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Laing


Citazioni:
“Le parole del attuale vocabolario tecnico si riferiscono o all’uomo isolato dall’altro e dal mondo, cioè come entità che non è essenzialmente ‘in relazione a’ l’altro e nel mondo, oppure si riferiscono ad aspetti falsamente sostanzializzati dell’entità isolata. Queste parole sono: mente e corpo, psiche e soma, psicologico e fisico, personalità, sé, l’organismo. Tutti questi termini sono abstracta … Come facciamo a parlare in modo adeguato della relazione tra me e te nei termini dell’interazione di un apparato mentale con un altro?”.

“Il pilota perfettamente adattato di un aereo bombardiere costituisce una minaccia molto più seria alla sopravvivenza della specie di uno schizofrenico ospedalizzato che ha l’idea delirante di avere una bomba dentro di sé.”

Laing era uno psichiatra scozzese e si è occupato dei pazienti gravi ricoverati in manicomio. Andò poi a Londra dove fece il training di psicoanalista con gli indipendenti. Durante gli anni '60 divenne una figura nota negli ambienti degli studenti nelle contestazioni del '68. Con la fine della sua vita fu sempre più preso dall’investimento narcisistico della sua personalità come eroe del 68, e quindi scrisse anche cose controverse. Ha formato le prime comunità per pazienti gravi, in cui i terapeuti convivevano con i pazienti stessi.

Background teorico: il suo libro meno estremo è “Io diviso”. Nelle sue teorie fa riferimento agli indipendenti (Fairbairn e Winnicott), a Sullivan, alla fenomenologia di Jaspers, a Buber, a Tillich, e a Sartre.
Laing scrive, riferito a Winnicott: «Lo psicoanalista Winnicott recentemente ha posto questo problema: ognuno di noi guarda nello specchio per vedere se stesso. Che cosa precede lo specchio? Egli suggerisce che ciò che precede lo specchio è il volto della madre di colui che si guarda. Così se nello specchio c’è il volto di mia madre, quando io guardo il volto di mia madre vedo me stesso (Winnicott: ciò che il bambino guarda nell’osservare il volto materno è correlato a ciò che il bambino è). Che cos’altro posso vedere? E tutto va bene finché mia madre nel guardarmi vede proprio me. Ora, se nel guardarmi vede se stessa, cioè vede me come un riflesso di se stessa, e nel far questo non sa di farlo e crede di vedere me, da questa profonda spirale di malintesi posso io ritrovare me stesso di nuovo?».

Laing quindi, come Winnicott e Sullivan, crede che vi possono essere delle distorsioni del sé dovute a un rispecchiamento incongruo da parte delle figure genitoriali.

Laing è stato uno degli esponenti principale dell’antipischiatria (anche se lui rifiutava questo nome), corrente che criticava i trattamenti psichiatrici, gli obiettivi della psichiatria, la definizione di malattia mentale, la distinzione tra malattia mentale e sanità, il mandato sociale autoritario di esercitare una funzione di controllo sulla devianza (cioè vedere gli psichiatri come qualcuno che la società ha designato per controllare tutto ciò che è anormale), il modello medico della psichiatria (cioè la medicalizzazione delle teorie psichiatriche), e arrivò fino all’idealizzazione del malato mentale in contrapposizione a coloro che sono “adattati” alla società. Tant’è che Laing cominciò a vedere la schizofrenia come viaggio (in analogia con i viaggi con l’LSD e altri allucinogeni) che un ex schizofrenico dovrebbe incitare un altro schizofrenico ad intraprendere. In questo, pur ispirandosi a Sullivan, gli si contrappone radicalmente, dal momento che è contrario all’adattamento del singolo alla realtà. La società non fa altro che etichettare un individuo come malato mentale non appena viola le norme sociali --> Laing dunque aderisce alla teoria dell’etichettamento, per cui la società etichetta un individuo come malato mentale appena viola le norme sociali.

È possibile distinguere i malati dai sani? Inattendibilità delle diagnosi psichiatriche --> Roshenan era uno psicologo che voleva verificare quanto le diagnosi psichiatriche fossero attendibili e valide. Dunque all’inizio degli anni 70 fa internare 8 suoi collaboratori in 12 ospedali diversi, che riportano di sentire delle voci. Una volta ammessi non simulano più alcun sintomo e riferiscono storie infantili e familiari vere (sia positive che negative). Tutti, eccetto uno, ebbero una diagnosi di schizofrenia, e quando furono dimessi ebbero la diagnosi di “schizofrenia in remissione” (passando dai 7 ai 52 giorni in manicomio con una media di 19 giorni). Ogni loro comportamento veniva interpretato come psicotico, mentre invece i pazienti capirono subito che non erano malati (dicevano: “non sei matto, sei un giornalista”). Un secondo esperimento consistette nel chiamare diversi ospedali psichiatrici, dicendo “vi manderemo diversi pazienti. Vogliamo vedere se il vostro personale è in grado di riconoscere i falsi pazienti da quelli veri.” Tuttavia non fu mandato nessun falso paziente. Accadde che su 193 pazienti ammessi, il personale dichiarò di aver trovato 41 impostori e 42 pazienti sospetti (anche se nessuno lo era). Ciò dice che la diagnosi psichiatrica, non vertendo su segni oggettivi, ma essenzialmente su racconti dei pazienti in termini di sintomi (a differenza delle altre discipline mediche, in cui non si hanno solo sintomi ma anche segni), non è oggettiva.
 
Bisogna però considerare i 2 eccessi, 2 estremi nel rapporto con il malato:
• identificazione eccessiva del malato con la malattia, al punto di pensare che ogni suo comportamento, ogni sua verbalizzazione non abbia alcun senso e il trattamento debba esclusivamente rivolgersi al trattamento medico. Nessuno oggi può credere che fornire farmaci a pazienti psicotici sia un errore, perché sono pazienti che soffrono e servono quindi ad allieviare di molto la sofferenza, ma questo non vuol dire che un paziente schizofrenico sia riducibile alla malattia della schizofrenia;
• l’identificazione sentimentale con la sofferenza del paziente

Laing ha attraversato 3 stadi nel suo pensiero:

Primi scritti: la follia dello psicotico è considerata come una risposta intellegibile, conseguente a determinate pressioni evolutive e ambientali (non molto diverso da Sullivan in questo, la società è la famiglia repressiva) che sono causa di disagio e che “fanno impazzire” il malato.

Periodo intermedio: le pressioni che fanno impazzire diventano la vera pazzia e la risposta dello psicotico diventa quasi “normale”

Ultimi scritti: la follia dello psicotico diventa la vera salute mentale, dalla quale la maggior parte delle persone si è allontanata, a favore di quella unidimensionalità dell’iperadattamento sociale

Come Sullivan, Laing predica che le condizioni psicopatologiche e quindi tutti i sintomi presentati da pazienti gravi sono comprensibili, e che bisogna stabilire una relazione con il paziente-persona e non con il paziente-cosa da rinchiudere in manicomio. Secondo Laing, è necessario considerare le interrelazioni sociali e gli scambi interpersonali che caratterizzano la storia evolutiva della persona. Altrimenti si spersonalizza il paziente estrapolandolo dal suo contesto ambientale e sociale e dalla relazione con il terapeuta. Sta riecheggiando Sullivan che dice: noi possiamo conoscere l’essere umano solo osservandolo, relazionandoci con il paziente nel suo complesso familiare.

Inoltre Sullivan critica:
• ogni forma di disumanizzazione del paziente (Laing era anche contro l’uso di farmaci)
• il cosiddetto vocabolario della denigrazione, che concettualizza la psicosi come fallimento di un adattamento sociale o biologico, la mancanza di un adattamento radicale, la perdita di contatto con la realtà e la mancanza di insight --> lui sostiene che coloro che vengono certificati come malati sono malati, però lo sono ancora di più quelli iperadattati, che ad esempio vanno a uccidere per il proprio paese.

“Quando certifico una persona come malata di mente, non metto in dubbio che sia disturbato, che possa essere pericoloso per se stesso o gli altri, che abbia bisogno di cure e attenzioni in un ospedale psichiatrico. Tuttavia, al contempo, sono anche consapevole che ci sono altre persone, considerate sane di mente, che sono radicalmente disturbate, che possono essere altrettanto o anche più pericolose per sé e gli altri e che la società non considera psicotici o pronti per l’ospedale psichiatrico.”

Per quel che riguarda la decontestualizzazione del malato di mente, Laing prende un passaggio dello psichiatra Kraepelin (colui che ha coniato il termine demenza precoce):
“Signori (dice agli studenti dell’ospedale di Vienna) i casi che vi metto davanti oggi sono peculiari. Prima vi presenterò una serva di anni 24 sul volto e nel corpo della quale potete intravedere l’emaciazione. Ciò nonostante, la paziente si muove costantemente, fa qualche passo avanti, poi indietreggia. Si fa le trecce, ma poi le disfa subito dopo. Se si cerca di fermarla, ci resiste in modo inaspettatamente violento. Se mi metto dinnanzi a lei, e alzo le braccia per fermarla, se non riesce a spostarmi da un lato, improvvisamente si gira, e mi passa sotto le braccia, in modo da continuare per la sua via. Se la si afferra strettamente, distorce il suo volto che di solito è privo di espressione, piangendo in modo deplorabile (condanna morale) e cessa solo quando le si permette di fare ciò che vuole. Notiamo anche che tiene spasmodicamente fra le dita della mano sinistra un pezzo di pane sbriciolato, che non permette ad alcuno di allontanare. La paziente non si preoccupa per nulla dell’ambiente circostante, finché viene lasciata in pace. Se la pungete in fronte con un ago, al massimo fa un ghigno di dolore, non si gira e lascia che l’ago resti li, senza che la disturbi nel suo andamento avanti e indietro, da predatore (ancora denigrazione). Alle domande quasi non risponde. Al massimo scuote la testa. Ma a volte urla, ‘o dio mio, o dio mio, o mamma cara, o mamma cara’. Ripete sempre in modo uniforme, le stesse frasi”.

Questo famoso psichiatra porta dunque in aula una paziente e interagisce con lei per far vedere i sintomi della paziente.

Commento di Laing:
“Qui abbiamo un uomo e una giovane fanciulla. Se consideriamo la situazione solo dal punto di vista di Kraeplin, sembra aver immediatamente senso. Lui è sano di mente, lei è matta, lui è razionale, lei è irrazionale. Ciò comporta però considerare le azioni della paziente fuori contesto. Ma se consideriamo tutte le azioni di Kraeplin: cerca di fermare i suoi movimenti, sta davanti a lei con le braccia alzate, cerca di prendere un pezzo di pane dalla sua mano, la punge con un ago e così via- fuori dal contesto in cui viene sperimentato, e definito da lui, che comportamenti straordinari! Lo psichiatra diventa la pietra angolare del nostro senso comune di normalità (ecco il mandato sociale dello psichiatra). Lo psichiatra è ipso facto sano di mente, dimostra che il paziente non è in contatto con lui. Il fatto che egli è fuori contatto con il paziente dimostra che qualcosa non va con il paziente, non con lo psichiatra”.

La psichiatria da per scontato, etichettando, che lo psichiatra è colui che è sano e che quindi ha il mandato sociale di operare la distinzione per fra la normalità e anormalità. Ma quella anormalità ha delle conseguenze disastrose perché si veniva rinchiusi definitivamente e sottoposti a tutti quei trattamenti, come ad esempio l’elettroshock
 
Altro esempio tratto da Kraepelin: “Il paziente che vi farò vedere oggi deve quasi essere portato nella stanza, mentre cammina in modo scoordinato sull’esterno dei piedi. Quando entra butta via le sue pantofole, canta un inno a voce alta e poi urla due volte (in inglese) “mio padre, il mio vero padre’.
 
Ha 18 anni ed è uno studente della scuola superiore, alto e piuttosto muscoloso ma pallido in volto, sul quale spesso si manifesta un rossore transiente. Il paziente siede con gli occhi chiusi e non pone alcuna attenzione all’ambiente circostante. Non alza la testa, nemmeno quando gli si parla, ma risponde iniziando a voce bassa, e poi urla sempre più a voce alta. Quando gli si chiede dove si trova dice ‘vuoi sapere anche questo? Ti dico chi viene misurato, chi verrà misurato e chi dovrà essere misurato. So tutto in merito, te lo potrei dire, ma non voglio…’

Quando gli si chiede il nome, urla ‘e tu come ti chiami? Lui cosa chiude? Chiude gli occhi. Cosa sente? Non capisce, capisce nulla. Come, chi, dove, quando? Cosa intende? Quando gli chiedo di guardare, non guarda bene. Tu, li, devi solo guardare, che cosa è? Che cosa non va? Aspetta, non aspetta. E allora dico, che cosa è? Perché non mi rispondi? Stai diventando di nuovo impertinente? Coma fai ad essere così maleducato? Sto arrivando! Ti farò vedere! Tu non puttani per me! E poi non devi mica essere intelligente; sei un tipo impertinente, schifoso.

Non ho mai incontrato un tipo così impertinente e schifoso. Sta di nuovo iniziando. Non capisci proprio nulla, proprio nulla; proprio nulla capisce. Se segui ora, non seguirà, non vuole seguire. Stai diventando ancora più impertinente? Stai diventando impertinente ancora di più? Come aspettano, certo che aspettano’ E così via. Alla fine fa dei suoni abbastanza inarticolati (Il paziente qui sta dicendo allo psichiatra che non è una cosa da portare in aula da misurare, e nel far questo lo psichiatra è schifoso e impertinente.)”

Krapelin nota l’inacessibilità del paziente: “anche se non vi è dubbio che abbia capito tutte le nostre domande, non ci ha fornito alcuna informazione utile. Il suo eloquio era… solo una serie di frasi sconnesse, senza alcuna relazione con la situazione generale”.

Laing commenta: “anche se non vi è dubbio che il paziente mostri ‘segni’ di eccitazione catatonica, l’interpretazione dipende dalla relazione con il paziente.”

Il paziente ha un dialogo con la sua versione caricaturale di Krapelin;

Una paziente schizofrenica disse “noi schizofrenici diciamo e facciamo tante cose che non sono importanti, e poi ci mettiamo in mezzo cose importanti, per vedere se al medico importa capire e sentirle”. Laing ringraziava sempre una sua paziente del manicomio di Glasgow perché la paziente lo aveva aiutato a decifrare i comportamenti degli altri pazienti, gli faceva da interprete.

Un paziente poi fa il seguente esempio a Laing: “durante il primo incontro con uno psichiatra sentiva un intenso disprezzo. Era però terrorizzato di mostrarlo, in caso che gli venisse fatta una lobotomia, eppure sentiva il bisogno di esprimerlo. (Al paziente non piaceva lo psichiatra ma aveva paura di lui proprio per quel mandato sociale tale per cui lo psichiatra può decidere di lobotomizzarlo) Man mano che procedeva il colloquio, sentiva che era sempre più una farsa, futile, dato che faceva finta, e lo psichiatra sembrava prenderlo sul serio. Pensava che il medico fosse sempre più cretino. Il medico gli chiese se sentiva delle voci. Il paziente pensò che fosse una domanda stupida, dato che sentiva la voce del medico. Quindi rispose di si, e che la voce era maschile. La domanda successiva era: che cosa ti dice la voce? Lui rispose: “lei è un cretino”. Facendo il matto, riusciva quindi a esprimersi.” --> qui si vede la pericolosità in quanto è vero che ci possono essere anche questi eventi però, nella versione di Laing, uno può fare il matto (è una scelta esistenziale che si fa).

Il valore fondamentale dell’empatia: come ci si rapporta al paziente non deumanizzandolo? Attraverso l’empatia. “Le due personalità del medico e dello psicotico, non diversamente da quelle dell’interprete e dell’autore del testo, non sono contrastanti, come due fatti opposti che non possono né incontrarsi né confrontarsi. Però come l’interprete, il terapeuta deve possedere una plasticità sufficiente per potersi trasportare in un altro mondo… che forse gli è completamente alieno, di vedere il mondo. In questo atto di trasposizione il terapeuta attinge alle sue proprie potenzialità psicotiche, (rimando alla Klein --> tutti abbiam potenzialità psicotiche dato che tutti abbiamo attraversato la posizione schizoparanoica regressiva) senza per questo rinunziare alla sua salute mentale (devo poter attingere in maniera controllata a quegli aspetti folli o primitivi che sono in me e che mi aiutano a comprendere ciò a cui sta andando incontro l’altro). Solo così può arrivare a cogliere la posizione esistenziale del paziente […] Il fattore principale della reintegrazione del paziente, nel rimettere assieme i pezzi, è l’amore (intende l’empatia) del terapeuta: un amore che riconosca il paziente nella totalità del suo essere e che lo accetti senza riserve”.

La comprensione non è solo un processo intellettuale come lo è l’oggettivizazzione del paziente, ma significa essere in grado di capire l'esperienza che il paziente ha di se stesso e del mondo in cui vive. Mettersi nei panni del paziente per capire l’esperienza che fa.

Scrive: “amare il prossimo’ quando il prossimo è schizofrenico significa “capire chi è”, “si può solo amare la sua umanità astratta. Non è invece possibile amare un conglomerato di ‘segni di schizofrenia’. (Se io riduco un malato a un insieme di sintomi, allora non c’è nulla da comprendere)

Nessuno ha la schizofrenia come si ha un raffreddore... Il paziente è schizofrenico. Lo schizofrenico deve essere conosciuto senza essere distrutto. Egli dovrà scoprire che ciò è possibile … Ciò che lo schizofrenico è per noi determina in modo considerevole ciò che siamo per lui e quindi le sue azioni. (ancora contetualizzazione, e siccome l’identità schizofrenica traballa il modo in cui io mi rapporto al paziente determinerà per un periodo di tempo ciò che lui sente di essere) Molti dei segni classici della schizofrenia variano da ospedale a ospedale e sembrano essere in gran parte una funzione delle cure (se i segni classici variano vuol dire che non c’è una diagnosi oggettiva, e ciò che viene osservato, questo degrado cronico del comportamento, del pensiero e degli affetti sarebbe, secondo Laing, anche una funzione del tipo di cura che si dà attraverso l’istituzionalizzazione, procedimenti di contenimento, chirurgia psichica e tutti i vari shock) Alcuni psichiatri hanno infatti la tendenza di osservare alcuni segni della schizofrenia in misura molto minore di altri” Laing asseriva sempre che gli schizofrenici descritti dai trattati psichiatrici classici lui non li aveva mai incontrati.

Cosa significa quindi psicoterapia per Laing? Significa l’ostinato sforzo di 2 persone di recuperare l’integrità dell’essere uomini tramite il rapporto che c’è tra loro.

Lo schizofrenico invece di essere considerato il risultato di un’aberrazione cerebrale diventa una persona con cui si stabilisce un rapporto, e grazie a questo rapporto e all’integrità del rapporto il paziente può guarire. Quindi Laing richiama la cura relazionale e sostiene che lo stato psicotico essenzialmente è dovuto a ciò che chiama l’insicurezza ontologica primaria à cosa significa per Laing? L’insicurezza ontologica primaria è un modo di essere particolarmente disgiuntivo, che caratterizza la relazione che il paziente ha con se stesso e con il mondo intero in cui è inserito, e questo stato riflette una frammentazione fra la mente del malato e il suo corpo, e fra il malato e il mondo esterno.

Essere schizoide voleva dire poter evolvere verso la schizofrenia.

Per Laing «Si definisce col termine ‘schizoide’ un individuo la cui totalità di esperienza personale (non sta descrivendo dall’esterno ma l’esperienza soggettiva del paziente) è scissa a due livelli principali: nei rapporti con l’ambiente e nei rapporti con se stesso» (Laing, 1959) --> tale scissione impedisce un senso di sé unitario (sentito in Winnicott) --> La mancata acquisizione di un senso unitario del Sé e di un saldo sentimento dell’identità personale rappresenta un fattore di rischio per una profonda alterazione del rapporto tra l’individuo e la realtà.

Per Laing l’insicurezza ontologica primaria è un mancato senso d’identità dovuto ad una frammentazione dell’esperienza. Allora si perde la capacità di stabilire i confini del proprio Io, quindi manca la linea di demarcazione tra l’Io e il mondo degli altri. È un altro modo di parlare di esame di realtà, però Laing non usa questo termine perché non condivideva l’aspetto freudiano, moralistico, di giudizio insito nel concetto di esame di realtà.

Se ci si confonde con il mondo esterno allora avviene una progressiva spersonalizzazione: si crea quindi una persistente incertezza e vulnerabilità che è insita nella condizione di essere schizoidi. Dunque «in luogo di un senso di rapporto e di attaccamento nei confronti dell’altro, fondato su di una genuina reciprocità, si ha la sensazione di essere in uno stato di dipendenza ontologica, cioè che si dipende dall’altro per esistere, e che il totale distacco, il completo isolamento è la sola alternativa ad un attaccamento di ostrica o di vampiro, in cui il sangue e la vita dell’altro sono necessari per la propria sopravvivenza, ma al tempo stesso la mettono in pericolo» --> cosa vuol dire ciò? Se io non ho un’identità, da un lato dipendo da un altro, ma dall'altro mi posso anche confondere con l’altro e diventa così una minaccia della mia traballante identità à se io non ho un’identità ogni relazione minaccia quel poco d’identità che io ho e al contempo, ecco il paradosso, ne divento assolutamente dipendente.

Tratto da PSICOLOGIA DINAMICA di Mariasole Genovesi
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