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Fabrizio De André. Politica e estetica

Il lavoro svolto è un’analisi della poetica del cantautore Fabrizio De André. L’incisività politica del messaggio che ha trasmesso tramite le sue canzoni si nasconde dietro ispirazioni, stili e tematiche piuttosto varie, apparentemente distanti tra loro. L’amore libero e carnale, i quartieri malfamati, i Rom, i vangeli, la solitudine, l’antimilitarismo: sono, per De André, tutte espressioni del rapporto tra l’uomo e il mondo. Così, in questo lavoro, sono esaminati i diversi temi trattati dall’artista come argomenti incentrati su un unico soggetto: l’uomo.
I disagi connaturati alla condizione umana possono portare l’individuo ad aggregarsi ad altri suoi simili e a formare associazioni, istituzioni, congreghe, Stati: in questo modo passerebbe in secondo piano il rapporto umano, e si dimenticherebbero sentimenti tipici dell’uomo come la compassione e la solidarietà. De André ritrova questi sentimenti dove lo Stato non arriva: tra gli emarginati. Canta, così (instradato dal suo maestro Georges Brassens), i diseredati, le prostitute, i ladri: è quella la parte della società che, lontana dalle istituzioni, mantiene vivo in sé il sentimento di solidarietà. O, più semplicemente, canta persone che, per scelta o necessità, si ritrovano da sole a difendere la loro diversità e, in tal modo, la loro libertà.
Il contrasto tra l’individuo e il potere è descritto, così, nelle sue diverse manifestazioni: a cominciare dagli amori non “ufficiali” e riconosciuti: quello libertino di Bocca di rosa, osteggiato dall’invidia delle donne di paese, che possono far affidamento sull’autorità costituita; quello giovanissimo di Ho visto Nina volare, minacciato dall’autorità paterna; quello tra un ragazzo ed un’asina in Monti di Mola, rovinato dalla burocrazia; fino alla storia narrata nei vangeli: una donna (Maria) privata della sua infanzia e, poi, della sua maternità dal potere religioso; e un uomo libero (Tito), che a causa della sua indipendenza viene perseguitato.
Altro discorso merita, invece, il punto di vista estetico della trattazione. Sono rarissimi i testi che trattano il rapporto, nella musica leggera contemporanea, tra parole e musica. Così si è preferito partire da capisaldi della filosofia ottocentesca come Hegel e Schopenhauer, prendere in esame la loro concezione di musica e di poesia adattata alla musica, ed infine esporre una considerazione sulla qualità musicale delle parole, caratteristica di rilevante valore al’interno di un discorso sulla canzone, e in particolare sull’opera di Fabrizio De André.

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9 Introduzione «Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l’ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l’illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane». 1 Prima di iniziare a scrivere questo lavoro, durante una fase di ricerca e di riflessione, pensavo ai tanti messaggi lasciati da Fabrizio De André per mezzo della sua opera: canzoni che parlano di prostitute e di sante, di assassini e di vittime, di Indiani d’America e di Sardi, di ladroni e di profeti. In una produzione sviluppata in quasi quarant’anni, ispirata dalle ballate provenzali e dalla musica del Mediterraneo, da artisti che vanno da Georges Brassens a Bob Dylan, da François Villon ad Alvaro Mutis, quale sarà il filo conduttore? Cosa portava, ogni volta, De André a impugnare la penna e abbracciare la chitarra? La risposta potrebbe essere rintracciata, in parte, nella citazione sopra riportata: «l’ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l’illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento del mondo» 2 . Ma ciò ancora non è sufficiente. O, perlomeno, non dice niente di nuovo a chi già conosce il cantautore, la sua empatia e il suo interesse per la società. 1 F. De André in C. G. Romana, Amico fragile Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, Milano, 2000. 2 Ibidem.

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