Immobilizzazione chirurgica delle fratture
Oltre all’immobilizzazione incruenta possiamo avere anche un’immobilizzazione chirurgica quando l’apparecchio gessato non mi garantisce nel tempo il mantenimento della riduzione, allora dobbiamo ricorrere a qualcosa di tipo diverso come:
- Osteosintesi interna (il termine interno sta a significare che il mezzo di sintesi viene ad essere messo sotto la cute: se mi trovo di fronte ad una frattura e devo andarlo a stabilizzare con un mezzo di sintesi metallico o di altro tipo, il mezzo più semplice in assoluto è il filo di Staimanon o chiscner che se messo di traverso passando da una parte all’altra va a stabilizzare la frattura, non è una stabilizzazione entusiasmante infatti si può utilizzare per frammenti molto piccoli come le falangi delle dita; anche le viti messe in diagonale in maniera tale che attraversano da parte a parte la corticale di un frammento e la corticale di un altro, il problema di questi mezzi di sintesi è legato alla loro rimozione infatti esistono viti riassorbibili dal nostro organismo intorno ad un anno e mezzo, ne esistono due tip di dimensioni diverse a seconda del frammento da immobilizzare :viti da corticale con un passo più stretto e completo e viti da spugnosa con un passo più largo e più ridotto; inoltre la cambra, funziona come una graffetta, viene ad essere inserito da tutti e due i lati e blocca quindi il focolaio di frattura; vi è pure il cerchiaggio, è un filo metallico costituito da un ago oggi utilizzato quasi esclusivamente per le fratture di rotula. Oltre a questi mezzi di sintesi interna non estremamente stabili ne possiamo avere altri più stabili come per esempio le placche che esistono di diverse misure, vengono messe a ponte rispetto al focolaio di frattura, tutti i fori devono essere riempiti con viti per dare maggiore stabilità a meno che il foro non cada dentro il focolaio)
- Osteosintesi endomidollare (sfrutta un altro principio, la presenza a all’interno delle ossa lunghe del canale midollare al cui interno possiamo calare il nostro chiodo endomidollare e ottenere la stabilizzazione della frattura; teniamo presente che il nostro filo di chiscner se noi lo caliamo all’interno del canale midollare diventa un mezzo di osteosintesi endomidollare; possiamo anche avere chiodi di tipo diverso, il problema di questi chiodi calati all’interno del canale midollare è che bloccano i movimenti di flesso estensione ma non bloccano i movimenti di rotazione o quantomeno li bloccano poco, quindi si sono inventati i chiodi cosiddetti bloccati che vengono sempre ad essere calati all’interno, che presentano dei fori a livello dei quali vengono ad essere introdotti con dei sistemi particolari di guide delle viti che li bloccano anche da un punto di vista rotazionale, un esempio di chiodo bloccato è quello che viene introdotto chiuso ed è costituito da un sistema che ne consente di aprire l’ apertura a torre eiffel sotto
- Fissazione esterna (Il problema dell’osteosintesi interna ed endomidollare è quello della rimozione del mezzo una volta avvenuta la guarigione, per evitare la loro rimozione o per trattare soprattutto quelle che sono le fratture esposte quindi potenzialmente infette possiamo ricorrere, per evitare che utilizzando altri mezzi di sintesi come un chiodo, una vite o una placca che vanno a finire sul focolaio di frattura aumentando i germi venga favorita un’eventuale infezione, alla fissazione esterna, di cui ne esistono diversi tipi, che blocca la frattura a ponte, si mettono delle barre metalliche sopra e sotto la frattura, vengono fatte uscire dalla cute e bloccate da un corpo, in pratica ottengo dall’esterno il blocco della frattura senza avere messo alcun mezzo di sintesi sul focolaio di frattura che si trova a metà)
Protesi (In determinate situazione ci può essere l’evoluzione verso la necrosi asettica, perché la frattura ha interrotto l’unico vaso che serviva quella zona, ecco che allora dobbiamo ricorrere a qualcosa di diverso perché non possiamo sperare nella formazione del callo, si va quindi a fare una protesizzazione. Le protesi sono costituite da una componente femorale che va ad essere inserita nel canale midollare e sostituisce il collo e la testa, e poi ci stà o ci può stare eventualmente l’altra componete articolare con cui si interfaccia e cioè l’acetabolo chiamato in campo ortopedico cotile. Se sostituisco solo la testa del femore parlo di endoprotesi, come ad esempio nella frattura del collo del femore, se le sostituisco entrambe parlo di artroprotesi, come nel caso di una grave artrosi, ma ciò non toglie che in alcune fratture si fa anche l’artroprotesi. Esistono due tipi di protesi: protesi cementate,in cui all’interno del canale midollare si mette il cemento per bloccare il gambo, e protesi non cementate, che possono fruttare due diversi meccanismi, il meccanismo del pre-spit cioè vengono a essere messe di dimensioni poco maggiori rispetto a quella del canale in maniera tale che battute a pressione si espandono e si bloccano sulle pareti del canale midollare oppure con un meccanismo, detto ancoraggio biologico, costituito da una superficie rugosa che fa sanguinare all’interno il canale midollare, da questo sanguinamento si hanno i processi di callogenesi e si formano delle espansioni ossee che tendono a bloccare la protesi stessa).
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Dettagli appunto:
- Autore: Irene Mottareale
- Università: Università degli Studi di Palermo
- Facoltà: Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie
- Esame: Malattie dell'apparato locomotore
- Docente: Sanfilippo
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