Appunti del corso "Rischio idrogeologico". Nel presente lavoro è illustrata la pericolosità di qualsiasi processo geologico o geografico-fisico legato all'idrogeologia e alle acque sotterranee. Infine, vengono descritti gli strumenti e le tecniche per ridurre al minino i rischi.
Rischio idrogeologico
di Marco Cavagnero
Appunti del corso "Rischio idrogeologico". Nel presente lavoro è illustrata la
pericolosità di qualsiasi processo geologico o geografico-fisico legato
all'idrogeologia e alle acque sotterranee. Infine, vengono descritti gli strumenti
e le tecniche per ridurre al minino i rischi.
Università: Università degli Studi di Torino
Facoltà: Scienze Ambientali
Esame: Rischio idrogeologico
Docente: Prof. Michele Motta1. Definizione di rischio idrogeologico
Rischio idrogeologico
Con il termine rischio idrogeologico si intende qualsiasi evento rischioso per l’uomo che attenga alla
idrogeologia e alle acque sotterranee.- Pericolosità: qualsiasi processo geologico o geografico-fisico che sia
fonte di potenziale interazione negativa con l’uomo (visione antropocentrica).- Magnitudo (entità): è il
tempo di ricorrenza (ogni quanto, in media, avviene il fenomeno), sono i fattori che definiscono la
pericolosità.- Vulnerabilità è l’attitudine dei beni umani ad essere distrutti e può essere espressa da 0 a 1.
Rischio = vulnerabilità x pericolosità. Rischio totale = valore economico x vulnerabilità x pericolosità quasi
sempre è solo teorico perché vanno considerati tutti gli aspetti.
Marco Cavagnero Sezione Appunti
Rischio idrogeologico 2. Definizione di idrogeologia
Acqua di pioggia che arriva sul terreno, impatta le foglie, in parte raggiunge il suolo dove può avere due
sorti: infiltrarsi o accumularsi in superficie e generare ruscellamento. Una parte dell’acqua viene persa per
evaporazione, una parte di quella che si infiltra ristagna nel suolo, scende più in basso e va ad alimentare le
falde sotterranee. Nella foresta pluviale l’acqua che si infiltra è scarsa perché c’è un tappeto di biomassa che
ha un effetto spugna. In ambiente alpino l’apporto alle folde sarà modesto perché l’acqua non ristagna, cosa
che invece succede in pianura e va ad alimentare le falde.
In ambienti carsici, quando piove, si ha diffusa infiltrazione superficiale, ma l’acqua non va direttamente nel
sottosuolo (zona epicarsica carsismo superficiale). Anche nelle zone non corsiche l’infiltrazione è molto
semplice, ma poi l’acqua incontra strati argillosi e ristagna.
La parte superficiale del carso profondo prende il nome di zona vadosa, dove l’acqua si trova alla pressione
atmosferica, quindi è sempre a contatto con l’aria e questo fa sì che sia diretta verso il basso guidata dalla
forza di gravità. La forma tipica della zona vadosa è il pozzo. Quando c’è qualcosa che impedisce la discesa
dell’acqua, questa ristagna e riempie tutti i vuoti (condizioni idrostatiche più vado in basso e più aumenta la
pressione), ci troviamo nella zona freatica.
Lo spostamento dell’acqua avviene per il principio dei vasi comunicanti, quindi conta a che altezza ho il
punto di sbocco. Questa distinzione tra zona vadosa e freatica vale per qualsiasi tipo di substrato e falda.
Rocce serbatoio: possono contenere una certa quantità d’acqua, che costituisce la riserva permanente
(risorsa non rinnovabile).
L’uomo utilizza l’acqua che viene portata al sistema per infiltrazione e che si rinnova di anno in anno
(riserva naturale).
L’acquifero funzionalmente coincide con la zona freatica perché è l’unica dove si può avere una sensibile
quantità d’acqua; prendere acqua dalla zona vadosa è impossibile in quanto non c’è abbastanza pressione.
Queste risorse possono essere danneggiate dall’inquinamento naturle o antropico.
Nella pianura padana 1/3 delle riserve naturali sono estratte dell’uomo.
Aquifero ideale: zona di alimentazione in cui l’acqua può raggiungere senza ostacoli l’acquifero, però non
tutta la zona è adatta all’infiltrazione dell’acqua (zona di infiltrazione). L’acquifero poi viene raggiunto e
l’acqua arriva alla zona di deflusso (dove scorre per la pendenza), dove sopra c’è un tetto impermeabile. La
zona di sbocco coincide con un’apertura del tetto impermeabile. Siccome la zona di sbocco è più bassa della
zona di infiltrazione, per il principio dei vasi comunicanti, l’acqua esce. Se non ci fosse la zona di deflusso
l’acqua uscirebbe a livello della “sorgente di troppo pieno”.
Durante le piene può succedere che l’acqua esce dalla zona di sbocco a pressioni sempre più elevate, fino a
quando esce prima della zona impermeabile; questo capita raramente perché l’acqua impiega molto tempo a
percorrere l’acquifero e man mano la piena diminuisce, cosa che, invece, accade spesso in zone carsiche.
Sorgente di depressione: è più bassa del livello dell’acquifero ed esce un pò d’acqua.
La variante principale è che posso avere una falda che non ha un tetto impermeabile: in questi casi
l’acquifero si riempie finchè l’acqua non raggiunge il livello topografico (falda libera).
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Rischio idrogeologico Le falde più superficiali sono libere e non interessano molto l’uomo perché è facile che siano inquinate.
Possiamo avere situazioni in cui c’è una roccia poco permeabile: in queste situazioni la falda viene detta
semilibera (tetto semipermeabile) e l’acqua trasuda in piccole quantità (falda semiartesiana).
Falda artesiana: l’acqua che fuoriesce dallo sbocco dovrebbe arrivare fino all’altezza della zona di deflusso
(tetto completamente impermeabile), ma in realtà non zampilla mai dalla quota di partenza perché ci sono
perdite di pressione.
L’acqua nel terreno può avere tre posizioni possibili:
acqua igroscopica aderente direttamente ai granuli per tensione superficiale e, in certi casi, può entrare nel
reticolo cristallino (la posso estrarre solo tramite evaporazione o centrifugazione);
frangia capillare per tensione superficiale può essere presente in tubi capillari che possono essere isolati
(non possono essere estratti) oppure sono collegati con la falda sottostante e l’acqua risale per capillarità; le
acque di ritenzione non danno un contributo all’estrazione;
acqua gravitativa si sposta per gravità e per il principio dei vasi comunicanti, è quella che viene estratta.
Porosità: quantità di cavità presenti nella roccia, però non mi dice quanta acqua posso estrarre; per esempio,
le argille hanno elevata porosità, ma non riesco ad estrarre niente.
A noi interessa la porosità efficace, ovvero la frazione di pori aventi le dimensioni tali da contenere acqua
gravitativa. Aumentando la granulometria diminuisce la porosità, ma aumenta la porosità efficace; l’ideale
sono le sabbie grossolane dove c’è il miglior rapporto tra le due grandezze.
Il tufo ha le caratteristiche simili di un sedimento sciolto.
In una roccia ignea la porosità efficace è praticamente nulla perché al suo interno posso avere delle fratture,
che però non comunicano con l’esterno oppure può essere alterata superficialmente (ci sono falde libere
superficiali).
In rocce sedimentarie troviamo principalmente falde superficiali.
In rocce sedimentarie o metamorfiche, dove possono esserci dei vuoti che non sono casuali, ma legati al
piegamento e quindi comunicanti, ci sono falde profonde, che rappresentano la situazione ideale per l’uomo
(acque minerali).
Le rocce vulcaniche (basalti), raffreddandosi, tendono ad avere tante fessure comunicanti e sono ricchissime
di acque sotterranee, che sono meno filtrate rispetto alle metamorfiche.
Marco Cavagnero Sezione Appunti
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