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Il contratto sociale per Jean-Jacques Rousseau ( 1712- 1778)

Nato a Ginevra, Rousseau condivide con i philosophes i problemi dell’illuminismo, ma immagina per essi soluzioni diverse. Lui diviene critico del sistema politico insieme agli stessi critici di esso.
Rousseau è dotato di una personalità complessa ed inquieta, ne testimonia l’opera le Confessions, scritte tra il 1764 e il 1770. A Parigi, il suo pensiero viene sollecitato in maniera decisiva, perché qui conosce accademici e letterari, frequenta i philosophes e scrive le prime opere politiche. Ma l’entusiasmo iniziale venne sostituito da una profonda delusione. Infatti il suo rapporto con gli illuministi non fu sempre facile perché i philosophes avevano una visione troppo ottimistica dell’uomo e della storia ed era una visione distante da Rousseau. A Parigi, redige l’articolo economia politica per l’Enciclopedia, ma i rapporti con gli enciclopedisti si guastano nel 1757 quando viene pubblicata la voce Genéve redatta da d’Alembert. Ad essa Rousseau risponde con la “lettera ad Alembert sullo spettacolo”.
Al periodo parigino risalgono i discorsi:
IL DISCORSO SULLE SCIENZE E SULLE ARTI (1750)
IL DISCORSO SULL’INEGUAGLIANZA TRA GLI UOMINI (1754)
SAGGIO SULL’ORIGINE DELLE LINGUE (che sarà pubblicato postumo)

In queste opere è contenuta gran parte dell’analisi antropologica e della critica ai Philosophes.


Il contratto sociale (1762) ed Emile (romanzo pedagogico)


Queste opere vennero subito condannate e Rousseau è costretto a rifugiarsi a Motiers, in territorio prussiano.
Rousseau muore a Ermenonville nel 1778.
Rousseau identifica la sua personale angoscia con il malessere dell’uomo del suo tempo, il quale, affidandosi agli innovatori per migliorare la sua condizione, rischia di perdere definitivamente l’integrità della sua umanità. La riflessione politica di Rousseau ha due obiettivi: da un lato denuncia alla società moderna e razionale, dall’altro lato l’elaborazione di un’immagine della convivenza civile nella quale ciascuno sia se stesso in ogni momento.
Per determinare con precisione le qualità della natura umana e le sue trasformazioni Rousseau ricorre alla struttura della scuola del diritto naturale, infatti anch’egli colloca la descrizione dell’uomo nello stato di naturale, dove gli uomini si troverebbero in una relazione estranea alla società politicamente organizzata, appunto in una relazione naturale.
Nella sua opera “ il discorso sull’ineguaglianza tra gli uomini” Rousseau ripercorre le origini dell’ineguaglianza, e afferma che l’individuo nella specie umana ha due generi di diseguaglianza:
una naturale o fisica che consiste nella differenza di età, salute, forze fisiche e qualità dello spirito.
l’altra morale o politica che dipende da una specie di convenzione ed è autorizzata dal consenso degli uomini e che consiste nei privilegi di cui alcuni godono a svantaggio di altri come per esempio, essere più ricchi, più onorati, più potenti o farsi ubbidire.
Secondo Rousseau è l’ineguaglianza innaturale l’origine dei rapporti conflittuali. Infatti ineguaglianza e conformismo sono aspetti di una stessa realtà sociale, nella quale la ricerca del successo può comportare la necessità di apparire diversi da come in realtà si è, e quindi di compromettere la libertà personale e determinare la schiavitù.
Rousseau individua vari stadi e qualità diverse dell’uomo naturale:
il primo uomo possiede la pietà e l’amor di sé, cioè ama l’umanità che egli vede in sé e riconosce nel suo simile. Ma essi possiedono anche la perfettibilità che contribuisce a determinare le differenze fra gli uomini: l’ineguaglianza naturale, che permette al più forte di produrre di più, al più abile di trarre maggior profitto dal suo lavoro, accentua sempre di più le differenze fra gli uomini e questi dimenticano la pietà e l’amor di sé, e sviluppano l’amor proprio, ossia un amore egoistico.
In tale fenomeno va collocata l’origine della divisione del lavoro e della proprietà.

Concetto di Proprietà privata: Rousseau sull’origine della disuguaglianza afferma che: “Il primo che dopo aver recintato un terreno disse: questo è mio!” e trovò altri tanto ingenui da credergli fu il primo vero fondatore della società civile.”
Quanti crimini, conflitti, omicidi, orrori, avrebbe risparmiato al genere umano colui che strappando i paletti avesse gridato: “non date ascolto a questo impostore, i frutti sono di tutti e la terra è di nessuno.”
“Il ricco progettò di utilizzare a suo vantaggio le forze di coloro che lo avversavano: uniamoci –disse- per garantire i deboli dall’oppressione e assicurare a ciascuno il possesso di ciò che gli appartiene. Istituiamo regolamenti di giustizia e pace, cui tutti siamo obbligati ad obbedire sottomettendo in eguale misura il ricco e il povero. Riuniamo le nostre forze in un potere supremo che ci governi secondo le leggi che protegga tutti i membri della società, respinga i nemici e ci tenga in perpetua concordia.”
Ciò fu l’origine della società e delle leggi che procurarono nuovi ostacoli al povero e nuove forze al ricco, distrussero la libertà naturale, stabilirono per sempre la legge della proprietà e dell’ineguaglianza di un’abile usurpazione, fecero un diritto irrevocabile e da allora a vantaggio di pochi ambiziosi assoggettarono tutto il genere umano al lavoro alla schiavitù e alla miseria.
Risulta chiaro che l’ineguaglianza, quasi inesistente nello stato di natura, trae forza e sviluppo dall’estensione delle nostre facoltà e dai progressi dello spirito umano e finisce col diventare stabile e legittima mediante l’istituzione della proprietà e delle leggi. Risulta inoltre che l’ineguaglianza morale autorizzata dal solo diritto positivo è contraria al diritto naturale, ogni volta che non sia proporzionata all’ineguaglianza fisica.


Il contratto sociale


Il patto sociale è il momento fondante e quindi fondamentale per la società, senza di esso vi può essere una moltitudine di associati ma non vi potrà essere né vera società ne popolo.
Il patto sociale per Rousseau è l’atto in virtù del quale un popolo è popolo.
Le clausole del contratto si riducono tutte ad una sola: alienazione totale di ogni associati, con tutti i suoi diritti in favore di tutta la comunità.
Il contratto di riduce così ai seguenti termini: ciascuno di noi mette in comune la propria persona e ogni proprio potere sotto la direzione della volontà generale e noi in quanto corpo politico riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto. Quest’atto di associazione da vita ad un corpo morale e collettivo composti da tanti membri quanti sono i voti all’assemblea. Da questo stesso atto tale corpo riceve il suo “io comune”. Questa persona pubblica prende il nome di repubblica ed è chiamata dai suoi membri stato in quanto è passivo, corpo sovrano in quanto è attivo. Gli associati prendono collettivamente il nome di popolo e si chiamano cittadini in quanto partecipi dell’autorità sovrana. Il corpo sovrano essendo formato da singoli non ha alcun bisogno di dare garanzie ai sudditi perché è impossibile che il corpo voglia nuocere tutti i suoi membri.
Quest’atto di associazione (il corpo sovrano) racchiude un impegno reciproco tra la collettività e i singoli, per cui ciascun individuo stipulando un contratto con se stesso si trova impegnato sotto un duplice rapporto: come membro del corpo sovrano nei confronti dei singoli e come membro dello stato nei confronti del corpo sovrano.
- Appena questa molteplicità di persone è riunita in un corpo non si può offendere uno dei suoi membri senza attaccare l’intero corpo.  
- Chiunque rifiuti di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto da tutto il corpo.

Stato e proprietà
Lo Stato è padrone di tutti i beni dei suoi membri in base al contratto sociale. La comunità ricevendo i beni dai singoli non solo non glieli toglie ma gliene assicura il possesso legittimo.
Il contratto sostituisce così eguaglianza morale e legittima a quanto la natura aveva potuto mettere d’ineguaglianza fisica tra gli uomini che diventano tutti uguali per convenzione e diritto.

Sovranità e volontà generale
La sovranità è l’esercizio della volontà generale e quindi non può essere alienata.
Il corpo sovrano è un corpo collettivo e viene rappresentato da se stesso. La volontà generale e la volontà particolare possono accordarsi ma questo accordo non potrà mai essere permanente perché la volontà particolare tende, per sua natura, alle preferenze mentre la volontà generale tende all’eguaglianza. Per avere la vera espressione della volontà generale è necessario che non ci siano nello stato, società parziali e che ogni cittadino ragioni con la propria testa.

La sovranità divisa in forza e volontà, in potere legislativo ed esecutivo, in diritto di imposta, di giustizia e di guerra, in amministrazione interna e in potere di trattare con lo straniero, fanno del corpo sovrano un essere fantastico e formato di pezzi aggiunto uno all’altro.

Legge e legislatore
Rousseau chiama repubblica ogni stato retto da leggi, poiché solo allora l’interesse pubblico governa. Le leggi sono, infatti, le condizioni dell’associazione civile. Il popolo soggetto alle leggi deve esserne l’autore.
La volontà generale è sempre retta, ma il giudizio che la guida non è sempre illuminato. Da qui nasce la necessità di un legislatore che è sotto tutti gli aspetti un uomo eccezionale.
Il bene più grande di tutto il fine di ogni sistema legislativo si riduce a due obiettivi principali: libertà e eguaglianza.
Nel corpo politico si distinguono forza e volontà:
- potere esecutivo e potere legislativo.
Il potere legislativo appartiene al popolo. Mentre alla forza pubblica occorre un agente proprio che la riunisca e la metta in funzione secondo le direttive della volontà generale, che serva alla comunicazione tra Stato e corpo sovrano. Questa è la funzione del governo.

Secondo Rousseau l'uomo è buono per natura, ma la bontà è corrotta dalla società che ha fondamenta corrotte. Il problema che Rousseau si pone è quello di riportare l'uomo allo stato naturale di bontà. Per fare ciò bisogna abbattere le istituzioni sociali e formulare un patto sociale. L'uomo è libero, ma per unirsi in società deve affidare la sua libertà nelle mani dei governanti per vedersela restituita ad altri livelli. Per Rousseau la libertà non controllata sfocia nell'arbitrio. Nessuno è privilegiato nei confronti degli altri; gli uomini sono tutti uguali in quanto creature razionali; tutti devono partecipare alla cosa pubblica (si rifà alla confederazione svizzera e alla democrazia greca); il popolo deve riunirsi in assemblea per decidere.
Qui ciò che deve prevalere è la volontà generale cioè la volontà tesa al conseguimento dell'interesse collettivo. Essa non corrisponde alla volontà della maggioranza. L'interesse del collettivo deve prevalere sull'interesse personale che è particolare ed egoistico. Il popolo è sovrano e delega un re. Una volta fatte le leggi bisogna sottostare ad esse. La vera libertà si ha quando si fa ciò perché obbedire alle leggi significa obbedire a sé stessi.

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