Estetica delle rovine
“Tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine”. Lo scrive Chateaubriand agli inizi dell’Ottocento, nel Genio del Cristianesimo. Il fascino esercitato dai resti imponenti e solenni, dalle tracce, dalle vestigia e dai detriti, è alla base dell’estetica del sublime; questa alimenta lo sgomento misto ad ammirazione di fronte alla bellezza delle rovine. Dalla seconda metà del XVIII secolo si va affermando il gusto per le architetture gotiche che, rispetto alle misure neoclassiche, appaiono sproporzionate e irregolari. Il gusto per l’informe porta a una nuova fascinazione delle rovine; già nel Rinascimento era emerso questo interesse riferito all’antichità greca, poiché attraverso le sue rovine si poteva indovinare la forma compiuta e pura delle opere antiche e originali. Il Neoclassicismo aveva cercato di reinventare queste forme, da Canova a Winckelmann. Ora invece, agli inizi dell’Ottocento, la rovina è apprezzata per la sua incompletezza, per i segni che il tempo, inesorabilmente, vi ha lasciato, per la vegetazione incolta che la ricopre, per i suoi muschi e le sue crepe. Come possiamo leggere nell’Adonais di Percy Bysshe Shelley:
“Su vai a Roma che è insieme il paradiso, la tomba, la città e il deserto; e passa dove le rovine s’ergono come montagne frantumate, e le gramigne fiorenti e le piccole selve profumate vestono l’ossa nude della desolazione, finché lo spirito del luogo guiderà i tuoi passi a un declivio il cui accesso è verdeggiante, dove come il sorriso di un bambino fra l’erba sopra i morti si distende una luce di fiori sorridenti…”.
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Informazioni tesi
Autore: | Nausica Caniglia |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi dell'Aquila |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Massimo Modica |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 136 |
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