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L'Infinito Quijote. L'archetipo e il fantasma cinematografico wellesiano

Apparso tra il 1605 e il 1615, il Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes è, oggi, un punto di riferimento per tutta la letteratura occidentale. Tale fortuna è dovuta ai pensatori che, nel tempo, lo hanno plasmato secondo le loro esigenze intellettuali, sfruttando la sua straordinaria duttilità interpretativa. Nato con lo scopo di parodiare i libri di cavalleria, il romanzo acquista successo in due frangenti differenti: quello dell’archetipo di Don Chisciotte e quello dell’inizio del romanzo moderno. Unendo i due aspetti si potrà parlare di archetipo del romanzo. Questo statuto di archetipo indebolisce l’aura dell’opera, ponendo i presupposti per una sua “moderna” riproduzione; ma la sua manipolazione è già parte integrante del Chisciotte, con la tecnica della mise en abyme, infatti, Cervantes moltiplica gli autori, includendo gli stessi lettori.
Con la riproduzione tipografica, il romanzo ottiene subito importanza in tutta Europa e Don Chisciotte entra in quell’immaginario collettivo che lo porterà ad essere un’icona. In questo passaggio, il suo mito è utilizzato in varie forme, rischiando di conseguenza la completa dissolvenza dell’aura. Così tra XIX e XX secolo, per ridare vita al suo messaggio, alcuni autori sentono il bisogno di svuotare il romanzo per riscriverlo con nuova forza. Dai residui aurali del mito nascerà, con l’avvento della tecnologia, un caballero mediale, dove i mulini lasceranno spazio alla sua stessa immagine, assunta come suo ultimo significato nella società di consumo. Il mezzo di riproduzione tecnica che ha descritto meglio questo scontro tra eroe e immagine è il cinema e tra le prove più riuscite c’è sicuramente quella di Orson Welles.
Le riprese del Don Quixote iniziano nel 1955 protraendosi poi per quasi venti anni senza arrivare ad un montaggio finale. Grazie alla tecnica cinematografica e agli interpreti, Welles voleva, con il suo film, arricchire la realtà con altre realtà parallele, inserendo le avventure del cavaliere e del suo scudiero nella Spagna contemporanea e al tempo, nelle riprese del suo film nel film stesso. Il regista riportava, così, il pubblico da una mera finzione ad una verità più autentica, quella imponderabile della vita; un po’ come Cervantes parodiando il romance, quasi quattrocento anni prima. Questa immersione nel Chisciotte significava per lui vedersela con la propria vita, significava diventare a sua volta Chisciotte.
Tutti i tentativi di riproduzione del Chisciotte hanno avuto a che fare con la sua sfuggevolezza, poiché si è rivelato infinito e quindi ontologicamente irriproducibile. Tale incommensurabilità è stata notata nella struttura del libro stesso che, secondo la teoria del “prospettivismo”, spezzerebbe la realtà in tanti punti di vista, ottenendo delle prospettive speculari in un’infinita spirale tra verità e fantasia. Riuscendo a congegnare un meccanismo tanto perfetto, Cervantes sembra già precludere, così, una riproduzione del Chisciotte ai posteri che vorrebbero confrontarsi con lui.
Welles, con il suo tentativo, è forse colui che più si avvicina al cuore del romanzo, poiché incentra il problema della trasposizione sulla propria esperienza di uomo; traducendo così l’impossibilità di riprodurre il Don Quijote nell’insondabilità dell’esistenza.

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2 Premessa Prima che il desocupado lector di questa tesi inizi la sua lettura, penso sia utile informarlo che il mio “approdo” al Don Quijote de la Mancha nasce da un antecedente e più generale interesse per il rapporto tra l’uomo e la sua fantasia. C’è infatti, all’origine di questa breve analisi, una domanda di fondo: è il Mito eterno o è piuttosto eterna l’umana esigenza della sua presenza? In altri termini, è davvero il Mito un simbolo senza tempo del nostro essere primitivo oppure si trasforma con noi seguendoci pari passo nella storia che lungo i secoli srotoliamo quasi inconsapevoli? Cercando una soluzione a tale quesito, mi sono chiesto come questa “idea mitica” si fosse perpetrata nel pensiero occidentale dagli albori della nostra cultura ai tempi odierni; la risposta non poteva ricadere che sul modo e sui mezzi con cui noi uomini avevamo intrapreso questo “trasporto”. Come per le tradizioni ed i riti, mi sono reso conto che il fulcro della storia del Mito poteva essere la sua riproduzione. A questo punto la materia Chisciotte poteva diventare il veicolo della mia analisi; la fortuna del romanzo di Cervantes rappresenta con grande nitidezza, infatti, uno spaccato del concetto di Mito, di come questo abbia portato avanti il suo significato nonostante le varie forme che ha dovuto assumere nel tempo. L’intento delle pagine che seguiranno sarà così quello di capire questa evoluzione attraverso le mani che hanno modellato la creta dell’hidalgo manchego, cercando anche di far luce nella controversa individuazione del ruolo che spetta oggi al suo Mito. In questo lavoro ho voluto portare in esame la grande duttilità dell’archetipo, e nello specifico quello chisciottesco, concentrandomi soprattutto nella sorta di transustanziazione che permette il suo passaggio interlinguistico ed intermediale da testo scritto e/o tipografico ad immagine filmica. Dal linguaggio cartaceo della letteratura a quello fantasmatico ed

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