L'euroscetticismo nel Regno Unito: il caso dello UK Independence Party
Le Elezioni Europee del 2004 hanno fatto registrare un elemento nuovo nella politica britannica: lo UK Independence Party (UKIP), partito single-issue che chiede il ritiro completo del Regno Unito dall’Unione Europea, ha conseguito una percentuale superiore al 16% dei voti, giungendo terzo davanti al Partito Liberaldemocratico e ottenendo 12 seggi nel Parlamento di Strasburgo.
Il presente lavoro, nato con l’obiettivo di analizzare il case study dell’UKIP, si compone di due parti.
La prima opera una breve ricognizione storica della travagliata relazione tra il Regno Unito e il processo d’integrazione europea: vero e proprio turning point, in questo senso, appare il discorso di Bruges di Margareth Thatcher. Quell’evento, infatti, pose solide basi per la nascita e lo sviluppo di un forte euroscetticismo di marca conservatrice, il quale fece propria una piattaforma – già delineata negli anni ’70 da Enoch Powell – di “free market nationalist right” e si collocò in netto contrasto con la politica del governo di John Major, responsabile della firma e della ratifica del Trattato di Maastricht.
Dette vicende resero possibile, nel 1993, la nascita dell’UKIP, fondato da Alan Sked, storico della London School of Economics. Il partito – del quale si occupa la seconda parte del lavoro –, all’inizio centrato esclusivamente sulla questione europea e caratterizzato da un’ostentata natura liberale e non-discriminatoria, ha visto progressivamente crescere i propri suffragi, fino a diventare la quarta forza della politica britannica.
Al tempo stesso, esso è andato però incontro a una graduale trasformazione, a causa della necessità di istituzionalizzarsi e inserirsi stabilmente nel sistema partitico del Regno Unito: di conseguenza, accanto alla questione dell’uscita dall’UE, la quale sovrasta e trascende tutte le altre, è stato elaborato un ampio ventaglio di policies, caratterizzato da un’impostazione che coniuga xenofobia, “liberismo” economico e conservatorismo sociale. Si tratta, insomma, di una piattaforma programmatica, compendiabile nell’idea-forza dell’“Independence”, che permette di collocare l’UKIP nel vasto filone dei partiti neo-populisti: a confermare questa ipotesi contribuisce anche il target elettorale del partito, composto soprattutto da pensionati, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori.
Dal punto di vista dei vincoli esterni, la cornice istituzionale e l’arena elettorale, poco favorevoli alle forze minori, costituiscono indubbiamente degli svantaggi: le elezioni europee, caratterizzate da una formula proporzionale, hanno dunque rappresentato un’occasione unica per emergere, determinando però forti squilibri in termini di dipendenza dalle risorse UE e di peso eccessivo assunto dagli europarlamentari in seno al partito. In ogni caso, gli estenuanti scontri interni all’UKIP – che hanno portato al suo abbandono da parte dello stesso Sked (1997) e ad altre due scissioni (2000 e 2005) – e gli scandali che hanno coinvolto alcuni dei suoi esponenti aggiungono ulteriori elementi di criticità, sollevando più di un dubbio sull’effettiva capacità del partito di conservare i propri consensi e, con essi, la propria presenza nella scena politica britannica.
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