I diritti regionali nei nuovi statuti delle regioni ordinarie e nella giurisprudenza costituzionale
Con il presente lavoro si intende affrontare il tema della presenza dei diritti regionali negli Statuti delle regioni ordinarie, approvati dopo il 2001 soffermando l’attenzione sulla posizione assunta dalla Corte Costituzionale. Si tratta di un argomento che è stato a lungo al centro di dibattiti della dottrina e soprattutto della giurisprudenza costituzionale con le note sentenze 372, 378 e 379 del 2004.
Gli Statuti approvati dalle regioni ordinarie dopo il 2001 si aprono con l’indicazione di principi, obiettivi e finalità che dovrebbero guidare l’azione di ogni regione, con qualche differenza di contenuto, ma anche di struttura: in particolare alcuni di essi contengono un Preambolo, come Marche, Emilia Romagna e Piemonte; mentre lo Statuto della Liguria si apre con una singolare premessa. Ciascuna di esse, indica, nei preamboli o nei primi capi, gli obiettivi e i valori principali cui ispirare la propria azione, come la pace ed il ripudio della guerra, la democrazia, il rispetto della dignità della persona umana e dei valori della comunità.
Partendo da una riflessione su tali principi, ad ogni modo, il punto centrale del presente lavoro, è rappresentato dalla questione relativa alla presenza nei nuovi Statuti della categoria dei diritti regionali. Gli Statuti, infatti, prevedono sia tipologie classiche di diritti fondamentali ( politici, sociali, civili), che “nuovi diritti”. All’interno di tale categoria troviamo espressi i diritti degli anziani, dei bambini, dei disabili; i diritti attinenti alla bioetica, alla pace, all’ambiente, alle generazioni future, al riconoscimento di altre forme di convivenza rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio ed, infine, quelli che prevedono il riconoscimento di una serie di diritti agli immigrati, fra cui, quello di voto e alcuni diritti sociali. La previsione di tali nuovi diritti ha catalizzato le tesi di coloro che erano a favore e di coloro che invece non lo erano in quanto non ritenevano le regioni legittimate a prevedere nei loro statuti diritti diversi da quelli previsti dalla Costituzione.
Su questo argomento, si è espressa anche la Corte Costituzionale con le sentenze nn. 372, 378 e 379 del 2004. Tali sentenze vennero emesse dalla Corte in riferimento ad alcune disposizioni dello Statuto della Toscana e dell’Umbria, in materia di riconoscimento di “forme di convivenza, altre, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio”, ed in riferimento a quelle disposizioni degli Statuti dell’Emilia Romagna e della Toscana, che si preoccupavano di promuovere il diritto di voto degli immigrati. Le citate disposizioni vennero impugnate sulla base di argomenti diversi, ma la Corte in ogni sentenza ha dichiarato “manifestatamente inammissibili” le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal governo in relazione alle sopracitate disposizioni statutarie poiché “il ruolo di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività attribuito a ciascuna regione, giustifica la presenza, accanto ai contenuti necessari degli Statuti, anche quella di altri possibili contenuti che si esprimono attraverso proclamazioni di finalità da perseguire”. La Corte ha tuttavia affermato che a queste enunciazioni, anche se inserite in un atto-fonte “non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente, sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello Statuto ed esplicano, una funzione di natura culturale, politica ma certo non normativa”. La decisione della Corte costituzionale è stata però oggetto di molte critiche.
Per concludere è stata effettuata una riflessione comparata tra l’esperienza statutaria spagnola, precisamente quella catalana, e l’esperienza italiana. Tra i due processi statutari è stata rilevata una notevole differenza: la previsione di un dettagliato catalogo di diritti nello Statuto catalano non ha suscitato le stesse difficoltà ed avversioni da parte della dottrina spagnola come in Italia. La dottrina ha risolto la questione riconducendo le disposizioni che contenevano quei diritti, nell’ambito del contenuto eventuale, non necessario, dello Statuto.
Lo Statuto catalano è considerato dalla maggior parte delle regioni italiane come una grande conquista di autonomia cui esse potrebbero ispirarsi. Possibilità, questa, che però esiste solo per le regioni a Statuto speciale il cui iter statutario non sia ancora concluso e per le quali è ammissibile prevedere diritti e principi nei propri statuti.
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Informazioni tesi
Autore: | Antonella Bangoni |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Cagliari |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Scienze giuridiche |
Relatore: | Giuliana Paganetto |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 24 |
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