Sulla via del silenzio - Mark Rothko e la cappella di Houston
Mark Rothko non cessò mai di precisare che la sua opera rifletteva un contenuto che andava molto al di là dell’ambito puramente formale e che in maniera più manifesta nella fase mitologica alludeva al paesaggio naturale in cui importanti eventi si verificavano: un ambiente tragico.
Ben presto però, l’artista chiarì che non poteva considerarsi assolutamente interessato ad una rappresentazione superficiale del mondo umano; le immagini ispirate alla tradizione mitologica riuscivano a stento a tradurre la profonda drammaticità degli eventi che egli intendeva rappresentare.
Quando abbandonò il mito, lo fece per compiere una rivelazione.
Se nei primi anni di attività egli fornì, soprattutto in la collaborazione con l’amico Adolph Gottlieb, numerose indicazioni sul contenuto della sua arte, in seguito cessò di esplicitarne il senso, cosicché esso potesse palesarsi autonomamente mediante la sola dialettica tra l’osservatore e l’opera stessa.
A partire dai cicli pittorici realizzati per particolari ambienti come quelli eseguiti per il Seagram Building e per l’università di Harvard, intervenne usando colori più scuri e abbassando la luce di cui essi erano intrisi.
La visione della realtà di Rothko divenne nel corso degli anni sempre più meditativa e spirituale, fino ad assumere nelle fasi finali un particolare carattere trascendentale: attraverso le tele scure, l’artista e l’osservatore potevano compiere un percorso o esercizio ascetico rappresentato dalla notte, in una prospettiva che rispecchiava la tradizione mistica occidentale; il nuovo linguaggio pittorico mostrava così di possedere considerevoli associazioni religiose.
Fin dalla produzione della fine degli anni Quaranta Rothko introdusse l’idea di trasformazione: in una prospettiva Cristiana le sue tele potevano ricordare il processo di creazione del mondo in cui emergeva un nuovo ordine, frutto della mistura degli elementi precedenti alla nascita del cosmo.
L’espediente della distruzione dell’immagine può essere compreso in questa chiave: l’impulso connesso alla creazione avrebbe contenuto una fortissima componente morale e ascetica, e si sarebbe manifestato mediante il processo di negazione; essa non è che il “rimpiazzo” della figura umana, il rigetto delle sue parti in favore della creazione di nuovi elementi. Questo tipo di operazione obbligava l’artista a porre lo sguardo su un mondo non meramente antropocentrico.
Nella produzione artistica ricorrono i riferimenti più o meno espliciti e diretti alla Cristianita, e con essi un tacito desiderio di redenzione.
Secondo alcune interpretazioni, Rothko in realtà avrebbe posto se stesso in una condizione che potrebbe essere chiamata di psicologica religiosità.
E ancora, secondo altre, la fonte della sua ispirazione pittorica forse poteva ritrovarsi nell' “umanità ebraica”, e l’ebraismo, rimasto per certi versi amorfo per più di duemila anni, avrebbe trovato in Rothko la sua espressione pittorica.
La pensosità poco serena dell'artista, l’intensità emotiva trasmessa dai campi di colore privi di una vera definizione formale e la capacità di commuovere perseguita costantemente dal maestro non possono essere dissociate dalle numerose circostanze della sostanziale infelicità della vita di Rothko, affranto da una malinconia perpetua. Per contro, associare alla sua infelicità a quella non meno evidente di una pittura sofferente non pare solo una forzatura letteraria, ma un vero e proprio eccesso d’interpretazione.
Il senso tragico di Rothko si manifestava attraverso il suo crescente pathos nella vita di ogni giorno, cosa che lo distanziava sempre più dall’ironia del mondo contemporaneo. L’avvicinamento al valore della pittura si traduceva nella marcia di avvicinamento a qualcosa di lancinante e insostenibile.
Nell’ultimo periodo di creazione artistica prima della morte il maestro dipinse le sue opere più luminose, che avrebbero potuto segnare una nuova fase straordinaria della sua carriera: dalla loro luce emergeva il senso di tutte le passioni passate, se non una promessa per il futuro che rimaneva profondamente viva. O ancora, potevano costituire l’immagine, la rappresentazione luminosa che qualcuno consegna ai nostri occhi dopo uno sguardo nell’abisso.
Purtroppo però la comprensione estetica della religione che queste opere finali suggeriscono non implica l’esperienza di redenzione, per la sola connessione con la rivelazione.
Quando Mark Rothko morì, decise che nessuno mai avrebbe risolto completamente l’enigma della sua personale meditazione; l’eloquenza dell’artista risiede tutta nelle sue tele, che costituiscono uno strumento importante per la comprensione del mistero sepolto nel cuore dell’umanità.
L’analisi del processo di ideazione del sistema architettonico della cappella di Houston costituisce un elemento di grande importanza per la comprensione della determinazione di Mark Rothko nella realizzazione di un suo progetto artistico, lungo una vita.
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Informazioni tesi
Autore: | Chiara Ferlinghetti |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | DAMS - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo |
Relatore: | Giorgio Verzotti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 161 |
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