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L'irto cammino della Bicamerale

Il ventennale dibattito sulla necessità di riforme prima istituzionali e poi costituzionali nel nostro Paese aveva trovato un serio sbocco nella formazione della terza commissione bicamerale, presieduta dall'on. Massimo D'Alema.
Frutto di una ampia convergenza tra le forze politiche presenti in Parlamento, la sua fortuna sembrava potere essere maggiore di quella della Commissione Bozzi e della più recente Commissione De Mita-Iotti, nonché di appositi comitati di studio come quello c.d.''Speroni'', costituito nel 1994 dal Governo Berlusconi.
L'esito è poi stato deludente, nel senso di rivelarsi infruttuoso, perché contrasti su delicati temi come quello inerente la ridefinizione della collocazione della Magistratura hanno condotto alla rottura che si è definitivamente consumata nel giugno-luglio 1998, quando il progetto elaborato in seconda lettura dalla Commissione era arrivato all'esame delle aule parlamentari.
In verità, al di là dei contrasti che hanno trovato più ampia risonanza nel dibattito mass-mediologico, al fondo dell'interruzione di quella che ad un certo punto era sembrata la ''volta buona'', vi sono state divergenze circa la lettura della crisi politica che attanaglia il nostro paese. In un certo senso, si potrebbe affermare che già di per sè l'interpretazione sposata da molti protagonisti della scena politica - quella secondo cui il mettere mano alla Carta fondamentale possa servire a rimettere l'Italia sui binari della post-modernità - appare un 'ambizione che poco è attenta alla profondità dei fenomeni che stanno caratterizzando questo cambio d'epoca, come la ben nota globalizzazione e i suoi portati in termini di ristrutturazione economica e le ricadute sulle forme associative tradizionali come quelle partitiche e sindacali.
Ma, anche volendo rimanere rinchiusi nel recinto di un'analisi costruita intorno a tratti ingegneristici, non può non sottolinearsi un difetto d'origine, un peccato che si è riverberato sulla qualità dei lavori: l'aver limitato la revisione della Costituzione alla sola seconda parte della stessa, quasi che il mettere mano alla forma di governo, il propendere per un assetto federale de paese non si riverberasse anche sui principi supremi del patto antifascista siglato nel biennio 1946-'47. Va allora affrontato con nettezza il nodo di un ripensamento (oppure no) dei valori allora messi per iscritto dai costituenti; se non che tale dibattito è inficiato alla radice da preconcette chiusure da un lato e da violenti e poco fedeli sotto un rispetto storiografico attacchi al valore della Resistenza antifascista, all'interno di un revisionismo che non ha presentato solamente tratti grossolani volti a rivalutare l'eredità che il ventennio ha lasciato al paese, ma anche indirizzati, sulla scia emotiva dei proclami secessionisti di Bossi, a ridiscutere il collante nazionale, invadendo, al meglio, il campo della ''patria'' e, al peggio, affrescando artatamente la penisola come il vestito d'Arlecchino, ossia come una realtà dalle irrisarcibili distanze tra Settentrione e Meridione, cui cinquant'anni di storia repubblicana non hanno posto il minimo rimedio. Ovviamente i fatti non sono questi: e proprio su tale piano deve subentrare la curiosità del lettore, che, come accennavo in precedenza, non deve dimenticare che sul tema delle riforme, la cui inattuazione lascia l'Italia ancora nel limbo della TRANSIZIONE, si è giocato uno scontro culturale profondo, che, lungi dal dividere nitidamente i poli, ha caratteristiche trasversali, che, forse, aiutano un poco a comprendere anche la natura della ardua ricomposizione di schieramenti stabili, privi di tentazioni trasformistiche.

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7 INTRODUZIONE Il 22 gennaio del 1997 la Camera dei Deputati, con 534 voti a favore e 70 contrari 1 , ha dato il definitivo via libera alla legge costituzionale per la «Istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali» 2 , oramai conosciuta più sinteticamente come “Bicamerale”. Tale decisione ha rappresentato un punto di svolta nel lungo processo costituente 3 in atto nel nostro Paese da più vent’anni. Siffatta discussione in realtà è stata sempre viva in Italia, poiché indirettamente partorita dal congelamento 4 della nostra carta fondamentale che, già nel 1953 (legge truffa) è stata sottoposta ad attacchi subdoli e continui, che una parte della popolazione ha vivacemente e con successo contrastato, continuando, allo stesso tempo, la lunga battaglia per il rispetto di tutte quelle disposizioni arbitrariamente inosservate, grazie anche alla compiacenza delle Alte Magistrature, che avevano escogitato la distinzione tra norme precettive (divise in precettive di applicazione immediata e precettive di applicazione differita) e norme programmatiche. Giunsero poi gli anni del disgelo costituzionale 5 , che hanno rappresentato il momento forse più alto di avvicinamento dei cittadini alla Costituzione, anche perché contrassegnati dalla creazione delle Regioni e dall’introduzione del referendum abrogativo. Subito dopo quegli entusiasmi, proprio mentre il compromesso storico tra le due grandi forze della penisola, DC e PCI, avrebbe costituito, secondo Moro, un momento di svolta nella nostra storia, perché avrebbe creato le premesse per un’alternanza al governo che l’Italia del dopoguerra ignorava persino potesse esistere, l’assassinio dello statista pugliese 6 - ennesimo episodio luttuoso degli anni di piombo e della strategia della tensione - rappresentò il momento di virata a destra della DC, ma, soprattutto, il pretesto per un accantonamento di ogni disegno di apertura democratica.

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