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Peter Gabriel: videoscape e sincretismo musicale

Peter Gabriel è stato il leader dei Genesis, la storica band inglese che, negli anni '70 e per almeno due decenni successivi, ha stregato pubblico e critica internazionale. Tessendo trame intrise di progressive, la corrente nata come risposta alla musica commerciale, industriale e standardizzata; Peter Gabriel e i Genesis hanno sperimentato forme di musica visuale come mai era stato fatto prima: i costumi e le maschere portati sulla scena da Gabriel lasciavano attoniti gli spettatori, che vedevano il frontman dei Genesis trasformarsi di colpo in diavolo, per poi tramutarsi in angelo, o addirittura levarsi in aria, sospeso, sopra di essi. Con l'avvento della carriera solista Peter Gabriel ha sperimentato nuove forme sincretiche, coniugando mondi musicali anche diametralmente opposti tra loro e battendosi sempre, con tutte le sue forze, contro quello che l'antropologo Merriam ha definito come determinismo culturale: l'insieme di regole che costringe i compositori a ridimensionare la loro creatività in favore di un'omologazione semplice e riduttiva dei loro prodotti. L'antropologia musicale ha bisogno del concetto di posizionamento, elaborato da Rosaldo nel 1989, per tentare di definire concetti fluidi come la distinzione tra suono e rumore o come il momento dell' improvvisazione.

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3 Introduzione Peter Gabriel, molto probabilmente, ha sbagliato mestiere. L’artista che ha guidato la storica band dei Genesis fino al successo internazionale e che è riuscito a rinascere sia come essere umano che come musicista - dopo il divorzio dalla stessa - prima di essere un cantante, un compositore o un innovatore di straordinari incroci tra musica e visuale, è un antropologo. In una realtà musicale (industriale) come quella moderna, che impone ai suoi figli legittimi il marchio raggelante dell’etichetta, Peter Gabriel riesce a sfuggire da questo destino e a sciogliere come cera le radici che lo vorrebbero imbrigliato nell’inquietante limbo del Singolare, dell’unico e del prevedibile. E così i titoli dei suoi album non esistono…suscitando la sorpresa e l’ira dei grandi capi dell’industria discografica che non sanno come etichettare il lavoro dell’artista; in maniera analoga con quanto avveniva diversi anni prima con i Genesis, autori di un progressive che lasciava smarriti spettatori e critici, una corrente musicale splendidamente richiamata dal concetto di non-order: un genere nato in risposta alla commerciabilità di brani standardizzati e predefiniti, e che l’industria musicale sfornava - e sforna - come tanti pacchetti da consegnare a target selezionati da glaciali strumenti di mercato. Si tratta di quel fenomeno definito da Alan P. Merriam come determinismo culturale: l’arte e i musicisti prigionieri di ‘regole’ imposte dall’alto, che impediscono, di fatto, la creatività. Capire quanto l’artista sia effettivamente libero nella sua creazione è uno dei compiti dell’antropologo musicale. Il sincretismo di Gabriel è, allora, un tentativo di mischiare le differenze, di contaminare le culture, di annullare le distanze. La sua musica si configura come una musica del mondo, viva, che sfugge alle categorizzazioni obsolete di spazio e tempo e che si lascia abbandonare alla sensuale danza della sperimentazione. Distruggere le cornici, anche fisiche, in cui questo tipo di arte viene rinchiusa è l’obiettivo della sua intera esistenza: egli è il primo musicista a fare del concetto di multimediale la caratteristica primaria su cui basare il proprio lavoro. I suoi tentativi di confondere artista e pubblico (lasciandosi cadere tra le braccia del suo pubblico) e di spettacolarizzare lo spettacolo portando in scena costumi e scenografie sorprendenti sono la scia di un desiderio di fluidità, di mutamento continuo di sé stesso e della propria opera, nonché dei suoi ascoltatori, che diventano così attori protagonisti dello straordinario gioco di cui l’artista si diverte a mescolarne continuamente le carte.

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