4
all'invasività dello stato in ogni aspetto della propria esistenza, ed
il rapido insorgere fra le seconde e terze file del vecchio regime
dei nuovi ricchi. L’accumulazione originaria da parte delle élites
tecnocratiche e la penetrazione del capitale internazionale erano
infatti fenomeni strettamente correlati che si estendevano sui
territori neoprivatizzati
2
. In questa situazione, anche il modello
degli investimenti diretti all’estero si è modificato, comprimendo
tra l’altro gli investimenti umanitari sotto forma di aiuti e di
personale che organizza, gestisce e forma gli assistiti a nuovi
rapporti sociali. Contrariamente all’idea di un piano privo di
increspature, il processo di penetrazione del capitale
internazionale verso l’Europa orientale si è caratterizzato per
balzi misurati, che seguono dappresso l’evolversi della situazione
a livello politico , ma soprattutto ricalcano le orme – e le ombre –
della conflittualità o della disponibilità operaia all’interno e
all’esterno delle fabbriche. Si tratta di passaggi e di scambi
continui in cui i confini simbolici e materiali rappresentano
soglie di discontinuità sia per il flusso dei fattori produttivi sia
più in generale per il flusso di individui. Nel corso degli anni
Novanta, poi, le superate divisioni con i paesi dell’Europa
orientale delineano anche una certa omogeneità nella messa al
lavoro, o almeno una più stretta sperimentazione e il
trasferimento di pratiche tra i diversi paesi; un aspetto,
quest’ultimo, tanto più importante quanto più si diffonde la
presenza di imprese multinazionali o transnazionali. Le nuove
forme della messa a lavoro e l’espansione di un sistema di
2
Esaminando la stratificazione sociale dei paesi dell’ex-socialismo reale si nota un
fenomeno abbastanza comune, secondo il quale il processo di arricchimento ha interessato
molti dei membri della vecchia nomenklatura, i quali sono passati alle nuove esperienze
della democrazia e della libertà di mercato in modo rapido e lineare. In particolare là dove
le disuguaglianze erano meno radicate, i nuovi capitalisti hanno accumulato ingenti fortune
a spese delle vecchie proprietà statali, mostrando una forte simbiosi tra potere e capitale
(Brucan 2000,p.452).
5
occupazione a livello europeo pone in forte difficoltà i concetti
stessi di lavoro e di mercato del lavoro, se messi a confronto con
i temi dell’occupazione, della mobilità e della stratificazione
sociale.
La ricerca parte quindi dall’analisi del processo di diffusione
della proprietà privata e dell’accumulazione di capitale che
avviene sulla scia della penetrazione dell’imprenditoria
occidentale e dello sviluppo di migrazioni relativamente libere. A
questi cambiamenti corrisponde la progressiva costituzione del
Veneto come una delle molte zone speciali per l’esportazione di
merci, che favorisce l’inserimento gerarchizzato di lavoro
migrante. In questi anni il Veneto, sembra essere riuscito a creare
un regionalismo economico contraddistinto da processi di
espansione del capitale all’estero e dalla messa al lavoro di una
manodopera multinazionale dalle variegate caratteristiche sociali
e lavorative. Delocalizzazione ed immigrazione, infatti,
rappresentano i fenomeni più diffusi che interessano sia le attività
delle aree più ricche e sviluppate del Nord-Est italiano che quelle
proprie di tutta l’area nord-occidentale del nostro vicino romeno.
Emblematico è il caso della città di Timişoara, principale città del
Banato, da molti anni considerata enfaticamente l’ottava
provincia veneta, essendo la meta preferita di una folta schiera di
piccoli e medi imprenditori (per lo più veneti) attratti dai minori
costi, soprattutto sociali e del lavoro, dalla contiguità geografica
e da una forte affinità culturale.
Partendo da questi presupposti, ho così cercato di analizzare il
flusso di investimenti dall’Italia alla Romania, evidenziando
l’origine geografica degli stessi, la loro distribuzione territoriale
in Romania e le ragioni che hanno determinato un così forte
6
impatto, utilizzando dati e statistiche sia di fonte italiana che
romena. A questo proposito il mio soggiorno a Bucarest ha molto
agevolato la ricerca, grazie alla possibilità, fornitami dalla
università ospitante e da alcuni istituti di ricerca, di poter
intervistare numerosi esperti del settore. La difficoltà
comunicativa è stata presto superata grazie al perfezionamento
del mio romeno (aiutato in questo dalle evidenti similitudini
linguistiche), riuscendo così a interagire direttamente col mio
interlocutore di turno senza l’ausilio di alcun traduttore.
Andando avanti con la ricerca, però, non mi ritenevo soddisfatto
del lavoro, lo sentivo incompleto e parziale, simile, per certi
versi, a quei documenti “oggettivi” che con cadenza semestrale
“sfornano” gli istituti economici italiani cercando di fare
un’analisi della situazione economica romena e del livello degli
investimenti italiani. Mancava, in pratica, la parte conclusiva,
l’altra faccia della medaglia: analizzati gli investimenti italiani in
Romania e il punto di vista degli imprenditori, sentivo insomma
la necessità di investigare anche l’altra parte in causa, ossia i
lavoratori romeni, cercando di esaminare in che modo influissero
gli stessi investimenti sulla società romena.
Le società italiane che hanno investito in Romania nel periodo
successivo al 1990, infatti, non hanno prodotto solo effetti
sull’economia del paese, ma hanno determinato anche un
profondo impatto sull’ambiente sociale stesso. E’ a questo
proposito che ho cercato di sviluppare un originale
3
approccio
3
Numerosi sono gli studi effettuati negli ultimi anni sul fenomeno degli investimenti
italiani in Romania, mentre rari, se non del tutto assenti, sono invece le analisi sugli effetti
sociali di questi stessi investimenti (sia in Italia che in Romania). Cercando infatti “impatto
sociale degli investimenti esteri (o italiani) in Romania” o “social impact of foreign (italian)
investments in Romania” o “impactul social al investiţiilor în România” nei differenti
motori di ricerca forniti dalla rete o anche negli archivi telematici della Biblioteca
Nazionale di Bucarest o della Biblioteca Nazionale di Napoli, i risultati ottenuti erano
sempre pari a 0!
7
alla questione, mettendo a confronto il Nord-Est italiano con la
regione nord-occidentale romena, evidenziando i due elementi
che le accomunano: delocalizzazioni e migrazioni. Gli anni
Novanta infatti, si sono contraddistinti per un caratteristico
“doppio movimento”: una crescita dell’internazionalizzazione del
sistema economico con investimenti produttivi verso l’estero
accompagnata da una crescita dell’immigrazione verso l’Italia. I
dati analizzati, infatti, evidenziano una chiara correlazione tra
commercio, investimenti esteri e flussi migratori tra Italia e
Romania e in particolare tra il Veneto e le province di Timiş e
Arad
4
. Ma i flussi di lavoro migrante verso l’Italia e quelli di
capitali e tecnologie verso l’estero, pur costituendo canali
paralleli, sono rimasti ancora poveri di opportunità,
intrecciandosi solo in casi eccezionali. Nonostante ciò,
l’espansione del capitale migrante in Romania segue la stessa
logica del flusso di migranti in Italia: lasciare un ordine sociale,
economico e politico per entrare in un altro dove poter muoversi
con maggiori opportunità.
L’obiettivo della mia ricerca pertanto, non era esclusivamente
incentrato sull’analisi dei flussi di investimenti dall’Italia alla
Romania o sulla delocalizzazione territoriale in senso generale,
ma soprattutto sull’impatto che tali processi provocano
all’interno delle società da cui partono e in cui arrivano detti
investimenti e soprattutto sulle conseguenze sociali degli stessi
(con particolare riguardo per la condizione femminile).
4
Il Veneto, infatti, oltre ad essere la regione italiana più attiva nei processi di
delocalizzazione e internazionalizzazione, rappresenta anche la terza regione di
destinazione dei flussi migratori in Italia, con una percentuale di circa il 10% degli stranieri
presenti in Italia.
8
Partendo da tali presupposti, il lavoro può essere diviso in 2 parti:
nella prima (corrispondente al capitolo primo e al capitolo
secondo) ho cercato di analizzare i lineamenti generali della
Romania contemporanea, evidenziando soprattutto il processo di
adesione all’Unione Europea e l’evoluzione della sua struttura
amministrativo-territoriale, senza tralasciare i più recenti indirizzi
di sviluppo regionale. Si è trattato in pratica di una parte
maggiormente descrittiva volta ad inserire il paese dei Carpazi
nell’attuale contesto geopolitico europeo.
La seconda parte della tesi, (corrispondente al capitolo terzo e al
capitolo quarto) oltre ad introdurre il lettore su tematiche
prettamente economiche quali gli investimenti esteri, le
delocalizzazioni territoriali e le internazionalizzazioni, indaga le
motivazioni che spingono gli imprenditori ad investire all’estero,
analizzando in un primo momento gli investimenti stranieri in
Romania e poi, più approfonditamente, quelli italiani. E’ in
questa parte della tesi che si prendono in esame sia le due regioni
protagoniste, il Nord-Est italiano e il Nord-Ovest romeno che le
due figure lavorative implicate nel processo: l’imprenditore
italiano e il lavoratore romeno. Sempre in questa seconda parte
(capitolo quarto) ho cercato anche di esaminare gli effetti degli
investimenti italiani (e stranieri) in Romania sulla popolazione,
evidenziando le conseguenze degli stessi sulle attuali condizioni
del mercato del lavoro romeno (nel più ampio contesto
dell’allargamento all’Unione europea) e sull’evoluzione dei
processi migratori dalla Romania all’Italia (sviluppando altresì
un’analisi di genere). Le conclusioni sono dedicate all’attuale
condizione del sistema di protezione sociale all’interno
dell’Unione Europea e ai possibili sviluppi futuri.
9
In definitiva, l’attività di ricerca, ufficialmente iniziata nel marzo
2004 e proseguita fino ad oggi, è stata articolata attorno a tre
macroaree ben definite: una sociale (analisi degli squilibri, delle
disuguaglianze, della povertà, dell’esclusione sociale, delle
politiche di genere, delle conseguenze degli investimenti, dei
processi migratori), una economica (studio degli investimenti
esteri, delle delocalizzazioni, dell’economia romena, dell’attuale
congiuntura economica italiana ed europea) ed una terza storico-
politica (storia della Romania e dell’Europa centro-orientale,
analisi del processo di integrazione europea, storia delle politiche
regionali), tutte strettamente collegate, che hanno a loro volta
condotto a tre questioni fondamentali:
1- Perché esiste una forte presenza imprenditoriale italiana in
Romania? Quali sono le sue origini economiche, sociologiche e
storiche?
2- Quali sono i problemi strutturali fondamentali con i quali si
confronta lo spazio romeno nel periodo di transizione alla
democrazia ed all’economia di mercato? Quali sono i fattori
fondamentali alla base del nuovo assetto di determinate zone del
paese caratterizzate dalla forte presenza imprenditoriale italiana?
3- Come potrà, il lavoratore romeno, affrontare e superare la
sfide dell’integrazione nell’Unione Europea tra negazione del
diritto alla libera circolazione, richieste di maggiore flessibilità e
progressiva riduzione delle protezioni sociali?
Sono tutte questioni che ho sviluppato nel corso del mio lavoro
cercando ogni volta di tracciare un quadro il più aderente
possibile alla realtà analizzata senza per questo cercare
un’impossibile imparzialità.
10
CAPITOLO PRIMO
ROMANIA: LINEAMENTI GENERALI.
1. Premessa.
La Romania è indubbiamente il paese più importante della
regione danubiano-balcanica non solo per le sue dimensioni
(sia in termini di superficie che di popolazione), ma anche
in un’ottica geopolitica, se si considera la sua collocazione
strategica di cerniera tra l’area mitteleuropea, la penisola
balcanica e l’Europa orientale. Negli ultimi tempi la
Romania sembra voler proseguire la sua centenaria
“tradizione” di paese collocato ai margini di grandi imperi,
cercando in tutti i modi di accelerare il difficile processo di
avvicinamento alla agognata “Europa dei 25”, nel tentativo
di dare continuità alla sua incorruttibile marcia verso la
accogliente domus libertatum del “blocco” capitalistico
occidentale.
Questa marcia si è già concretizzata con la entusiastica
adesione alla NATO
1
della primavera 2004 ed aveva preso
inizio nel lontano Natale del 1989 con l’esecuzione
dell’uomo che, attraverso la sua megalomania e paranoia,
aveva arrecato danni permanenti all’economia, allo Stato
1
Creata in origine per arginare l’Urss, la NATO mirava soprattutto a fare di Washington
l’arbitro di tutte le decisioni sull’insieme del vecchio continente. Lungi dal dissolversi dopo
la disintegrazione dell’Urss, il 2 aprile 2004 i Capi di Stato e di Governo di Bulgaria,
Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia hanno ratificato il loro
ingresso formale nella organizzazione portando il numero dei membri da 19 a 26. Per ciò
che concerne la Romania,Washington ha già negoziato con il governo romeno la creazione
di 5 “enclaves” militari. La maggiore base del Paese sarà installata nell’aeroporto di
Otopeni (nell’immediata periferia di Bucarest) e a detta di alcuni organi di stampa, sarà
provvista di sistemi di difesa antimissilistica “Patriot” (Cassen 2004,pp.4-5).
11
ma soprattutto alla società romena tutta: Nicolae
Ceauşescu
2
.
Eletto segretario del Partito Comunista Romeno (PCR) nel
1965, in sostituzione di quel Gheorghe Gheorghiu-Dej che
qualche anno prima aveva cominciato una prudente
differenziazione della politica romena da quella sovietica,
Ceauşescu creò un regime che si rivelò ben presto fra i più
dogmatici dell’Est europeo e in seguito fra i più refrattari
alla perestrojka avviata dall’ultimo presidente dell’Urss
Gorbaciov, nel corso degli anni Ottanta. La dittatura
personale del conducator costrinse un intero popolo a
condizioni di vita precarie a causa sia delle disastrose scelte
autarchiche in economia, sia dell’oppressiva presenza della
Securitate
3
. Le politiche nazionaliste di Ceauşescu, inoltre,
colpirono fortemente le minoranze (ungherese,rom,tedesca)
2
Nato il 26 gennaio 1918, in gioventù era stato un rivoluzionario,lottando contro la
monarchia di re Michele. Nominato nel 1965 segretario del PCR e nel 1967 presidente della
Romania, fin dall’inizio Ceauşescu, fu l'alleato più instabile e meno leale dell'Unione
Sovietica: mantenne i rapporti con Israele, condannò le invasioni sovietiche di
Cecoslovacchia ed Afghanistan pur senza mai far seguire nessun operazione di rottura con i
Sovietici, si ribellò al boicottaggio sovietico e inviò comunque una squadra alle Olimpiadi
di Los Angeles del 1984. Seguirono l’ammissione al Gatt, al FMI e alla Banca Mondiale,
rapporti commerciali con la CEE e gli Usa (Ippolito 2002). Ci sono pochi dubbi sul fatto
che durante i primi anni di governo Ceauşescu fu autenticamente popolare:incoraggiò il
disgelo culturale, portò generi alimentari e beni di consumo nei negozi,denunciò gli eccessi
della polizia di sicurezza. Ma Ceauşescu deve essere soprattutto ricordato come il grande
affamatore della Romania: nel tentativo di ripianare l'incredibile debito estero del Paese,
ammontante a oltre 21 miliardi di dollari, favorì le esportazioni della grande maggioranza
della produzione agricola ed industriale del Paese, creando così uno stato di povertà in tutta
la Romania, che si manifestava in una mancanza continua dei generi di prima necessità, del
cibo, della benzina, delle medicine, per il suo popolo. Ordinò ai suoi connazionali anche
quanti figli avrebbero dovuto avere, mentre l'aborto era un reato gravissimo punito con
l'imprigionamento, e impose persino la “legge sulla macchina da scrivere”che richiedeva la
registrazione di ogni macchina alla polizia. Pretese che fosse costruito una sorta di palazzo
imperiale, il "Palazzo del Popolo": per realizzarlo furono abbattute centinaia di abitazioni e
chiese di inestimabile valore nella città di Bucarest e furono impiegati più di ventimila
lavoratori per parecchi anni: interi quartieri scomparvero sotto le ruspe! Ceauşescu divenne
nello stesso tempo Segretario Generale del Partito , Presidente della Repubblica, Presidente
del Consiglio, e Responsabile del Consiglio Nazionale della Difesa sullo Sviluppo Socio-
Economico(Guida 2000). Il culto della sua persona fu, forse, il maggiore in tutto il mondo
comunista, preceduto solo da quello di Kim Il Sung in Corea del Nord.
3
La polizia segreta che controllava capillarmente la vita sociale, impedendo in tal modo la
nascita di movimenti organizzati contrari al regime. Un terzo della Securitate è poi passato
alla nuova struttura dei servizi segreti (Wagner 1991, p.71).
12
interne al paese, causando, alla fine degli anni Ottanta, un
vero e proprio esodo verso l’Ungheria (Biagini, Guida
1997).
Non sorprende, quindi, che quello romeno sia stato l’unico
regime comunista – dell’Europa centro-orientale - a cadere
in modo cruento con la rivoluzione del dicembre 1989
4
,
conclusasi con il processo sommario e la fucilazione di
Ceauşescu e di sua moglie Elena. In assenza di
un’opposizione organizzata
5
furono gli ex membri
dell’apparato di partito ed esponenti di secondo piano del
governo a prendere il controllo della situazione durante i
disordini del 1989 raggruppandosi nel Fronte di salvezza
nazionale (FSN)
6
, che stravinse le elezioni del 1990 e
4
Rivoluzione popolare o complotto sostenuto dall’esterno? Rivoluzione “tradita” o reale
democratizzazione del paese? Quale continuità esiste, se esiste, tra la Securitate e il
Servizio Romeno di Informazioni? In Romania, il dibattito sugli avvenimenti del dicembre
1989 rimane aperto e le diverse posizioni permangono del tutto divergenti, quando non
antitetiche. Questo, perché dalla lettura di quegli avvenimenti dipendono l’analisi
successiva sui difficili primi anni Novanta e la collocazione dei diversi soggetti nell’attuale
quadro politico, elementi che non favoriscono certamente una ricostruzione il più possibile
obiettiva. Per un quadro più preciso della situazione si vedano Il caso rumeno di
R.Wagner,ed.Manifestolibri 1991; Il ritorno degli ex: rapporto CESPI sull’Europa
Centrale ed Orientale, di F.Argentieri,Editori Riuniti,1996; Piaţa şi Democraţie di
S.Brucan,editura Stiinţifica 1990; Romania:the unfinished revolution di
S.D.Roper,harwood academic pub.2000; National ideology under socialism.Identity and
cultural politics in Ceauşescu’s Romania di K.Verdery,Berkeley un.,1991; Chirot D.,1999,
“WHat Happened in Eastern Europe in 1989?” in V.Tismaneanu(ed),1999, The revolutions
of 1989,Routledge,London. Sono inoltre degni di interesse, sia l’intervista a Petre Roman
su El Pais, 22 dicembre 1999 (“Los comunistas contaminaron la revolucion”) che il sito
http://www.ceausescu.org .
5
Uno dei maggiori paradossi della Rivoluzione del 1989 è stata proprio l’assenza di una
“base sociale”. In questa rivoluzione, infatti, non vi sono stati movimenti sociali attivi
portatori di progetti coerenti. E non perché la popolazione è stata fin troppo “assistita” per
ribellarsi. Al contrario, tutti gli individui e i movimenti sociali e politici che hanno lottato
contro la burocrazia e la dittatura (in nome del socialismo) venivano sistematicamente
repressi (sempre in nome del socialismo) (cfr. Samary 1999).
6
Non è chiaro quando il FSN,che spuntò all’improvviso per prendere il potere il 22
dicembre 1989,fosse stato organizzato. Si presume sia nato all’interno dell’edificio del
Comitato centrale il pomeriggio del 22 dicembre su iniziativa di un gruppo di persone
vicine a Ceauşescu, tra cui molte erano già d’accordo fra loro. Il Fronte “aveva bisogno di
rapide e libere elezioni per legittimarsi. Esse avrebbero dovuto arginare il vuoto di
autorità,senza lasciare ad altri gruppi politici il tempo di organizzarsi...La società rumena
era disgregata,i rivoltosi non avevano nessuna organizzazione,nessun programma,nessun
capo. Poterono così affermarsi politicamente i fautori di un colpo di stato, i cospiratori e i
membri dell’establishment” (Wagner R.,1991, pp.16-44).
13
impose il suo candidato, Ion Iliescu
7
, alla carica di
Presidente della Repubblica (Treptow 2001).
Diversamente dagli altri paesi del socialismo reale, dopo la
Rivoluzione il Partito comunista scomparve completamente
dalla scena politica
8
, anche se la precedente struttura di
potere e la sua élite politica ne uscirono inaspettatamente
come un elemento integrante del nuovo corso.
Alla generale conversione all’anticomunismo, riscontrabile
nei più diversi settori della società romena, seguì un ritorno
dell’ideologia nazionalista nello scontro politico
attualizzando, con particolare aggressività, i miti
ottocenteschi della “Grande Romania”.
7
Ion Iliescu, inizialmente sostenitore di Ceauşescu, diventa poi suo oppositore; si schiera
contro la rivoluzione ungherese del 1956 e partecipa alla repressione dei fermenti anche nel
proprio paese. Per divergenze con Ceauşescu viene esiliato nella contea di Timiş. Nel 1987
condanna la repressione dei moti di Braşov, ma si salva grazie alle protezioni di cui gode a
livello internazionale, in particolare nell’Urss e all’interno del Partito comunista (cfr. Chirot
D.,1999, “WHat Happened in Eastern Europe in 1989?” in V.Tismaneanu(ed),1999, The
revolutions of 1989,Routledge,London, pp.19-50).
8
In Romania, a differenza degli altri Paesi dell’Europa dell’Est, subito dopo la rivoluzione
il Partito comunista è scomparso completamente dalla scena. Basti ricordare che solo 25
funzionari comunisti sono stati incarcerati e l’ultimo di questi è stato rilasciato nel 1994.
Dopo la caduta del regime solo il ministro degli interni è stato condannato (all’ergastolo),
mentre nessun membro della Securitate finì in prigione. Non vi è mai stato alcun processo
per i reati commessi nel corso della rivoluzione durante la quale, è bene ricordarlo, persero
la vita circa mille persone.
14
2. Geografia fisica e struttura amministrativa
9
.
La Romania si situa nell’emisfero Nord del globo, nel
continente europeo; sul suo territorio si intersecano il
45esimo parallelo di latitudine Nord e il 25esimo meridiano
di longitudine Est. La sua posizione centrale rispetto alla
distanza tra l’Equatore e il Polo Nord la colloca in piena
zona temperata, mentre la sua posizione continentale in
rapporto all’estremità occidentale della penisola europea le
conferisce un clima continentale moderato (comparato con
quello della piattaforma russo-siberiana). Il territorio
romeno si estende, da Nord a Sud, tra 48°15’06’’ lat. N.
(Horodistea) e 43° 37’07’’ lat. N. (Zimnicea), per un totale
di 525 Km, e, da Ovest a Est, tra 20° 15’44’’ long. E. (Beba
Veche) e 29°41’24’’ long. E. (Sulina), per un totale di 740
Km. La sua superficie totale è di 238391 Km², cioè il 4,8%
del continente europeo: queste caratteristiche rendono la
Romania un’entità statale di media grandezza e il più
grande paese del Sud-Est europeo (Aur et al. 1997).
I confini attuali della Romania hanno una lunghezza totale
di 3185 km e sono suddivisi come segue: il 58,4% è
costituito da acqua corrente (a Nord, il Prut disegna la
frontiera con la Repubblica di Moldavia e parte di quella
con l’Ucraina; a Sud e ad Est, il Danubio traccia una parte
del confine con la Serbia e con la Bulgaria), il 32,6% è
costituito dalla frontiera terrestre convenzionale (a Nord e a
9
Il contenuto del presente paragrafo si basa sui seguenti volumi: Universitatea din
Bucureşti, Institutul de Geografie, Geografia României. I. Geografia Fizica, Ed. Academiei
Republici Socialiste Române, 1983; Academia Româna, Institutul de Geografie, România:
Atlas istorico-geografic, Ed. Academiei Române, Bucureşti, 1996, Rey V.,Groza
O.,Patroescu I., 2002, Atlasul României, Ed. RAO, Bucureşti.
15
Nord-Ovest, con l’Ucraina e l’Ungheria) e il 9% dalle acque
internazionali del Mar Nero. La regione della Romania
contiene i Carpazi, nel loro settore di massimo sviluppo, e il
bacino inferiore del Danubio, fino al suo Delta sulla costa
occidentale del Mar Nero: ciò permette di definirlo come un
paese carpatico-danubiano-pontico (AA.VV. 1996). La
catena sinuosa dei Carpazi, ostacolando la circolazione
delle masse d’aria, determina sul territorio romeno una
regione di interferenza delle influenze oceaniche
(occidentali), continentali (orientali) e mediterranee
(meridionali), con conseguenze nella distribuzione del
regime idrico e del manto vegetale. Il rilievo, infatti,
condiziona la diversità territoriale del paesaggio, tanto a
livello trasversale (disegnando unità fisico-geografiche
concentriche) quanto a livello verticale (stratificando il
clima in funzione dell’altitudine).
I Carpazi romeni, facenti parte del sistema orogenetico
alpino e formatesi nell’era geologica del Terziario, hanno
una superficie totale di 66303 km², con altezza media di
1000m (la vetta più alta, il monte Moldoveanu, raggiunge
2544 m). La loro lunghezza è di circa 1000 km; la larghezza
massima giunge fino a 160 km (tra Baia Mare e Cacica)
mentre quella minima è di 35 km (tra Nucsoara e la città di
Victoria) (Aur et al. 1997).
La stratificazione del clima in funzione del livello di
altitudine permette di identificare quattro tipi di ambienti
geografici: 1-Ambiente alpino e montano (Mediul alpin şi
montan); 2-Ambiente delle regioni collinari (Mediul
regiunilor dealuroase); 3-Ambiente delle pianure e degli
16
altipiani tabulari bassi (Mediul cimpiilor şi podisurilor
joase tabulare); 4-Ambiente delle lande e del Delta del
Danubio (Mediul luncilor şi a Deltei Dunarii) (Rey et al.
2002).
Il Danubio rappresenta la risorsa idrica più importante della
Romania, che ospita il 38 per cento dell’intero corso del
grande fiume. Il 98 per cento dei fiumi romeni appartiene al
bacino del Danubio: essi sono tutti suoi immissari ed il loro
tragitto, fino all’intersezione con il Danubio, segue le
direzioni Nord-Sud, Nord-Ovest o Sud-Est (Jiu, Olt, Argeş,
Siret, Prut). Solo la parte orientale della Dobrugia, la
Transilvania, il Maramureş e la Crişana sono percorse da
fiumi che non si immettono nel Danubio (ad eccezione
dell’Olt). La Dobrugia è attraversata da corsi d’acqua che si
dirigono direttamente verso il Mar Nero, gettandosi in
lagune ordinate lungo la costa, mentre i fiumi che toccano
le regioni nord-occidentali si dirigono ad Ovest, verso il
Tisa. I bacini fluviali vengono sfruttati per la produzione di
energia elettrica, attraverso la costruzione di dighe e di
centrali idro-elettriche. Ulteriori fonti di energia derivanti
da risorse naturali consistono nelle riserve del sottosuolo:
gas naturale, petrolio e carbone. Queste ricchezze minerarie
sono concentrate soprattutto nelle zone subcarpatiche, nelle
zone di pianura (come l’Altopiano Getico e l’Altopiano
della Transilvania) e nella piattaforma continentale del Mar
Nero. D’altra parte, le ricchezze metallifere (ferrose e non
ferrose, tra cui, oro, argento e rame) sono situate
principalmente nel gruppo settentrionale dei Carpazi
Orientali e nei Carpazi Occidentali. Infine, altre risorse del
17
sottosuolo di importanza nazionale sono le acque termali e
le sorgenti di acque minerali: conosciute e utilizzate
da secoli per le loro straordinarie qualità terapeutiche, esse
sono presenti in tutte le zone geografiche, ma, specialmente,
nello spazio montano e collinare (AA.VV. 1996).
Se si osserva la durata temporale dei confini della Romania,
l’arco dei Carpazi si rivela il principale spartiacque non
solo dal punto di vista geografico, bensì anche da quello
politico. Per oltre 400 anni la sua sezione più ampia costituì
la frontiera orientale dell’Impero austro-ungarico e di
conseguenza la divisione tra le forti influenze
dell’Occidente (Cristianesimo occidentale, Rinascimento,
Illuminismo, Rivoluzione Industriale) e la dominazione da
parte degli Imperi Bizantino prima e Ottomano poi.
I Carpazi, quindi, rappresentano una linea di divisione
storica non eguagliata in durata da nessuno dei confini
moderni della Romania (Jordan 1998).