''Lascia ch'io pianga mia cruda sorte''. Storie personali di castrati illustri e recupero del patrimonio perduto della loro voce
Tra il XVII e il XVIII secolo si stima siano stati sottoposti all’evirazione, nella sola città di Napoli, a quel tempo fiorente culla del barocco, almeno 3000 bambini l’anno. Di questi, solo pochissimi divennero cantanti e quasi nessuno ebbe fortuna.
Questo fenomeno, barbaro e sublime insieme, ha diverse spiegazioni. Un decreto di papa Sisto V aveva interdetto alle donne di cantare durante le funzioni religiose, e né la voce dei falsettisti, troppo sgraziata e goffa, né quella troppo tenue delle piccole voci bianche, poteva essere all’altezza del compito. Si doveva cercare dunque un modo per unire i due tipi vocali, forgiando artificialmente una voce che fosse naturalmente comprensiva delle caratteristiche femminili e maschili e che in futuro si rivelerà adatta a cantare ogni genere di musica, da quella sacra a quella teatrale. La seconda spiegazione è proprio la nascita, in quegli anni, dello stile del «recitar cantando» che poi diventerà lo stile caratteristico del melodramma italiano. I soggetti prediletti di quegli anni sono le storie di eroi, di dei e di miti, e la voce fuori dal comune di queste creature ben si adattava all’aspettativa del pubblico, che viveva un’esperienza fuori dal reale e vedeva incarnarsi sul palcoscenico le antiche figure divine ed eroiche.
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Informazioni tesi
Autore: | Giulia Zennaro |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia |
Facoltà: | Tecniche Artistiche dello Spettacolo |
Corso: | Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo |
Relatore: | Francesco Cesari |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 83 |
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