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Gli investimenti italiani in Romania

L’attività di ricerca, ufficialmente iniziata nel marzo 2004 e proseguita fino ad oggi, è stata articolata attorno a tre macroaree ben definite: una sociale (analisi degli squilibri, delle disuguaglianze, della povertà, dell’esclusione sociale, delle politiche di genere, delle conseguenze degli investimenti, dei processi migratori), una economica (studio degli investimenti esteri, delle delocalizzazioni, dell’economia romena, dell’attuale congiuntura economica italiana ed europea) ed una terza storico-politica (storia della Romania e dell’Europa centro-orientale, analisi del processo di integrazione europea, storia delle politiche regionali), tutte strettamente interconnesse, che hanno a loro volta condotto a tre questioni fondamentali:
1- Perché esiste una forte presenza imprenditoriale italiana in Romania? Quali sono le sue origini economiche, sociologiche e storiche?
2- Quali sono i problemi strutturali fondamentali con i quali si confronta lo spazio romeno nel periodo di transizione alla democrazia ed all’economia di mercato? Quali sono i fattori fondamentali alla base del nuovo assetto di determinate zone del paese caratterizzate dalla forte presenza imprenditoriale italiana?
3- Come potrà, il lavoratore romeno, affrontare e superare la sfide dell’integrazione nell’Unione Europea tra negazione del diritto alla libera circolazione, richieste di maggiore flessibilità e progressiva riduzione delle protezioni sociali? Sono tutte questioni che ho sviluppato nel corso del mio lavoro cercando ogni volta di tracciare un quadro il più aderente possibile alla realtà analizzata senza per questo cercare un’impossibile imparzialità.

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3 INTRODUZIONE L’ultimo decennio del XX secolo è caratterizzato dai cambiamenti politici dei paesi dell’Europa centrale e orientale dove la riorganizzazione delle istituzioni e dell’ordinamento sociale assume l’aspetto della contesa attorno agli assetti proprietari e gestionali. A partire dal 1989 la dissoluzione dei paesi del socialismo reale porta alla ribalta – e alla migrazione – individui che erano stati sottoposti a una delle più possenti spinte livellatrici e uniformanti dell’età moderna, al punto da imporre severi limiti all’iniziativa individuale. Scarse possibilità di espressione della propria individualità e mancata partecipazione ai processi politici opprimevano le popolazioni dell’Europa orientale a cui veniva negata la libertà di movimento – spaziale e sociale – nel nome di una pretesa razionalità che doveva superare la forma capitalistica e permettere a tutti una vita dignitosa. La presa di coscienza da parte dei soggetti dell’impotenza dei vari Partiti comunisti, di fronte alla sfiducia che i soggetti stessi finalmente mostravano apertamente, ha forse costituito il punto di svolta nel processo di decomposizione del socialismo reale, smentendo infine anche la forza del suo apparato repressivo. Nei primi anni della transizione 1 , la Romania si mostrava come un paese sospeso fra la miseria e lo smarrimento di una popolazione per troppo tempo deresponsabilizzata, abituata 1 Letteralmente sta a significare “passaggio fra due condizioni” o “da uno stato all’altro”. Molto spesso la transizione viene definita come un movimento da un punto ad un altro secondo un piano determinato, cioè il passaggio da uno stato pianificatore e da un’economia a sistema socialista a uno stato democratico a economia di mercato. La definizione della Romania come paese in transizione si rifà, quindi, a una narrazione sequenziale dello sviluppo, dal socialismo al capitalismo.

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