociale moderno è sempre più improntata al
raggiungimento di obiettivi prefissati attraverso l’uso della razionalità, al
coordinamento mezzi-fini, al calcolo il più possibile approssimato delle risorse e
dei vincoli, alla neutralità affettiva. In termini di strutturazione formale dei gruppi
4
) G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano 1989, p.173
17
sociali, Il naturale esito di questa tendenza è la burocrazia, che a
sua volta tende retrospettivamente ad influenzare e “plasmare” gli individui
secondo questo schema.
Le burocrazie sono organizzate secondo principi razionali perché la razionalità
diventa lo strumento privilegiato nello sforzo di integrazione tra i diversi settori e
nella armonizzazione dei compiti. Infatti, sarebbe difficilmente pensabile
un’organizzazione burocratica coesa unicamente sul potere carismatico di un
capo o sul potere autoreferente e ‘dinastico’ di una élite. I compiti e le funzioni,
sono ordinati da norme astratte e secondo una scala di competenze; Ia coesione
del sistema e affidata a regole non immediatamente riconducibili - fatti salvi i
sottosistemi informali di regole, gli usi e consuetudini - le cosiddette regole non
scritte - a valori o consuetudini particolari.
Questo coordinamento burocratico delle azioni di un vasto numero di persone è
divenuto il carattere strutturale dominante delle moderne forme di organizzazione.
“Soltanto attraverso questo espediente organizzativo e divenuta possibile una
pianificazione su vasta scala sia per lo stato moderno sia per l’economia moderna
(
5
)”
2.1.3. Limiti e distorsioni della burocrazia
A fronte dei vantaggi tecnici offerti dalla burocrazia, non sono tuttavia mancate
nella sua storia le critiche e i giudizi negativi. Lo stesso Weber giunse a
conclusioni non proprio ottimistiche sulla evoluzione dei sistemi burocratici,
segnalando alcune ambiguità ed incongruenze tra la burocrazia e la comunità
sociale di cui la burocrazia diviene struttura fondamentale:
1) A livello politico, “ la burocratizzazione dello stato è lo strumento con cui viene
soddisfatto il primo aspetto della democrazia, ma proprio lo sviluppo della
burocrazia contiene elementi che ostacolano Ia democrazia come partecipazione.
Un corpus omogeneo di funzionari che per motivi professionali disbriga da anni
con discrezione, metodo e competenza un medesimo tipo di pratiche, è destinato
ad acquisire un potere di fatto che va molto al di là del servizio amministrativo
svolto” (
6
). Per questo tipo di potere valgono tutte le logiche di conservazione del
potere in sé, anche quando gli interessi di questa corporazione divergono da
5
) L.A. Coser, I maestri del pensiero sociologico, Il mulino, Bologna 1983
6
) G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, op. cit., p.176
18
quelli della politica in senso generale, sia essa intesa come il bene del cittadino o
le direttive del governante di turno.
2) “La burocrazia è tanto più perfetta quanto più si disumanizza, ossia quanto più
rende I rapporti impersonali e anonimi escludendo sentimenti e risentimenti… La
divisione del lavoro secondo la pura competenza tecnica, insieme alla neutralità
affettiva di fronte agli ordini superiori offrono alle coscienze il più efficace alibi
nella esecuzione di qualsiasi comando abbia il crisma della legalità formale… Il
problema diventa acuto quando I potenti apparati tecnico-burocratici costituiti
dall’uomo possono diventare strumenti di sopraffazione e di morte, grazie alla
docilità verso il comando che mostrano gli uomini perfettamente inseriti nelle
maglie di una gerarchia”(
7
).
3) La razionalità orientata verso uno scopo, il fattore prevalente della natura delle
burocrazie, non colma la richiesta di senso che l’uomo va da sempre cercando. “
Il processo di modernizzazione, per quanto ispirato a valori di libertà, efficienza e
razionalità porta con sé una oscura irrazionalità di fondo. …la scienza offre
all’uomo soltanto la conoscenza fisica del mondo… ma non può dirgli in che cosa
credere, dove dirigere le sue forze. Di conseguenza la vita moderna,
secolarizzata, tecnologica e burocratizzata diventa sempre più formalmente
razionale e al tempo stesso più ansiosa di alcune certezze che ineriscano al piano
della razionalità secondo i valori (
8
).
2.2. Le condizioni storico-sociologiche del sorgere delle organizzazioni
2.2.1. ‘Casa totale’ e ‘Mondo super locale’
Uno scenario paradigmatico della progressiva formalizzazione degli organi sociali,
compresi quelli deputati all’educazione è quello rappresentato da E. Damiano,
nella sua opera ‘Società e modi dell'educazione’ (
9
). Qui l’autore analizza il
modificarsi delle organizzazioni sociali in senso specialistico all’epoca della
rivoluzione industriale e i profondi riflessi che ne risultano in termini di modalità di
vita e di auto-rappresentazione dei soggetti. Riprendendo uno schema tipologico
introdotto da Roessler (1961), e sviluppato da Brunner (1966), l’autore esamina
comparativamente gli elementi e le differenze che caratterizzano la vita rurale
7
) G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, op.cit., p.177
8
) G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, op.cit., p.178
9
) E. Damiano, Società e modi dell’educazione, Vita e pensiero, Milano 1984
19
(mondo della “casa totale”) e quella cittadina (mondo “super locale”). Nella casa
totale l’individuo rappresenta un tutto indistinto. La vita della persona si svolge
essenzialmente in un ambiente ben definito, anche fisicamente, e non è richiesta
una differenziazione di ruoli in funzione di uno scopo o di un ufficio. “Le dimensioni
sociali, politiche economiche, religiose della vita comunitaria vivono in uno stato di
fusione, intreccio concreto e indissolubile, personalizzato ma anche totalizzante “
(
10
) . Non vi è riferimento a regole astratte o non riconducibili agli usi e costumi
adottati dalla comunità; al contrario abbiamo un codice di regolamentazione
pratico che viene assimilato di fatto, quasi per osmosi, durante la convivenza delle
diverse generazioni. Per la stessa ragione “..Socializzazione ed educazione non
risultano distinte né fra loro né rispetto all’apprendimento di una professione.
Entrambi sono processi correlati e vicendevolmente implicati“ (
11
). L’economia
caratterizzante questo mondo è autarchica e personalizzata, il che implica che è al
tempo stesso grezza - talvolta di puro sostentamento - ma pure gratificante per
quanto pertiene al riconoscimento sociale.
Lo scenario cambia totalmente nel mondo super locale.
Qui infatti, in virtù di condizioni storico-sociologiche in rapida evoluzione, “il
sistema della casa totale viene infranto separando la casa dalla bottega [...] in
questo modo si divide la persona nei suoi ruoli quello di lavoratore , fuori della
comunità e dentro l’azienda , quello di attore sociale fuori dell’azienda e dentro la
comunità“(
12
). Aumentano di conseguenza la mobilità spaziale e quella sociale; i
riferimenti dell’individuo sono sempre meno attribuibili ad un luogo fisico ben
preciso (la comunità di appartenenza) e sempre più a luoghi e stimoli anche molto
distanti e simbolizzati. Si differenziano e si pluralizzano le sfere sociali, con
possibili conseguenze negative (per esempio, i ben noti fenomeni di sradicamento
culturale connessi all’urbanizzazione di massa). “...Cresce la necessità di
individuare segni a circolazione universale, strumenti di comunicazione indiretta,
un pensiero di tipo ipotetico e formale”(
13
). L’ uso principale che si fa di tale
pensiero-strumento, è, appunto, quello della gestione di rapporti impersonali e
centrati sulla funzione specifica, quali sono quelli che si vengono a creare nei
diversi contesti sociali di cui il soggetto entra a far parte.
10
) E. Damiano, Società e modi, op. cit., p.84
11
) E. Damiano, Società e modi.., op. cit., p.84
12
) E. Damiano, Società e modi, op. cit., p.87
13
) E. Damiano, Società e modi, op. cit., p.88