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Isole di patogenicità e potere patogeno dei batteri

Come sappiamo un batterio può essere definito patogeno, in prima approssimazione, quando esso si dimostra capace di invadere i tessuti di un organismo e di moltiplicarsi, danneggiando in modo più o meno grave il normale funzionamento dell'organismo ospite con la produzione di una o più sostanze tossiche specifiche. Tutte queste caratteristiche sono la diretta conseguenza di numerose peculiari proprietà come la capacità di colonizzare le mucose dell'organismo, la capacità di penetrare attraverso gli epiteli, la produzione di una serie di molecole in grado di modificare l'ambiente tissutale rendendolo favorevole allo sviluppo microbico, la possibilità di eludere il sistema immunitario etc. Queste diverse proprietà, variamente rappresentate nei diversi batteri patogeni, dipendono ovviamente dalla presenza nel genoma batterico, a livello cromosomico e/o plasmidico, di una serie di geni in grado di codificare la produzione delle relative molecole effettrici, presenza che contraddistingue i batteri patogeni e li differenzia dalla contropartita apatogena, talora nell'ambito della stessa specie. I geni che codificano questi effettori della patogenicità batterica, soprattutto se localizzati a livello cromosomico, sono fisicamente riuniti in precisi segmenti di DNA che formano, nel contesto del DNA genomico, delle vere e proprie “isole”, definite appunto “isole di patogenicità”, le quali rappresentano con ogni probabilità, segmenti di DNA acquisiti orizzontalmente. Quando si parla di tossigenicità batterica, tuttavia ci si riferisce correntemente alle cosiddette “tossine” batteri che in senso stretto: esotossine ed endotossine. Con il termine esotossine di definiscono i veleni batterici, di natura proteica, che vengono eliminati all'esterno della cellula batterica e che sono dotati di una specifica azione tossica legata ad una particolare attività enzimatica. Con il termine endotossina, invece, si indica la componente tossica legata a precise strutture del batterio e, precisamente, la porzione lipidica (il cosiddetto “lipide A”) del lipopolisaccaride (LPS) che costituisce lo strato periferico della membrana esterna dei batteri Gram-negativi (come nel caso di E.coli). Le esotossine, come abbiamo detto, sono di natura proteica e, quindi, sono degli ottimi antigeni, sono generalmente termolabili e vengono distrutte dai succhi gastrici. Alcune esotossine esplicano la loro azione tossica direttamente a livello della membrana della cellula bersaglio, interrompendo i legami intracellulari (tossina esfoliativa) o rompendo la struttura della stessa membrana (emolisine). Molte esotossine, però, svolgono la loro azione tossica solo dopo penetrazione nel citosol della cellula bersaglio. In questo caso la maggior parte delle esotossine presenta una struttura molecolare dimerica caratteristica, da cui deriva il nome di “tossine di tipo A-B”. Esse, infatti, sono formate da due distinti tipi di peptidi denominati rispettivamente, A e B, dei quali quello indicato con la lettera B (“binding”, legante) è la porzione dell'esotossina in grado di interagire con una molecola della superficie cellulare, utilizzata come recettore, causando la traslocazione all'interno della membrana citoplasmatica del componente A (“active”) che è il componente tossico vero e proprio, in genere per il possesso di una qualche attività enzimatica e in grado di provocare successivamente sulla membrana della vescicola endocitosica una serie di alterazioni che consentono la sua liberazione nel citosol. Una volta all'interno della cellula, i peptidi A provocano una serie di effetti tossici come l'inattivazione di alcune chinasi che intervengono nell'attivazione di precise cascate di segnali (tossina carbonchiosa). Altre esotossine agiscono impedendo il traffico intracellulare ed il normale funzionamento delle vescicole che contengono peculiari neurotrasmettitori (tossina tetanica, tossina botulinica); altre ancora devono la loro azione tossica alla capacità di bloccare l'apparato proteico-sintetico cellulare (tossina difterica). In tutti i casi, comunque, quale sia il sito di attività ed il meccanismo di azione, quasi sempre l'azione della tossina si traduce nella morte, per apoptosi o per necrosi, della cellula bersaglio. Come abbiamo già detto, invece, per endotossina si intende il lipopolisaccaride (LPS) che costituisce lo strato periferico della membrana esterna dei batteri Gram-negativi. La porzione glicolipidica dell'LPS, il cosiddetto lipide A rappresenta la porzione tossica del LPS, ovverosia la endotossina vera e propria, in grado di evocare una serie di complesse risposte biologiche da parte dell'organismo parassitato.  Al lipide A, è legata una complessa struttura polisaccaridica formata da una porzione prossimale o “core” praticamente identico in tutti i batteri Gram-negativi, cui, a sua volta, è ancorata la porzione polisaccaridica “specifica” formata da una lunga catena in cui si ripetono una serie di subunità formate da zuccheri diversi. Il meccanismo alla base dell'azione tossica dell'LPS è estremamente complesso ma, nella sua essenza, si può considerare il risultato della massiccia stimolazione di un certo numero di sensori, a loro volta in grado di coinvolgere diversi elementi cellulari in una serie di riposte che, fondamentalmente intese ad esplicare un'azione protettiva nei confronti della invasione da parte di batteri Gram-negativi, una volta raggiunto un particolare livello di intensità, possono risultare notevolmente dannose fino a coinvolgere diversi sistemi dell'organismo nella drammatica patologia del cosiddetto shock endotossico.

Tratto da BIOTECNOLOGIE MICROBICHE E AMBIENTALI di Domenico Azarnia Tehran
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