Etica e politica nella durée di Bergson
Il mio interesse per la nutrita produzione filosofica di Henri Bergson nasce qualche anno fa, quando – anche in virtù della significativa mediazione offerta dal dibattito intorno alle Avanguardie artistiche del primo Novecento – la fama del pensatore transalpino torna ad essere vivida in Italia, affrancandosi così da un lunghissimo ed immeritato oblio (che, ormai, si protraeva da diversi decenni), a cui egli era stato, ingiustamente, condannato dagli opposti orientamenti (soprattutto neo-idealistici, positivistici e marxistici) della critica militante, dominanti in sede accademica sin dagli anni immediatamente successivi alla caduta del Fascismo e alla Liberazione.
Studiare a fondo il pensiero bergsoniano è attività, talora, improba, visto che Bergson, in virtù soprattutto della sua proverbiale curiositas intellettuale, ha avuto modo di scrivere – sempre con indubbia competenza – in riferimento sia ai più svariati ambiti disciplinari, sia alle tematiche che, di volta in volta, incontravano il consenso della pubblica opinione europea nel corso dei primi quarant’anni del XX secolo.
Le difficoltà, inoltre, aumentano sensibilmente se si tiene nel giusto conto che lo stile di scrittura di Bergson (unico filosofo in grado di ricevere il premio Nobel per la letteratura) si presenta, sovente, particolarmente fiorito e non raramente ricco di preziosismi letterari, che – se per un verso arricchiscono non poco il patrimonio estetico dei testi – per un altro ne rendono certamente più laborioso lo sforzo di comprensione ad opera della critica filosofica.
Comunque, le molteplici e differenziate riflessioni bergsoniane vantano – a mio avviso – un utilissimo punto di accumulazione: la nozione di durée.
Tale concetto rappresenta, infatti, il nucleo più autentico della teoresi bergsoniana, a partire dalla prima fondamentale opera, Il Saggio sui dati immediati della coscienza, fino all’ultimo capolavoro, in ordine cronologico, Le due Fonti della morale e della religione, passando attraverso il saggio forse più felice, Materia e Memoria, e l’opera sicuramente più nota al grande pubblico, L’evoluzione creatrice.
Lungo questo itinerario bergsoniano – che, evidentemente, coincide con la linea di sviluppo del presente lavoro di tesi – la nozione di durée si confronta, e felicemente si contamina, con le acquisizioni più recenti delle scienze sperimentali, secondo un modello interdisciplinare di ricerca filosofica, che si fonda su un non-irrilevante sincretismo culturale.
Giammai la speculazione di Henry Bergson si riduce, infatti, ad una mera filosofia del tempo.
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Informazioni tesi
Autore: | Rosario Pesce |
Tipo: | Tesi di Dottorato |
Dottorato in | Etica e filosofia politico-giuridica |
Anno: | 2004 |
Docente/Relatore: | Nicola Auciello |
Correlatore: | GabrielePerrotti |
Istituito da: | Università degli Studi di Salerno |
Dipartimento: | Filosofia |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 227 |
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