Pubblicità della pubblica amministrazione. Quadro normativo

Legge 416/81: prima legittimazione della pubblicità quale strumento di comunicazione delle PA; le amministrazioni statali e gli enti pubblici non territoriali sono tenuti a destinare alla pubblicità su quotidiani e periodici una quota non inferiore al 70% delle spese per la pubblicità previste in bilancio; queste spese devono essere iscritte in un apposito capitolo di bilancio.
Legge 67/87 (legge sull’editoria)  e l. 223/90 (legge Mammì sul sistema radiotelevisivo) ribadiscono i vincoli di pianificazione della spesa, definendo a priori le quote da investire in pubblicità su quotidiani, periodici, radio e TV. Questi vincoli legittimano da un lato l’attività pubblicitaria all’interno delle PA, ma dall’altro nascondono l’esigenza di garantire sovvenzioni al settore editoriale e radiotelevisivo. A più riprese il settore professionale della comunicazione ha protestato richiedendo l’abolizione di tali vincoli.
La legge 150/2000 elimina i vincoli nella pianificazione delle spese destinate alle emittenti radio-tv, che vengono però reintrodotte, a riprova delle forti pressioni esercitate, con una direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri (254/2000).
Altro importante riferimento allo strumento pubblicitario si trova in alcune leggi di settore emanate a partire dai primi anni ’90, riguardanti principalmente materie sanitarie e ambientali. Legge 162/90: riguardante sostanze stupefacenti, prevenzione e cura degli stati di tossicodipendenza: si promuovono campagne informative sulla gravità degli effetti, che verranno veicolate attraverso tv, stampa, radio, affissioni. Legge 135/90: interventi per la prevenzione e la lotta all’AIDS; legge 9/91: attuazione del nuovo piano energetico nazionale.