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Protezionismo: pro e contro


Anche i controlli sui movimenti di capitale sono una forma di protezionismo, perché si impedisce ai cittadini di acquistare investimenti esteri.
Il protezionismo risale agli albori delle relazioni economiche internazionali, ne abbiamo parlato con Smith, ancora prima ai tempi del mercantilismo. È una pratica molto antica (oggi la si vede con Trump, con la Cina).

Il protezionismo può essere commerciale o finanziario (controllo dei cambi), ma fondamentalmente il protezionismo riguarda lo scambio di beni reali, materie prime, prodotti agricoli e industriali.

Con protezionismo si intende l’insieme di politiche commerciali che il governo o una federazione di stati introduce per proteggersi e difendersi dalla concorrenza estera, quindi per discriminare il produttore straniero nel momento in cui esso vende nel paese che adotta il protezionismo.

Il protezionismo produce una serie di vincoli, effetti, ed è una pratica molto comune nella storia economica: casi di politica commerciale famosi come “Navigation Act” di Cromwell sostenuto da Smith nonostante fosse un liberista (per lui la difesa è più importante della ricchezza delle nazioni, allora è bene avere delle navi immediatamente disponibili in caso di attacco) quindi era sostenitore dell'atto di navigazione perché proteggeva gli armatori inglesi dalla concorrenza internazionale; o ancora casi come il Colbertismo; le corn-laws con Ricardo; i trattati anglo-francesi; la famosa tarifffa Smoot - Hawley del 1930 applicata dagli USA nonostante essi avessero surplus della bilancia commerciale, quindi avessero un avanzo dei propri conti con l'estero, avendo avuto la crisi del '29, per varie ragioni collegate alle lobby interne gli USA imposero un protezionismo feroce che scatenò rappresaglie, guerre commerciali, che furono all'origine della crisi economica degli anni Trenta.

Il protezionismo si adotta attraverso vari strumenti come il dazio: un’imposta che aumenta il prezzo (come tutte le imposte) dei beni stranieri nel momento in cui vengono venduti sui mercati internazionali; il dazio è una tassa, imposta che va a colpire il bene straniero nel momento in cui attraversa la frontiera per essere venduto sul mercato internazionale.

Gli effetti economici del dazio: immaginando un mercato (es. automobilistico) caratterizzato da un’offerta interna (produttori interni, nazionali) e da una domanda interna (consumatore che domanda automobili in funzione del loro prezzo):

• “punto g” → prezzo interno di equilibrio senza commercio internazionale (Pa=prezzo in autarchia); è una quantità di equilibrio di automobili che a quel prezzo i produttori riescono a vendere. Per quantità maggiori, il prezzo sarebbe maggiore di Pa e la domanda minore, quindi non siamo in condizioni di equilibrio.
• Immaginando che questo mercato si apra al commercio internazionale, agli scambi, si riducono le barriere, va via il regime che impedisce di commerciare con l’estero (es. caduta del fascismo).
• I consumatori verificheranno che esistono prezzi mondiali di questo bene, che sono significativamente più bassi rispetto al prezzo interno in situazione di autarchia. Allora si importano questi beni e il nuovo punto di equilibrio sarà il “punto e” dove la domanda interna incrocia il prezzo internazionale, che rappresenta in teoria l'offerta mondiale di questo bene in un determinato anno, a presto prezzo. Questa è l'offerta che per i nostri consumatori è infinitamente elastica (orizzontale), e significa che noi potremmo domandare questa quantità ma anche una quantità maggiore e il prezzo non cambierebbe, sarebbe sempre Pi che appunto non cambia in base alla quantità domandata. Il primo è il punto di equilibrio di autarchia, il secondo è il punto con commercio libero.
• Il consumo me lo danno in piccola parte, i piccoli produttori interni (più competitivi), questa piccola parte di domanda viene colmata dai produttori interni; in maggior parte invece il consumo proviene dai produttori mondiali: Qo1-Qd1 è la quantità di importazione senza dazio, a mercato libero.
• Immaginiamo ora che i produttori interni producono troppo poco e vendono troppo poco, cominciano a ricattare i governi (attività di lobbing) corrompendoli e chiedendogli di mettere un dazio sui produttori stranieri per discriminarli, colpendoli con un’imposta che riguarda loro (gli stranieri) quando vengono a vendere sui mercati dei piccoli produttori.
• Dunque, succede che il prezzo internazionale è sempre quello, ma sul mercato dei piccoli produttori aumenta poiché viene applicato il dazio.
• Il punto ci equilibrio in situazione di dazio è il “punto c”, quando la curva di domanda incrocia la curva che è rappresentata da prezzo internazionale + dazio.
• I consumatori, di conseguenza, riducono il consumo di quel bene (es.automobile) mentre prima consumavano OQd1 ora consumano OQd2
• Questa quantità dei consumatori viene rifornita, coperta in misura molto superiore rispetto a prima dai produttori interni (perché a questi prezzi sono più competitivi) e in misura minore rispetto a prima, le importazioni (e sarebbe la differenza tra domanda interna e produzione del bene). Questa è la quantità di importazioni con il dazio → Qo2-Qd2 (dal punto "a" al punto "c").
• Succede quindi che i produttori interni hanno un po' guadagnato, infatti il surplus del produttore (l'area che va tra curva di offerta interna e prezzo), prima era un triangolo piccolo (con il P. int) e ora è grande (con il P. daz). Chi chi ha perso è il consumatore, che prima consumava molto il bene e ora che costa di più perché è tassato, ne compra molto di meno.
• I produttori stranieri ci hanno perso, soffrono ma se l’Italia non è così importante a livello commerciale, a loro non pesa più di tanto. Essi guadagnano il rettangolo della quantità di beni che la nostra economia continua a importare moltiplicato per il prezzo (bxh) e lì i produttori stranieri continuano a ricevere il prezzo internazionale, non di più. La differenza la ottiene lo Stato, perché il dazio è una tassa che va dritta nelle case dello Stato; i consumatori italiani pagano per ogni bene un prezzo maggiore: una parte va al produttore e la differenza tra prezzo interno e prezzo internazionale che è "ab", moltiplicata per la quantità di bene che importo sono entrate fiscali.
• il produttore guadagna di più, lo stato ci guadagna, il resto sono perdite secche per l'intera società; il consumatore ci perde.

Questo sono gli effetti dei dazi, che sono espansivi sulla produzione interna, restrittivi sui consumatori, che li penalizza, positivi per lo Stato (a seconda di quello che ci fa).

Tratto da STORIA DELLA POLITICA ECONOMICA INTERNAZIONALE di Federica Palmigiano
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