Mazarino e la fronda nel 1600
Il successore di Richelieu, Giulio Mazarino non ne mutò le linee fondamentali di governo. Nel 1643 moriva Luigi XIII e ci fu così la reggenza della regina madre dell’infante Luigi XIV, Anna d’Austria.
Nei primi anni del governo di Mazarino ci furono successi decisivi sul fronte internazionale e nella guerra contro la Spagna ma anche momenti di crisi nell’ordine politico interno. A causa dell’aumentato fabbisogno finanziario Mazarino da un lato aveva esteso il ricorso alla venalità degli uffici, creando nuovi incarichi vendibili. Dall’altro tassava sino a un terzo il salario annuale dei funzionari pubblici. Così la nobiltà di toga si oppose al governo in quanto non condivideva la continuazione della guerra e il conseguente aumento delle spese militari e cercava di contrastare la formazione di un forte apparato centrale. Anche gli stessi funzionari e gli esercenti degli uffici venali si opposero a Mazarino. A interpretare l’opposizione furono i parlamenti; il parlamento di Parigi formulò nel 1648 un progetto di distribuzione dei carichi fiscali, di controllo della spesa pubblica e di soppressione degli intendenti. Mazarino fece allora arrestare alcuni parlamentari e fu il detonatore di una rivolta che si estese da Parigi, alle province, agli altri parlamenti. Il movimento fu chiamato fronda parlamentare. Se nel parlamento di Bordeaux emersero persino spinte radicali in senso repubblicano, negli altri parlamenti provinciali furono affermati il primato e le prerogative del ceto togato nel governo dello stato. Si ebbe anche una partecipazione popolare al movimento di rivolta. Il parlamento di Parigi, comprendendo che proprio sul fronte antifiscale era possibile una saldatura tra borghesia e popolo annunciò provvedimenti di riduzione delle imposte. Ma la rivolta non aveva spinte omogenee e la radicalizzazione della sommossa plebea non poteva essere sostenuta dai parlamentari parigini. Così nel 1649 il parlamento di Parigi raggiunse un accordo con la monarchia. Un’ altra fonte di conflitto era rappresentata dalla nobiltà di sangue e dal partito del suo leader, il principe di Condè Luigi di Borbone. Questa nobiltà non voleva accettare il progetto centralizzatore di Mazarino e si unì in un unico fronte con il popolo, con alcuni parlamentari radicali come quelli di Bordeaux e con l più antica aristocrazia francese. Il 1651 Mazarino andò in esilio. Si determinò la più grande paura di un vuoto politico. Ciò gli consentì di raccogliere forze militari comandate dal generale Turenne e di riunificare sotto la monarchia quei ceti che grazie al consolidamento monarchico avevano potuto accrescere le loro fortune. Nella battaglia di Parigi (1652) Turenne vinse il ribelle Condè. Mazarino e Luigi XIV ritornavano a Parigi. La vittoria di Mazarino fu la vittoria dell’amministrazione e dei suoi organismi esecutivi sulle resistenze degli stati (=ordini sociali).
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Autore:
Filippo Amelotti
[Visita la sua tesi: "Il Canada e la politica internazionale di peacekeeping"]
[Visita la sua tesi: "I cartoni animati satirici: il caso South Park"]
- Università: Università degli studi di Genova
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Storia moderna
- Docente: M. Bottaro Palumpo e R. Repetti
- Titolo del libro: Le vie della modernità
- Autore del libro: A. Musi
- Editore: Sansoni
- Anno pubblicazione: 2004
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