2
CONSIDERAZIONI GENERALI SUL FENOMENO DEGLI EVIRATI
CANTORI
Tra il XVII e il XVIII secolo si stima siano stati sottoposti all’evirazione, nella sola città di
Napoli, a quel tempo fiorente culla del barocco, almeno 3000 bambini l’anno. Di questi, solo
pochissimi divennero cantanti e quasi nessuno ebbe fortuna.
Questo fenomeno, barbaro e sublime insieme, ha diverse spiegazioni. Un decreto di papa Sisto V
aveva interdetto alle donne di cantare durante le funzioni religiose, e nØ la voce dei falsettisti,
troppo sgraziata e goffa, nØ quella troppo tenue delle piccole voci bianche, poteva essere all’altezza
del compito. Si doveva cercare dunque un modo per unire i due tipi vocali, forgiando artificialmente
una voce che fosse naturalmente comprensiva delle caratteristiche femminili e maschili e che in
futuro si rivelerà adatta a cantare ogni genere di musica, da quella sacra a quella teatrale. La
seconda spiegazione è proprio la nascita, in quegli anni, dello stile del «recitar cantando» che poi
diventerà lo stile caratteristico del melodramma italiano. I soggetti prediletti di quegli anni sono le
storie di eroi, di dei e di miti, e la voce fuori dal comune di queste creature ben si adattava
all’aspettativa del pubblico, che viveva un’esperienza fuori dal reale e vedeva incarnarsi sul
palcoscenico le antiche figure divine ed eroiche.
Queste spiegazioni sono interessanti e poetiche forse, ma presentano una soluzione troppo facile
del problema. In realtà, la fama dei castrati era dovuta principalmente alla loro eccezionalità, e
questa era una caratteristica che avevano pochissimi; il resto dei cantanti evirati erano spesso derisi
e contestati, non certo considerati creature eteree e divine (soprattutto per la poca credibilità che
suscitava la loro voce soave accostata ai personaggi virili che spesso interpretavano).
La castrazione era nella maggior parte dei casi la soluzione estrema a cui le famiglie
sottoponevano i loro figli sperando in un successo che difficilmente sarebbe arrivato; ci sono giunte
testimonianze di bambini che, sotto pressione della famiglia, chiedevano espressamente di essere
castrati (sicuramente ignari di ciò che comportasse un’operazione simile e della sua irreversibilità),
o che erano convinti che la castrazione in tenera età fosse avvenuta per cause mediche.
Naturalmente un’operazione del genere, quando non portava alla morte, veniva vissuta come un
dramma per tutta la vita: l’impossibilità di crearsi una famiglia, l’emarginazione per la mutilazione
subita e l’amarezza per la mancanza di talento o per il rapido declino segnavano irreparabilmente la
psiche di questi ragazzi.
A questo proposito suonano come un triste monito le parole del saggista Giambattista Mancini,
evirato anch’egli, che scrive nel suo saggio sul canto:
3
[...] dovrebbe essere cura de’ parenti di assicurarsi con rigoroso esame, se dalla natura forniti sono di tutte le
necessarie qualità ricercate per il canto, per non mettergli al rischio di rendersi per sempre infelici.
1
Un altro aspetto ‘scomodo’ della questione è l’evirazione come status symbol: non tutti i ragazzini
venivano avviati a scuole di canto, alcuni erano venduti dalla famiglia a nobili che se ne servivano
come efebi per creare stupore alla vista di questi «femminielli», quando non per pratiche di natura
erotica e deviata. Comunque, anche quelli che rimanevano a studiare nei conservatori per poi
tentare la carriera di cantori erano esibiti e non lasciati esibire: la castrazione, nella sua crudezza e
disumanità, esercitava un’irresistibile attrazione sul pubblico e sull’immaginario della classe al
potere, che si ispirava a queste creature che incarnavano entrambi i sessi e insieme qualcosa d’altro,
di superiore all’umano e insieme di terribilmente semplice, destinato a non potersi integrare mai
nella società che li aveva esclusi ma che insieme li chiamava sul palco ad intrattenerli.
La questione dell’ambiguità sessuale è un altro aspetto di difficile trattazione, soprattutto quando
accostato ad un argomento già di per sØ non facile da affrontare come quello della castrazione dei
fanciulli. Loro malgrado, questi ragazzi diventavano simbolo e insieme spauracchio di un’epoca: la
loro esibizione come fenomeni bizzarri e straordinari aveva la duplice funzione di rappresentare le
voglie represse e insite nell’animo umano, voglie di libertà sessuale, di confusione di ruoli e
costumi e di ribaltamento dei valori, e insieme di mettere in guardia contro i rischi della disinvoltura
sessuale e del mestiere del teatrante, considerato (e lo rimarrà ancora per un secolo) rifugio della
peggiore umanità. I castrati, per la loro ambiguità, erano oggetto del desiderio sessuale sia degli
uomini che delle donne: paradossalmente, per impedire lo scandalo delle donne cantanti in chiesa,
ed evitare di suscitare così i desideri piø turpi, se ne erano creati di «molto piø colpevoli»
2
. Lo
sfruttamento della sessualità era incoraggiato anche dall’impossibilità dei castrati di riprodursi, e ciò
faceva di loro il desiderio proibito delle classi agiate (le uniche che potevano permettersi la
compagnia di un evirato cantore): una sessualità libera, completa e senza sensi di colpa o rischi, con
una creatura che incarnava i due sessi e nessuno insieme, un essere molto vicino alla concezione di
divinità.
Dal punto di vista maschile, assistere all’esibizione di un castrato significava due cose
essenzialmente: provare desiderio alla vista di un essere fortemente effeminato, quindi verso la sua
parte femminile, ed insieme stimolare la pulsione profonda verso il proprio stesso sesso. A ciò si
aggiunge il tema della castrazione, della privazione dell’organo riproduttivo, simbolo dell’essere
maschio: questo tema era vissuto con dolore dall’uomo, ma attraverso l’esibizione del cantante si
poteva arrivare ad un superamento del complesso di evirazione presente in ognuno, quasi che il
1
Giambattista Mancini, Riflessioni pratiche sul canto figurato, Galeazzi, Milano 1777, pp. 53-54
2
Giacomo Casanova, Storia della mia vita, Mondadori, Milano 1965, vol. II, pp. 974-975
4
castrato, come un agnello sacrificale, portasse su di sØ le colpe e le paure della classe che lo
applaudiva e che era responsabile e insieme partecipe della sua condizione. L’esibizione del castrato
sulla scena suscitava nell’animo dei suoi ascoltatori una sorta di catarsi.
L’ambiguità della figura dell’evirato è totale: investe il suo corpo come il suo spirito, la sua
identità, il suo posto effettivo nella società e il modo in cui gli altri lo vedono. Era nato per essere
un «mostro», nel senso di creatura mitica da portare come monito ed insieme come esempio:
l’ordine rovesciato, l’ambiguità disvelata, tutto nella sua figura era insieme infernale e angelico, e il
caos che l’aveva scaturito portava con sØ anche le menti del suo pubblico, che frastornato e insieme
irresistibilmente attratto, non poteva fare a meno di sentirsene affascinato.
Il fascino che gli evirati cantori esercitavano sulle donne (molti castrati ebbero storie d’amore
turbolente e spesso finite in tragedia, specie con donne sposate), probabilmente si spiega con il
principio che ciò che manca nell’altro spesso può essere proprio quello che attrae: le donne, nella
virilità spezzata degli evirati, percepivano un punto in comune con il loro essere ombre nella
società, vedevano i castrati come dei fratelli emarginati come loro e con delle qualità interiori
inesplorate che andavano al di là della forza bruta virile con cui i loro uomini le avevano relegate
negli ultimi gradini della scala del potere. I castrati erano spesso famosi e ricchissimi, ma pur
sempre diversi: la loro fama scemava con l’età e anche la loro considerazione, e se non erano
straordinari come Farinelli potevano non decollare mai e restare dei ‘mezzi uomini’ a vita,
sacrificati inutilmente e troppo in fretta da una società che chiedeva tutto e non restituiva nulla.
Lo ‘scacco matto’ che la Chiesa si diede da sola, tollerando o comunque non proibendo
fermamente il fenomeno della castrazione, fu che il cosiddetto vizio dell’omosessualità, invece di
dimunuire, aumentò e anzi trovò nuove strade per esprimersi. La repressione dei costumi, sessuali
soprattutto (perchØ il sesso è il primo impulso dell’uomo adulto, l’istinto piø irrefrenabile in
assoluto), portò a un incremento della pederastia: De Sade, non certo un bigotto, annotava che in
Italia c’era una forte propensione a «tradire il proprio sesso», che i due sessi si scambiavano gli abiti
e che i bambini erano oggetto di violenze sessuali
3
. Il punto di vista della Chiesa riguardo alla
castrazione era ambiguo: se da una parte condannava la pratica, che secondo le Sacre Scritture
impedisce l’accesso in Paradiso a chi ne è vittima, dall’altra nelle sue scuole venivano educati i
giovani cantori, i quali cantavano nelle sue chiese ed erano in contatto con membri dell’istituzione
clericale. La vera castrazione, secondo il papa, doveva avvenire nello spirito: il vero cristiano
doveva mettersi nelle condizioni di non desiderare dal punto di vista spirituale, prima che da quello
fisico, e condurre una vita di ascetismo e frugalità (cosa che non facevano invece nØ i castrati nØ gli
alti prelati della Chiesa). Altri vedevano la questione diversamente, e consideravano gli evirati
3
Donatien-Alphonse-François De Sade, Viaggio in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 1996, pp. 39-40
5
come «divini cantori», perchØ, non essendo nØ maschi nØ femmine, non avevano le brutture sessuali
dei due sessi (viene da sorridere pensando all’ingenuità di questo pensiero, come se bastasse
l’amputazione dell’organo sessuale per reprimere un istinto che nasce nella testa). L’ipocrisia dei
vertici ecclesiastici giungeva al punto di tollerare l’evirazione, purchØ servisse a ‘produrre’ cantori
per le cappelle, che intonassero per tutta la vita solo lodi a Dio; ma impediva a questi di calcare il
palcoscenico, luogo di perdizione e di contatto con le tentazioni della vita, cosa che invece accadeva
quasi regolarmente appena i ragazzi uscivano dalle scuole e cominciavano a girare per l’Italia e per
il mondo alla ricerca di un’occupazione.
Il fascino che i castrati esercitavano sull’aristocrazia, una volta affermatisi come cantanti d’opera
e non solo come cantori di inni sacri, era simbolo della forza di questa classe ma anche della sua
intima debolezza. Mascherarsi, travestirsi, darsi alle gioie della vita e ai bassi piaceri era il tentativo
di un gruppo di nobili di scongiurare la fine che avanzava imminente (già con la Rivoluzione
francese il fenomeno degli evirati cantori comincerà a subire un declino e darà spazio alla nascita
delle grandi voci ‘naturali’, in concomitanza con la fine del monopolio aristocratico e
l’affermazione della classe borghese). Rivivere il fasto dei miti antichi, degli eroi del passato, era
solo un goffo tentativo per non sparire nel nulla, per affermare la propria potenza di fronte ad un
mondo che stava radicalmente e irrimediabilmente cambiando. Il castrato rappresentava quello che
l’uomo aristocratico voleva essere, e insieme ciò di cui aveva piø paura: egli era necessario per il
lustro della nobiltà, intrinsecamente legato ad essa dopo essere stato ‘partorito’da un’altra classe in
declino, quella ecclesiastica, che l’aveva abbandonato una volta che egli aveva varcato le porte dei
teatri.
Il declino dei castrati comincia già verso la fine del Settecento, con l’affermarsi di un nuovo tipo
di melodramma e il cambiamento sociale che porta alla fine dell’aristocrazia come padrona della
società e vede l’affermazione della classe borghese. I nuovi ideali della borghesia che trovavano
una rappresentazione nell’opera erano i sentimenti delle persone comuni, il loro ambiente, erano
queste ormai le storie sentite piø vicine dai nuovi ascoltatori. Non ricercavano l’ampollosità o la
retorica delle opere ispirate alle antiche divinità, ma la semplicità e la forza dei sentimenti e della
vita. Il linguaggio viene rivoluzionato per essere piø vicino a quello comune, e la musica si
modifica per avvicinarsi alle emozioni e alle situazioni vissute dai personaggi, si riveste di passione
vera e non piø di solo virtuosismo e di versi troppo ampollosi, che non riuscivano piø a toccare
l’animo degli ascoltatori. Si prediligono i tempi lunghi, dilatati, diversamente dal periodo barocco in
cui la velocità e l’agilità erano il cuore dello spettacolo. I ruoli vocali si vanno via via delineando, e
successivamente non verranno piø interpretati indifferentemente da una donna o da un uomo; le
voci di contralto e soprano diventano caratteristiche delle sole donne, mentre prima erano proprie