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IL DISCORSO FILOSOFICO DELLA DIAGNOSI


È scontato dire che la personalità ha una struttura ed essa ha a che fare con la tendenza da parte di individui a commettere certe azioni. Alcune di queste sono immorali come il provocare un danno al prossimo direttamente o indirettamente, altre invece provocano direttamente o no un danno alla persona stessa che le compie (autolesionismo). Infine azioni considerate contrarie alla pubblica morale e al comune senso del pudore (travestimento). Le persone che praticano in modo continuo e sistematico queste attività si possono considerare poco adattive e affette da un disturbo della personalità di una certa gravità.
Esistono però una serie di circostanze storiche, culturali e contestuali che riconoscono legittimazione morale alle persone che praticano condotte come quelle citate. L’intervento clinico, come le teorie bioetiche, prevede due principi generali: del permesso che impone al clinico di attivare un percorso terapeutico solo dopo aver ottenuto il consenso dell’interessato, e di beneficenza.
La psicodiagnosi è un campo di competenze che fornisce un giudizio sulle condotte umane in relazione a una distinzione semantica del tipo normale/patologico. Un crimine può essere punito se può essere in qualche modo essere reso intelligibile. La perdita di moral agency, la dichiarazione di malattia mentale a posteriori, dopo che il gesto folle è stato compiuto, salva le persone dalla pena detentiva (come nel caso di H. Corner). A dseguito della secolarizzazione del pensiero filosofico si riconosce che le forme del pensiero intorno alle condotte morali sono molteplici, contestuali e interne a comunità etiche differenti.

Tratto da LE RADICI CULTURALI DELLA DIAGNOSI di Carla Callioni
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