Abdul Hamid: la cultura del disprezzo del miscredente
Rompendo con l’ottomanismo del Tanzimat, Abul-Hamid fece dell’islamismo l’ideologia ufficiale per rafforzare i legami tra il centro politico e l’oriente arabo e promuovere un sentimento unitario in un periodo in cui le sconfitte militari e la penetrazione economica degli europei causavano un sempre maggiore indebolimento della sovranità imperiale. Si affermava la supremazia musulmana nei territori dell’impero e la minoranza non musulmana non deve oltrepassare i limiti che le sono imposti dalla condizione di sudditanza. Veniva così legittimata la cultura per il disprezzo del Kaliv (miscredente). Ciò permetteva al potere centrale di accattivarsi il favore dei notabili locali contrari ai progetti dell’ottomanismo del periodo precedente. Infine si giunse ad attribuire funzioni militari e amministrative ai capi delle tribù curde incaricati di mantenere l’ordine ai confini orientali dell’impero. Questo contesto politico deteriorava sempre più le condizioni di vita degli armeni e rendeva possibile lì insorgere di una violenza di massa negli anni 90 del 800.
I massacri del 1894-96 sono compiuti perché l’intervento delle potenze firmatarie del trattato di Berlino si rivela un fallimento. La cooperazione degli stati europei sulla questione arena di imperialismo è paralizzata a causa della diffidenza e del sospetto che essi nutrono nei confronti dei rispettivi obiettivi politici e delle rivalità dovute ai loro enormi investimenti economici nell’impero. Nacquero allora i primi partiti politici armeni: il partito socialdemocratico e la federazione rivoluzionaria armena. Sono l’embrione di un sistema di autodifesa ma contribuiscono a far precipitare gli avvenimenti dato che i turchi cercano una giustificazione alla loro politica repressiva nei confronti dei traditori.
Il governo di Abdul-Hamid escogitò una soluzione modello: massacrare i contadini armeni della regione montuosa del Sasun nel 1894 che rifiutavano la duplice imposizione fiscale dello stato e dei feudatari curdi. Poi ci furono le stragi di Costantinopoli e Trebisonda. Queste azioni punitive provocarono un fenomeno di reazione a catena con centinaia di piccoli massacri locali in tutte le sei province orientali. Le atrocità si conclusero nel 1896: nella regione di Van 350 villaggi armeni spariscono dalle carte geografiche. Le chiese vengono distrutte e molte trasformate in moschee e migliaia di armeni sono costretti a convertirsi all’Islam.
Bisogna considerare 3 elementi:
1. il senso di impunità che alimenta la logica della violenza poiché la progressiva escalation dei massacri è la conseguenza dell’inerzia delle potenze di fronte alla strage del Sasun e ciò costituirebbe il fattore dominante della genesi di questa cultura omicida.
2. l’esasperare deliberatamente una situazione di crisi gia esistente: la provocazione scatena la resistenza armata da parte di una comunità esasperata fornendo così il pretesto per passare a un attacco ancora più violento.
3. la dinamica del ciclo dei massacri si regge della strumentalizzazione della religione: il governo ottomano descrive sempre gli armeni come i nemici dei musulmani accentuando le divisioni religiose rispetto ad altri gruppi etnici locali musulmani come i curdi o i circassi. La politica dei massacri diventa un legittimo dovere religioso.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Filippo Amelotti
[Visita la sua tesi: "Il Canada e la politica internazionale di peacekeeping"]
[Visita la sua tesi: "I cartoni animati satirici: il caso South Park"]
- Università: Università degli studi di Genova
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: E. Preda
- Titolo del libro: Il secolo dei genocidi
- Autore del libro: Bernard Bruneteau
- Editore: Il Mulino
- Anno pubblicazione: 2005
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