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Potere politico e calvinismo


Sviluppi diversi ebbe il rapporto che si stabilì tra potere politico e confessione calvinista avvenuta nella città di Ginevra che gia aveva conosciuto la predicazione di Zwigli. Le differenze impostazioni teologiche rispetto al pensiero luterano e le diverse condizioni storiche, politiche e sociali marcarono la peculiarità della soluzione calvinista al problema dell’unione tra religione e potere. Calvino, chiamato da Frel, il riformatore ginevrino che aveva raccolto l’insegnamento zwingliano, iniziava la propria attività di professore e predicatore in una città in cui cittadini commercianti e borghesi stavano decidendo l’autonomia politica dall’autorità temprale e spirituale del vescovo principe. Nel 1536 il consiglio generale della città, cioè il popolo sovrano aveva deliberato l’adesione alla confessione riformata. Calvino si trovava ad operare in un terreno fertile.
Sul piano teorico e dei principi la visione calvinista non differisce molto da quella luterana. Può essere interpretata in senso ancor più tradizionale: i sudditi devono obbedienza ai superiori, rispettarne le decisioni, sottomettersi al loro imperio anche in presenza di un potere che tenda alla tirannide la quale deve essere sopportata in quanto segno della volontà divina. Unica forma di resistenza ammessa è quella all’eventuale ordine contro le leggi di Dio. Ma sul piano dell’applicazione pratica di tali principi assunse aspetti più complessi. Calvino giunse all’applicazione di un sistema nel quale il potere politico era in posizione subordinata rispetto al potere della chiesa o dove si assisteva a una confusione tra i due. I pastori riconoscevano la competenza del governo civile su quello ecclesiastico ma il ruolo principale che al primo era assegnato risultava quello di far rispettare le regole istituite dal clero. Quindi il principio di comunità religiosa diventa prevalente sul principio di comunità politica.  
Dopo essere stato allontanato da Ginevra nel 1538 in seguito alla vittoria elettorale del gruppo conservatore, venne richiamato nella città nel 1541. il compito di riorganizzare la comunità cittadina che gli era stato affidato dal nuovo ceto dirigente fu svolto con impegno. Gli ordinamenti ecclesiastici di Ginevra costituiscono un documento di compromesso tra la cura del riformatore di edificare una comunità intrisa di puri principi evangelici e la preoccupazione della classe politica di non essere assorbita totalmente dal potere ecclesiale. Il conflitto durò una quindicina d’anni nei quali i consensi ottenuti dal riformatore prevalsero quasi sempre e sfociarono in un regime dominato dalla sua personalità. L’affermazione di tali principi avvicinano l’esperienza ginevrina al sistema di uno stato teocratico che realizza una vocazione divina sotto la sorveglianza di un clero che controlla. La repubblica dei santi calvinista è informata dal principio della intolleranza religiosa. Il calvinismo produsse nel tempo esisti diversi da quelli iniziali. Il principio dell’autogoverno dell’autorità ecclesiale condusse all’elaborazione di prassi tendenti alla democratizzazione della vita comunitaria, sociale e politica grazie anche ai congiunti interessi della borghesia che più di altri abbracciò tale confessione.
La diffusione del calvinismo nelle città forti nell’Europa centro-settentrionale diede vita a una cultura politica in cui divennero prevalenti i valori della tolleranza religiosa in virtù della peculiare composizione di interessi economici, sociali e politici .
Lo scisma protestante aveva diviso almeno in 2 parti anche l’Europa politica oltreché culturale e religiosa.

Tratto da LA NUOVA SPIRITUALITÀ DELL'ETÀ MODERNA di Filippo Amelotti
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