“The Dirtiest Predator of All” - Irving Layton e l'uomo moderno
L’ipotesi che sta alla base di questo studio nasce da una riflessione sul ricorrere, in letteratura, del potente effetto catartico esercitato sull’uomo dalla visione della morte o più esattamente dall’osservazione dell’agonia degli animali. In questa prospettiva e alla luce del saggio "La «civilizzazione dei bruti»” del Prof. Arrigo Stara, si é riletta la poesia di Irving Layton, raggiungendo risultati, a nostro avviso, pertinenti ed efficaci.
La rappresentazione dell’agonia trova una naturale e ovvia risonanza nell’idea della morte, argomento tra i più frequentati in poesia da Irving Layton. Il poeta individua una duplice valenza della morte: una naturale, appartenente al natural creation-destruction cycle – da noi così definito; ed una morte coatta, inflitta su creature inermi quali gli animali dal civilized killer – l’uomo, così chiamato da Irving Layton -. L’evoluzione dell’uomo, che lo ha nel tempo contraddistinto dalla bestia, è servita, infatti, ad affinare le capacità ed il gusto di architettare e compiere ogni sorta di crudeltà. Il poeta pone l’accento sul piacere perverso che l’uomo prova nel vedere soffrire gli animali, specialmente se è egli stesso a provocare quella sofferenza.
Per capire in che modo l’agonia di un animale possa avere un effetto catartico, abbiamo introdotto i temi del perturbante e della parentela biologica. L’animale agonizzante, pare mettere in atto dei meccanismi che si potrebbero definire antropomorfizzanti: questi rendono perturbante la sua uccisione tanto da farla risultare insostenibile. Abbiamo usato il termine perturbante in un’accezione puramente freudiana, per esprimere l’angoscia di fronte ad una realtà relegata nelle zone più remote della psiche e che improvvisamente e, soprattutto, catarticamente, riaffiora. Il poeta (e con lui il lettore) viene scosso nel profondo, gli si impone una riflessione che altrimenti sarebbe stata trascurata e finisce per subire la catarsi necessaria. È come se in lui riaffiorasse l’antica somiglianza fra uomo e animale, somiglianza che, con il passare dei secoli e con l’affermarsi di una visione sempre più antropocentrica, è andata perduta. Si assiste al risveglio del sentimento di parentela biologica, indispensabile per dare enfasi al perturbante stesso: postosi sul suo stesso piano, con un linguaggio a lui comprensibile, l’animale riesce a scuotere l’essere umano nel profondo ed a rivelargli, in modo perturbante e catartico, una verità nascosta che l’uomo stesso, allontanatosi caparbiamente del mondo naturale, non era più in grado di comprendere.
Dopo aver lottato con forza contro il suo istinto primitivo, umiliato nel constatare quanto vile egli possa essere verso i suoi simili, ma anche verso se stesso, il poeta sente con forza di essere un emarginato in un mondo basato su quella che Irving Layton definisce «aesthetic cruelty», tratto peculiare dell’uomo, unito al compiacimento nel vedere gli altri soffrire. Tale emarginazione però non è fine a sé stessa: Irving Layton, infatti, pare spronare l’uomo, con la sua poesia, verso una soluzione, mettendolo in guardia contro l’apatia del conformismo e la progressiva assuefazione ad esso, che diventano di fatto una tacita complicità con chi fa della violenza un sistema di vita a tutela dei pregiudizi, delle discriminazioni, dell’ingiustizia. Rifiutare con decisione tutto questo è l’unico modo per evitare di restare vincolati alla «aesthetic cruelty», per restituire all’uomo la sua “umanità”.
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandra Meoni |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2002-03 |
Università: | Università degli Studi di Pisa |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere |
Corso: | Lingue e Letterature Straniere |
Relatore: | Biancamaria Rizzardi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 123 |
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