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Dal massacro degli armeni allo sterminio: i Giovani Turchi


Il processo di crescita esponenziale dei massacri è avviato. Per raggiungere l’obiettivo dello sterminio manca un’ideologia globalizzante che sostituisca il semplice concetto del dovere islamico. Manca l’intenzione di far scomparire una comunità. Manca il coordinamento delle operazioni a livello centrale che sino ad allora sono state invece affidate alle autorità locali. Manca l’organizzazione del massacro che è stato lasciato in balia della violenza collettiva del popolo. Mancano il pretesto e l’occasione per decidere di perpetrare il genocidio. I Giovani Turchi creeranno tutte queste condizioni.

A partire dal 1915, 3 mesi dopo la sconfitta contro i russi, vengono condotte operazioni nei riguardi della popolazione armena per garantire ciò che il governo di Istanbul definisce ristabilimento dell’ordine nella zona di guerra con misure militari rese necessarie dalla convivenza con il nemico.
Una delle particolarità del genocidio del 1915 è di essere perpetrato sotto gli occhi delle comunità internazionali: osservatori neutrali (americani, svizzeri, danesi e svedesi) o funzionari civili e militari tedeschi e austriaci in servizio in Turchia. Questi rapporti permettono alle associazioni umanitarie che prestano soccorso ai rifugiati sia alla stampa di far conoscere al mondo che non è in corso un solo trasferimento della popolazione ma un omicidio di massa esteso al paese intero. Questi documenti (testi diplomatici e testimonianze) per prima cosa ci insegnano che le autorità turche hanno preparato le grandi operazioni di deportazione. Infatti dopo un ordine del ministero dell’interno vennero arrestati il 24 aprile del 1915 tutti i notabili, gli intellettuali e i maggiori esponenti della comunità armena accusati di essere ostili allo stato e inclini al tradimento. Quindi una comunità senza protezione e privata della sua elites veniva disarmata e lasciata in balia di un potere che poteva ormai portare a termine il piano di deportazione della popolazione rimanente. Vennero separati uomini e donne e quindi dissolti e distrutti i legami familiari cioè la linfa vitale del popolo armeno.
La legge temporanea di deportazione servì a dare una parvenza di legalità a questa operazione. Con essa si autorizzano i comandanti dell’esercito alla deportazione. La legge autorizza anche la liquidazione dei beni dei singoli individui affidando ad alcun commissioni il compito di disporne la vendita. Le somme ottenute sono lasciate in deposito alle casse del ministero delle finanze a nome dei loro proprietari. Ma i proprietari non tornarono mai dal trasferimento. La deportazione equivale all’annientamento e si svolge in 2 fasi:
1. la deportazione vera e propria con i massacri che l’accompagnano
2. il successivo internamento dei superstiti nei campi di concentramento in Siria e Mesopotamia.

Tratto da IL SECOLO DEI GENOCIDI di Filippo Amelotti
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