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''Fare'' più che ''parlare'': il valore empatico della LIS

Nel primo capitolo ho riportato la definizione di sordità e di sordi e come questi sono stati considerati nel corso della storia. La Classificazione Internazionale delle Menomazioni, disabilità e handicap definisce la sordità come una disabilità invisibile, in quanto è riconoscibile solamente dal momento in cui si entra in relazione con un sordo. Nell’antichità si pensava che i sordi fossero anche muti poiché c’era la credenza sbagliata secondo cui, non essendo in grado di percepire le parole, non potessero neanche parlare. In realtà poi la Legge 95/2006 ha abolito il termine sordomuto sostituendolo con il termine sordo, indicando così l’individuo sensoriale dell’udito, al quale è compromesso l’apprendimento del linguaggio, ma non a causa dell’apparato fono-articolatorio, che invece è intatto. Proprio per questi motivi inizialmente i sordi erano esclusi dalle scuole, in quanto ritenuti ineducabili e fu solo a partire dal ‘500 che vennero considerati in ambito educativo.
Nel secondo capitolo ho analizzato i diversi metodi educativi-riabilitativi che vengono utilizzati con i sordi:
- metodo oralista è quello scelto maggiormente dai genitori udenti e consiste nell’insegnamento della lettura labiale e della modulazione della voce, spesso ricorrendo a protesi acustiche e IC, che sono strumenti tecnologici in grado di amplificare i suoni in entrata
- metodo manualista, che consiste nell’insegnamento del linguaggio dei segni ed è scelto soprattutto dai genitori sordi
- metodo bimodale consiste nell’insegnamento sia della parola vocale che di quella segnata e spesso è considerato il migliore dei metodi, anche se in realtà ogni individuo è a sé.
Nell’ultimo capitolo mi sono incentrata sulla LIS e su come questa possa essere considerata come una risorsa efficiente in educazione al fine di una reale inclusione.
La lingua dei segni è una vera e propria lingua attraverso cui i messaggi sono trasmessi con il movimento delle mani e del corpo e con le espressioni facciali. In realtà ogni Paese ne h una propria in quanto ad oggi purtroppo non siamo ancora giunti ad un’universalizzazione. Basti pensare che in Italia è stata riconosciuta solamente il 19 maggio scorso.
La LIS è composta da 5 parametri:
- configurazione delle mani (forma che assumono)
- orientamento del palmo delle mani9
- movimento, che comprende la direzione e il modo con cui viene eseguito il gesto
- luogo di esecuzione
- espressione del volto (movimento di labbra, occhi, sopracciglia, spalle).
La conoscenza della LIS è fondamentale perché permette di far apprendere e sviluppare l’interazione, che la Pedagogia dice essere alla base dell’integrazione, grazie anche all’empatia: il docente deve avere la capacità di uscire dal proprio sé per poter capire il sé dell’alunno. Ma nel caso di alunni sordi ciò non è quasi mai possibile: le lezioni sono infatti sempre frontali, anche se l’alunno sordo necessiterebbe di una posizione del banco che gli permette di guardare in faccia ogni persona che parli, non sempre sono presenti gli strumenti tecnologici, spesso i professori parlano velocemente non consentendo così una lettura labiale.
Inoltre il numero di insegnanti specializzati è molto ridotto rispetto al numero di alunni che ne necessiterebbero in quanto la Riforma Universitaria del 2002 ha introdotto l’insegnamento della LIS solamente nei corsi di laurea in Lingue, per cui insegnanti e educatori che potrebbero sfruttare questa lingua anche con alunni autistici, con ritardi cognitivi o con altre sindromi particolari non ne hanno la possibilità, se non pagando altri corsi.
Molti studi hanno infatti rilevato come l’insegnamento della LIS anche a bambini udenti potenzi alcune aree cognitive legate all’attenzione e alla memoria visiva e sia in grado di far sviluppare l’empatia, dato che questa lingua comporta il mantenimento del contatto visivo e l’attenzione alle espressioni del volto dell’interlocutore.
Studiando questo argomento ho poi pensato a come un’universalizzazione di una lingua dei segni insegnata a tutti sin dalla prima infanzia, porterebbe a una netta facilitazione delle interazioni anche fra persone di lingua diversa e quindi ad una reale inclusione, non sono scolastica ma anche sociale.
I segni infatti aiutano a sentir meno l’insoddisfazione che si prova di fronte alla capacità comunicativa e relazionale e quindi aiutano nell’accrescimento dell’autostima.

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1 Introduzione “Fare più che parlare: il valore empatico della LIS” riflette sulla tematica della Lingua dei Segni Italiana, tutt’oggi ancora troppo sconosciuta alla maggior parte delle persone. La tesi è composta da tre capitoli. Il primo, “La sordità”, ne affronta il concetto da un punto di vista clinico e poi storico, andando ad individuare il cambiamento avvenuto nel corso dei secoli nei confronti dei sordi. Essi erano infatti considerati come individui irrecuperabili, in quanto era diffusa l’idea per la quale i sordi erano portatori di un handicap non solo legato alla mancanza di udito, ma veniva anche associato ad un ritardo mentale. Solo dopo molti decenni si arrivò a comprendere che i sordi riportavano difficoltà nell’apprendimento, solo in quanto non udenti, e non per motivi cognitivi. Il secondo capitolo, intitolato “I metodi educativi e gli strumenti compensativi”, descrive i diversi approcci che vengono utilizzati con e per i sordi, al fine di orientarli nell’apprendimento della lingua, sia essa vocale, sia essa manuale, sia essa mista. “LIS e didattica inclusiva” è il terzo e ultimo capitolo, nel quale viene affrontato il tema della Lingua dei Segni Italiana e i suoi approcci nei diversi contesti della vita quotidiana. In tutti i capitoli si è cercato di fare una panoramica complessiva di come questa disabilità è stata considerata nel corso del tempo, fino ad arrivare alla realtà attuale. L’ipotesi di partenza è stata quella secondo cui la Lingua dei Segni non è ancora oggi utilizzata nei diversi contesti della vita di un sordo (scuola, lavoro, società) a causa di una mancata informazione e formazione generale. Ipotesi poi confermata nel corso della stesura della tesi dalla mancanza della letteratura a riguardo. L’interesse per la Lingua dei Segni Italiana è nato durante i viaggi in treno per raggiungere l’Università, durante i quali mi è capitato spesso di incontrare sordi che parlavano tra di loro utilizzando questa lingua, catturando la mia attenzione. Sapevo dell’esistenza di questi individui, ma mai prima di allora ne avevo avuto un contatto così diretto. Così mi sono iniziata ad interrogare sul motivo della loro invisibilità. Ho riflettuto sul fatto che, nel piccolo paese in cui vivo, non avevo mai incontrato un sordo, così come neanche a scuola; ma anche sul motivo per cui questa tematica non venga affrontata all’interno dei percorsi formativi.

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