Impossibilità di chiedere e intervento terapeutico
Impossibilità di chiedere e intervento terapeutico
Non è sufficiente la somiglianza e, nello stesso tempo, la complementarietà del bisogno: perché esso si esprima è necessario chiedere, ma è proprio questo che nessuna delle persone coinvolte riesce a fare.
Gli stessi elementi che rappresentano un motivo di incomunicabilità e di distanza tra le persone (es. impossibilità di avere un rapporto affettivo col padre)costituiscono contemporaneamente un forte motivo di unione, per l’identificazione che ne consegue. Padri e figli condividono uno stesso destino amaro e sono alla ricerca del medesimo ideale: nessun altro riesce a capirsi, paradossalmente, come si capiscono loro. Per le persone coinvolte, pertanto, riparare o colmare la propria mancanza diventa riparare la mancanza o il bisogno dell’altro e quindi potersi prospettare un destino diverso.
Nonostante l’esistenza di tutti questi aspetti condivisi, le persone coinvolte insistono nel cogliere e nel riferire gli elementi di distanza e di separazione: quanto più si sottolineano le differenze, senza prima aver preso coscienza delle somiglianze, tanto più ci si allontana dalla soluzione del dilemma.
Il terapeuta è la persona che può chiedere e chiede che vengano affrontati certi rischi e che vengano portate in terapia quelle persone con le quali un confronto è più utile in quanto più temuto; è colui che unisce per separare.
Si pensa spesso erroneamente che dare la possibilità a un figlio di esprimere liberamente il proprio risentimento nascosto nei confronti di un genitore, dopo che lo aveva mascherato per anni, possa servire a modificare il rapporto, poiché per la prima volta il padre o la madre avrebbero la possibilità di “vedere come stanno realmente le cose”. Ma questo è solo un aspetto del desiderio del paziente: quello di far capire che è diverso e pertanto autonomo. E’ probabile però che la sua aspettativa principale sia quella di cercare, con l’ausilio del terapeuta, prima di tutto una riparazione della relazione; di essere aiutato cioè a ristabilire un rapporto di accettazione con il genitore. Ciò può essere ottenuto non in quanto vengono agiti rancori o incomprensioni, ma nella misura in cui il paziente viene posto oggi, nella sua dimensione attuale, in condizione di vivere il proprio rapporto con i genitori e di modificarlo. “La possibilità di riequilibrare le dinamiche intergenerazionali è la conditio sine qua non della maturità psicologica e dell’autonomia e autorità personale.” Se il rancore può essere la forma attraverso la quale il rapporto può manifestarsi, bisogna che ne venga svelato il contenuto di ambivalenza: aggressività per il mancato soddisfacimento dei propri bisogni; richiesta di un loro riconoscimento (anche se tardivo) e della creazione di una nuova relazione. Parlare con i genitori, da adulto, di fatti e relazioni del passato può servire a togliere a tali fatti e relazioni l’alone drammatico con cui erano stati vissuti e a ridurre la distanza emotiva che ne era conseguita.
Riparare il rapporto con la famiglia d’origine significa quindi portare alla luce gli elementi sottostanti alla delega, sui quali sono andati costruendosi nel tempo gli attributi funzionali di ciascuno, svelando le affinità che sono alla base del legame: non si può separare se prima non viene individuato il filo che unisce.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Antonino Cascione
[Visita la sua tesi: "''In Treatment''. Analisi di una fiction sulla psicoterapia psicoanalitica."]
[Visita la sua tesi: "Intercultura nella Scuola dell'Infanzia: il Punto di Vista dei Genitori."]
- Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia
- Titolo del libro: Tempo e Mito in Psicoterapia Familiare
- Autore del libro: Andolfi
- Editore: Bollati - Boringhieri
- Anno pubblicazione: 1987
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